Berlin, ich liebe dir (?)*
Non credo che esista una città che possa lasciare davvero indifferente qualcuno, o almeno non mi è ancora capitato. Mi è capitato invece di evitare consapevolmente alcuni luoghi, alcuni paesi, che “a pelle” non mi attiravano o affascinavano, che mi erano indifferenti, anche non avendoli mai conosciuti. La Germania, ad esempio!
Nonostante sia nata in una città sassone, dove il tedesco era la seconda lingua (e l’ho studiato per ben 8 anni!), nonostante durante il regime comunista la Germania (federale) rappresentasse il sogno di libertà che molti videro realizzarsi fuggendo dalla Romania, nonostante due delle mie migliori amiche dei tempi del liceo vivano felicemente lì da oltre vent’anni invitandomi ripetutamente… non ci sono mai stata… fino ad ora. Direi che un tale momento “storico” della mia vita meriti un post su questo blog.
Ho viaggiato parecchio in Europa, scegliendo i paesi con criteri eclettici: per la presenza di un fiume, per un libro ambientato lì, per uno scrittore che amavo, per un museo che dovevo vedere, per la musica del posto, per la lingua più o meno comprensibile… ma mai perché qualcuno me l’aveva consigliato, no, mi è sempre piaciuto pensare che ogni città “parli” in modo diverso ad ognuno di noi, e che il momento della visita arrivi quando il contatto tra le anime è maturo.
Con Berlino è stato diverso. Aveva cominciato ad incuriosirmi, ad intrigarmi perché ad un certo punto intorno a me tutti andavano, tornavano e ritornavano a o da Berlino. Ed eccomi qua!
Come mi aspettavo, non è stato amore a prima vista. Mi hanno detto che più conosci questa città più la ami. Il primo giorno ho pensato che il mio amore per Berlino fosse destinato a rimanere a lungo su un’immaginaria lista d’attesa, sopraffatta da questa città immensa, dispersiva, senza un centro, senza un cuore topografico ma, forse, con tante anime… Pian piano questo miscuglio informe di genti, di storie, di culture, una città in continua metamorfosi, è riuscito a sorprendermi. Le due città, che fino al 1989 erano divise, anche se con architetture a tratti esteticamente diverse e non armoniose, adesso convivono. Una passeggiata a Berlino vale quanto un viaggio intorno al mondo!
E’ 9 volte più grande di Parigi, ha più ponti di Venezia (1700 ponti…), più stranieri di tutti i paesi europei e più turisti di Roma. Basta camminare a volte pochi chilometri per ritrovare l’atmosfera parigina dei bateau mouche, lungo il fiume Sprea, quella della Piccadilly londinese dei musicisti di strada nella Alexander Platz, quella viennese nel quartiere Nikolaiviertel, quella newyorkese nel modernissimo Sony Center, quella dei mercati romani nei flohmarkt…
“Paris est toujours Paris et Berlin est jamais Berlin” (“Parigi è sempre Parigi, mentre Berlino non è mai Berlino”), come disse Jack Lang, ex ministro della cultura francese, nel 2001.
Berlino è viva, energica, in continuo movimento e cambiamento, risorta dalle proprie ceneri dopo la seconda guerra mondiale, contesa tra russi, americani e francesi, spezzata in due da un muro, impegnata nella riscrittura giornaliera della sua storia della quale ognuno dei suoi 3 milioni e mezzo di abitanti sente di esserne partecipe, in un modo o nell’altro. Non è una città immobile, eterna tra passato e futuro, troppo del suo passato è andato distrutto. Colpisce il fatto che molte visite guidate iniziano con una frase d’obbligo: “questo luogo è stato distrutto durante la seconda guerra mondiale e poi ricostruito” oppure “qui sorgeva…” ma anche “qui verrà costruito…“. Una città che ha avuto il coraggio di assumersi il peso della propria storia, dettata o subita, di buttarsi alle spalle gli orrori della guerra e di ricostruire tutto senza mai dimenticare. Se ci fosse una parola per racchiudere lo spirito di Berlino direi che è proprio memoria, silenziosa e inquieta, senza aggiungere altro.
Bastano i 2711 blocchi di cemento rettangolari di diverse altezze del Monumento dedicato all’Olocausto, che spuntano all’improvviso, a sud della Porta di Brandeburgo, per sentire il silenzioso peso angosciante della storia. I blocchi poggiano su un piano irregolare, aumentano sempre di più verso l’interno, lasciando penetrare pochissima luce, creando percorsi simili a quelli di un labirinto. La sensazione che si ha è quella di perdersi tra i blocchi e di venire schiacciati dalla mancanza di luce all’interno, perciò la luce alla fine di questo percorso arriva come una grande liberazione.
C’è anche la memoria della storia più recente, quella della città divisa dal maledetto muro, la cui esistenza, per più di 28 anni, si sente ancora nell’aria. Nonostante la sua presenza fisica sia concentrata in brandelli di muro simbolici, resta sempre inquietante, come il tracciato di muro più lungo (1,3km) rimasto nella sua posizione originale, trasformato nella famosa East Side Gallery.
Paradosso della storia, nel 2013 era stato approvato un piano urbanistico che prevedeva lo spostamento di 22 metri della parte di muro rimasto in questa zona per far posto alla costruzione di una strada di accesso ad un condominio di lusso. All’avvio dei lavori, centinaia di manifestanti riuscirono a bloccare le gru. Nei giorni successivi le proteste divennero migliaia e il provvedimento fu rimandato a tempo indeterminato. Il muro che ha diviso un popolo per così tanti anni costituisce ora un pezzo importante della memoria collettiva della Germania unita e deve rimanere dov’è.
Da ex-comunista rumena, confesso che ho evitato il giro turistico della DDR (la Germania comunista), i musei tematici, tutto quello che può ricordare gli anni della divisione… avendo vissuto per più di 20 anni nella Romania comunista, mi hanno commosso a suo tempo le storie di quelli che sono morti cercando di scavalcare il muro, mentre inseguivano il proprio sogno di libertà, amici, compagni.
Sorprende la capacità di Berlino di trovare il posto e la misura giusta da conferire alla sua storia, in una città anche moderna, futuristica e avanguardista, dove ha lasciato il segno anche l’architetto italiano Renzo Piano, lo stesso che ha detto che “se Berlino fosse un libro di storia, avrebbe molte pagine strappate”.
Un libro aperto, in corso d’opera, proprio come le decine di cantieri avviati, con le loro gru gialle che graffiano il cielo grigio sopra Berlino.
*”ich liebe dir” è una forma dialettale berlinese, utilizzata al posto del più corretto “ich liebe dich”