I Premi Nobel erranti della Romania
Il vincitore del Premio Nobel per la Chimica 2014 si chiama Stefan W. Hell (premiato insieme agli americani Eric Betzig e William E. Moerner).
Stefan è tedesco nato e cresciuto in Romania.
Questa è la storia di un ebreo, due tedeschi e un americano…. tutti rumeni, tutti premi Nobel!
Uniti da un destino comune, segnato dall’appartenenza a un paese, la Romania, e alla sua storia tormentata degli ultimi 60 anni, furono obbligati a scappare, per salvarsi, per sopravvivere e per seguire i propri sogni. Si potrebbe ricorrere a una frase fatta, pronunciata troppo spesso dalle nostre parti (oggi purtroppo attuale anche in Italia) : “spesso bisogna andare lontano per affermare le proprie ambizioni”. In questi giorni, nel mio paese, politici, opinionisti, analisti, gente comune si sono lanciati in commenti sterili su questo tema; una domanda tra tutte, quasi retorica: “se fossero rimasti in Romania, sarebbero ugualmente riusciti a vincere un Nobel”?
Credo che invece di chiedersi se avessero comunque fatto la storia, sarebbe forse più giusto domandarsi se fossero sopravvissuti alla storia!
Stefan Hell è nato in Romania, nel 1962, nella cittadina di Arad, in una famiglia di șvabi (cittadini di origine sassone) che è emigrata in Germania, nel 1978. Ha vissuto in Romania per 16 anni e, a sentire il suo racconto, la passione per la chimica è nata mentre frequentava il Liceo Nikolas Lenau di Timisoara, lo stesso che ha frequentato un precedente vincitore del premio Nobel, questa volta, per la letteratura, la scrittrice Herta Muller. La loro storia personale si incrocia con la storia di un paese, che, per più di quarant’anni, è stato vittima di una dittatura comunista dalla cui follia senza limiti volevano fuggire tutti. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la fuga era all’ordine del giorno, perché non c’era speranza. Tutti volevano fuggire, anche a costo della morte. Dal 1968 al 1989, oltre 200.000 cittadini rumeni di etnia sassone hanno lasciato la Romania. Nessuno poteva lasciare la nazione ma, per accordi con Israele e la Germania Federale, i sassoni e gli ebrei dietro lauto compenso (spesso coperto dalle rispettive nazioni), potevano ricongiungersi agli stati di origine. Il dittatore Ceaușescu capì presto quanto potesse essere redditizio questo commercio umano e rimarranno nella storia le sue parole: “Il petrolio, gli ebrei e gli șvabi sono le merci più ricercate da esportazione“. A partire dal 1978, il “prezzo” di un cittadino rumeno e della sua rimpatriata in Germania fu stabilito a 4000 marchi, per poi arrivare, nel 1988, a 8950 marchi.
Il neo premio Nobel per la Chimica, Stefan W. Hell, ha lasciato la Romania nel 1978, insieme alla sua famiglia, pagando probabilmente anch’egli in marchi il prezzo della propria libertà. “Andarmene via è stato un grande sollievo per me, la Romania era un paese comunista dove non ti era permesso di dire quello che pensavi. Da un altro lato, invece, la scuola che ho seguito a Timișoara era molto buona e gli studi fatti lì mi hanno arricchito di conoscenze più avanzate di quelle dei miei colleghi tedeschi“, ha dichiarato recentemente in un’intervista Hell. Per lui, il “luogo dove sei nato è un posto speciale, che ti rimane nel cuore, ovunque tu vada“. A volte la memoria di questi luoghi è tenera e i ricordi sono pieni di luce, a volte invece sono sommersi nel buio del terrore. E’ questo il caso di Herta Muller, che ha sviluppato il suo stile letterario proprio tra ombre soffocanti che avvolgevano la sua memoria, ottenendo il Nobel nel 2009 grazie alla “concentrazione della sua poesia e alla franchezza della sua prosa con le quali ha saputo descrivere il paesaggio dei diseredati” come si può leggere nella motivazione dell’Accademia di Stoccolma.
La scrittrice, poetessa e saggista è nota per la descrizione della dura vita sotto il regime comunista di Ceaușescu. Nel 1987 fuggì dalla Romania insieme al marito dopo essere stata licenziata nel 1979 (era traduttrice di tedesco) perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, la stessa che la seguì e la perseguitò negli anni a venire. ” Ti rendevi conto che sono stati di nuovo a casa tua da un quadro o una sedia spostati”, racconta. ” Se senti il rumore dell’ascensore mentre sei in casa a leggere un libro e ti viene il panico perché credi che siano venuti a prenderti. Tutto perde la sua ovvietà, cambia la visione e la percezione delle cose. In Romania ero così estranea che ero devastata da quella che provavo. Non c’è niente di più orribile che essere estranea in una patria che ti vuole morta»
Quando finalmente riuscì a ottenere dalla Securitate il dossier di 914 pagine che la riguardava, Herta Müller scoprì che veniva definita “un pericoloso nemico dello Stato da combattere”. Il suo nome in codice non era più Herta, ma “Cristina” alla quale venivano addebitate “distorsioni tendenziose della realtà del Paese“, contenute nei suoi due libri scritti in tedesco, pubblicati in Romania, ma violentemente tagliati dalla censura comunista.
Se veramente la storia è la somma dei fatti che si succedono, a volte apparentemente sconnessi, e “a fare la storia sono gli individui che hanno vissuto un attimo diverso dall’altro“, come stessa Herta Muller sostiene, dalla stessa parte del mondo, ma in un’epoca diversa, un altro rumeno, premio Nobel per la pace, Ellie Wiesel, ha dato il proprio contributo pagando uno dei dazi più terribili, l’Olocausto, sopravvivendo.
Wiesel è uno scrittore statunitense, di cultura ebraica e di lingua francese, nato in Romania, a Sighetu Marmației (nella regione di Maramureș), nel 1928, in una famiglia ebrea. Fu deportato nel 1944 ad Auschwitz, insieme ai genitori a alle tre sorelle. I genitori e una delle sorelle morirono qui, invece le altre due sorelle le ritroverà, qualche anno dopo, in un orfanotrofio in Francia. Per dieci anni dopo la fine della guerra, Wiesel si rifiutò di scrivere o parlare della propria esperienza durante l’Olocausto. Come molti sopravvissuti, non riusciva a trovare le parole per raccontare la sua esperienza. Poi scrisse 900 pagine di memorie, “E il Mondo rimane in silenzio”, in cui raccontava la sua esperienza, nuda e cruda, vissuta nel campo di Auschwitz, esperienza che gli ha fatto perdere la fede in Dio e l’umanità. L’opera, giudicata dai critici “rabbiosa”, fu riscritta, in versione più breve, in francese, con il titolo La notte, che fu subito considerato un capolavoro.
“Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. “ Così descrive il suo tragico arrivo al campo di Auschwitz, nel settembre del 1944. Quando, nel 1986, riceve il premio Nobel per la pace, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo definì “messaggero per l’umanità”, perché aveva consegnato al mondo un potente messaggio di “pace, di espiazione e di dignità umana“, attraverso la sua personale esperienza nei campi di concentramento. A distanza di cinquant’anni il libro La Notte è stato tradotto in 30 lingue, ed è considerato, accanto a Se questo è un uomo, di Primo Levi e al Diario di Anna Frank, come uno dei capolavori della letteratura sull’Olocausto.
La nostra storia dei Nobel rumeni, erranti nel mondo, si chiude con George Emil Palade, un biologo e medico rumeno, naturalizzato statunitense, che ha vinto, nel 1974, il premio Nobel per la medicina e fisiologia, grazie alle sue ricerche nella biologia cellulare. Nato a Iași (nella regione della Moldavia), nel 1912, ottiene il titolo di dottore in Medicina, presso l’Università di Bucarest. Nel 1946, decide di lasciare la Romania, che, dopo l’abolizione della monarchia, si avviava nel tunnel comunista. La sua carriera è folgorante: da ricercatore all’Università di New York all’Istituto Rockfeller, poi alla Yale University e all’Università di San Diego in California. Nel 1986, il presidente Ronald Reagan gli accorda la medaglia nazionale per meriti nel campo della scienza. Palade muore in California, all’età di 96 anni, e le sue ceneri vengono sparse, per volontà sua, nei Monti Bucegi, in Romania, da una vetta chiamata Vârful cu Dor, la Vetta della Nostalgia.