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La Rivoluzione in un tappeto

La rivoluzione che ho vissuto 25 anni fa ha per me l’odore del fumo acre, denso e intenso che si sprigionava dalle pagine dei libri squarciati dai proiettili. Tanti libri con pagine sfregiate, un piccolo vuoto in mezzo, un cerchio perfetto che racchiudeva tra i suoi margini bruciati le parole mancanti di una storia, ancora non scritta, di un popolo, svegliatosi in un giorno freddo e cupo di dicembre per gridare in piazza la propria disperazione, incurante dei carri armati e dei soldati. Tanti di loro, giovanissimi come me, con i fucili pronti a sparare, combattuti tra il dovere, la paura e la voglia di abbracciare gli stessi vicini e parenti che li fronteggiavano dall’altra parte della barricata.  Poi, c’è la storia individuale della mia famiglia, che non ha niente di eroico, apparentemente. Uomini e donne travolti dagli eventi, sopraffatti, bambini ancora troppo bambini per poter capire che il mondo intorno stava cambiando e avrebbe cambiato anche loro, senza pietà e senza via di ritorno. Sulle vicende collettive si scrivono trattati di storia, su quelle individuali, romanzi.

La storia che sto per raccontarvi comincia con un pezzo di tappeto ritrovato tra le macerie fumanti della propria casa,  uno zerbino, da cui ripartire e ricostruire una vita d’amore cancellata dalle fiamme e dall’odio.

revolutie grupIn un periodo in cui buoni e cattivi si alternavano e si confondevano, i colonnelli della quinta Direzione dei servizi segreti rumeni, la Securitate, quelli del Potere per intenderci, il 21 dicembre del 1989 furono arrestati e condannati –  insieme ad altri dirigenti – al carcere. Mio zio era tra loro. Tutta la sua vita, le certezze e le incongruenze di una generazione comunista, la durezza e la fragilità di un regime quarantennale furono congelati in un attimo. Non si sa dove fu portato, né cosa gli fu fatto… niente, né allora, né oggi.
L’unica cosa certa è che dopo 182 giorni di reclusione, le porte della sua cella, con la stessa semplicità con cui erano state chiuse,  si riaprirono, catapultandolo in una Romania che nel frattempo non era più la stessa. 182 giorni senza alcuna notizia della famiglia, degli amici, senza nessun legame con l’esterno. La sua mente era rimasta lì, alla mattina del 21 dicembre, poco prima della grande manifestazione popolare convocata dal dittatore Ceausescu, quando – intuendo gli eventi che sarebbero successi – portò via lontano moglie e figli dalla piazza Palatului, quella della rivoluzione. La loro casa era a una manciata di metri dalla storia, a Bucarest, proprio di fronte al Comitato Centrale del Partito Comunista, sede del governo. Le centomila persone radunate che avrebbero dovuto consolidare il traballante regime agli occhi del mondo si trasformarono in un piano suicida senza ritorno.

Le immagini in diretta Tv ci mostravano i combattimenti tra le forze dell’ordine e il popolo, poi, quando i militari passarono dalla parte dei manifestanti,  tra l’esercito e i misteriosi gruppi chiamati “cellule terroriste” che difendevano il regime e il dittatore.

La manipolazione mediatica, alimentata dalla più clamorosa disinformazione, è nata in quei giorni, nella Romania libera e democratica.  Nessuno seppe mai chi erano questi  “terroristi”, se esistevano veramente e, visto che nessuno fu arrestato né processato, la loro identità resta avvolta nel mistero ancora oggi. Si parlava di soldati libanesi, iracheni o siriani, forze speciali addestrate dal regime per intervenire in quei giorni tormentati. Le notizie erano frammentate e confuse. Incollati alla diretta Tv assistevamo a scene di delirio filtrate da disinformazione, sullo sfondo si vedeva la casa dei miei zii che andava in fiamme. Dalle poche e frammentarie notizie, avevamo appreso grazie ad una sorta di passaparola che mio zio era stato arrestato e che mia zia con i figli si era rifugiata da amici fuori città.
Mio padre era uscito di casa la mattina precedente e non era ancora tornato. La gente invadeva la strade delle grandi e piccole città del paese, gridando la propria voglia di libertà. I giovani universitari, comprese le ragazze –  che il regime aveva addestrato militarmente per altri scopi –  si organizzavano in posti di blocco armati per difendere le loro città dagli attacchi dei presunti terroristi.
Fu la più surreale delle mie esperienze,  come se mi fossi frantumata in pezzi, guardando dal di fuori l’interno che si decomponeva. Ero sopraffatta dagli eventi. Da un lato c’era l’euforia contagiosa per la caduta del regime, si era finalmente avverato il nostro sogno di libertà: la libertà di parlare, di viaggiare, di protestare, di scegliere, di sbagliare, di vivere!  Dall’altro c’era anche un’angoscia sempre meno latente, quella di un futuro ignoto e che ignoravo quanto clemente sarebbe stato con mio padre, figlio del Partito.

Sono scesa in strada anche io con gli universitari, imbracciando il mio fucile; per giorni abbiamo difeso la città, in pattuglie improvvisate, fermando le auto, controllando i portabagagli, affiancando l’esercito nella protezione degli edifici pubblici. Non rientravamo a casa neanche di notte, ci sentivamo eroi del nostro nuovo tempo! Le notti erano lunghe e dure, arrivavano spesso notizie su gruppi di terroristi che stavano entrando in città e dovevamo rimanere svegli e vigili.  Ma non era solo la paura del “nemico” a tenermi sveglia, piuttosto erano stati d’animo contraddittori,  ero libera, ma avevo paura, per tutti i miei cari che stavano già pagando per gli errori di un passato sbagliato,  punito dalla storia.tancuri

Ero una rivoluzionaria della Rivoluzione che aveva sgretolato la mia famiglia, portato in prigione mio zio e allontanato per giorni mio padre, di cui non sapevamo ancora nulla. Pattugliavo le strade e avevo il terrore di scorgerlo in qualche auto dell’esercito, catturato insieme ai dirigenti del partito.  Quando poi una mattina finalmente tornò, si chiuse nel silenzio per giorni, nella sua stanza, con i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue insicurezze e chissà cos’altro ancora che gli lacerava l’animo.

La piazza di Bucarest, dove ebbe inizio tutto, era un cumulo di macerie. Quando dopo giorni mia zia riuscì a ritornare in quella che era stata una volta la sua casa, recuperò poche cose: alcuni libri che si salvarono dall’incendio forati dai proiettili, qualche straccio, un pezzo di tappeto. Me lo ricordo bene, era un tappeto persiano, grande, rosso porpora, con fiori, bellissimo. Mio zio lo aveva comprato in Iran, in una delle volte che accompagnò Ceausescu in visita diplomatica. Mia zia ritagliò le parti che non erano state bruciate e ne fece uno zerbino che mise davanti alla porta della nuova casa.

Quando mio zio uscì di prigione, dopo 6 mesi di silenzio, aveva in mente una sola cosa: ritrovare la propria famiglia. In una Bucarest irriconoscibile, aveva pochi indizi e nessuna certezza. Sapeva solo che tutti quelli che avevano perso la casa durante la rivoluzione abitavano adesso in un quartiere nuovo, con più di cinquanta palazzi, tutti uguali, grigi e con odore di vernice fresca, l’ultimo quartiere costruito dal regime prima del collasso. Nessuno era a conoscenza del fatto che fosse ancora vivo né lui sapeva cosa restava dei propri affetti.

Per giorni cominciò a girare per i nuovi parchi, entrando in ogni palazzo, ogni scala, ogni interno, alla ricerca di qualche indizio, qualche notizia, la conferma a qualche speranza. E poi eccolo lì, inaspettato, lo zerbino dal colore familiare, davanti ad una porta uguale alle altre, tra volti anonimi di un quartiere sconosciuto. Esausto e disperato bussò. Ci vollero alcuni minuti prima che qualcuno sbirciasse dallo spioncino, infiniti! Mia zia non aspettava nessuno, non coscientemente intendo, una sagoma smagrita di un uomo con la barba lunga lo attendeva all’uscio.

Quello che seguì fu un abbraccio lungo quanto lunghi furono i 182 giorni senza di lui.




La mulți ani, România!

Aseară, i-am urat “La mulți ani”,  de ziua Românei,  unei românce, Alexandra, care lucrează într-un bar din centrul orașului Caserta. Am cunoscut-o ieri,  eram la o masă cu niște prieteni,  ne-a plăcut fata asta, era simpatică, educată, rapidă. Din vorbă în vorbă, am aflat că e româncă, din Oradea,  mama unguroaică, tata român.  Atunci când i-am spus “La mulți ani”, de 1 Decembrie,  m-a privit nedumerită. “E Ziua României”, am adăugat. “Am uitat de chestiile astea, sunt de 7 ani în Italia”, mi-a răpuns și a continuat să ia comenzile de la clienți, cu surâsul pe buze și într-o italiană perfectă.

Acum 4 zile, în cartierul în care locuiesc, au intrat niște hoți în mai multe apartamente, după-amiaza. Unul dintre ei a fost prins de către niște vecini curajoși și predat poliției. Până să vină poliția, tot cartierul a ieșit în stradă și vecinii mei, dintre care un carabiniere, au fost nevoiți să-l apere pe infractor de furia oamenilor care vroiau să-l linșeze.  “Să sperăm că nu e român”, mi-am spus, în gând, și m-am simțit vinovată că am căzut și eu în capcana locurilor comune și a stereotipurilor. Cineva din mulțime a spus că era o bandă de hoți albanzei. Am răsuflat ușurată…A doua zi, am aflat, de la niște prieteni polițiști,  că erau, de fapt, români, recidiviști, și că au comis,  lunile trecute, alte furturi la Parma. În fața școlii, grupuri de părinți discutau aprins despre ceea ce se întâmplase cu o zi înainte și cuvintele questi rumeni di merda erau un laitmotiv al dezbaterilor. Unii dintre părinți, care mă cunoșteau bine, din delicatețe, spuneau că hoții erau extracomunitari, și nu români. Îi vedeam stânjeniți și le-am apreciat bunul simț.

Public des pe blogul meu articole,  în italiană,  despre România.  Am scris despre Cluj, București, Timișoara, despre Voroneț, Salina din Turda, sau Transfăgărășan, despre Sfântul Andrei,  despre Meșterul Manole, despre etnogeneza poporului român, despre Brâncuși, despre românii care au câștigat Premiul Nobel, despre Luminație și Cimitirul Vesel,  despre Pădurea Baciului. Mă bucur când văd că sunt mulți italienii care citesc articolele, le publică pe pagina lor de facebook și comentează pozitiv, unii dintre ei mărturisesc chiar că descoperă o alt fel de Românie. Când am decis să creez un blog bilingv, în italiană și română, tocmai asta a fost intenția mea, aceea de a vorbi despre România,  fără clișee și fără stereotipuri, mult prea prezente în percepția colectivă a italienilor. Nu sunt naivă și nici nu am aroganța de a fi convinsă că voi schimba imaginea țării noastre. Cred, însă, că imaginea unei țări nu o face un guvern, nu o fac departamentele de comunicare și nici un ministru,  trecător prin vreun minister.  Imaginea României în Italia e ca un puzzle imens, alcătuit din imaginea fiecăruia dintre cei peste 1 milion de români care trăiesc aici. Blogul meu e doar o parte, minusculă,  din acest puzzle, dar nu vă ascund că sunt fericită de fiecare dată când vreun cititor italian îmi scrie și consider că fiecare apreciere e adresată, în mod indirect, țării mele.

Nu am vrut să scriu nimic despre Ziua Națională a României, dar nu pentru că nu-mi iubesc țara. Am sentimentul că,  orice aș scrie,  ar putea fi perceput ca patriotism gol și urăsc orice formă de patriotism declarativ, sau de naționalism de paradă. Nu am scris niciodată scrisori în care să-mi declar iubirea de țară și văd că presa e plină de ele,  în aceste zile.

“Cum, nu scrii nimic despre Ziua Națională”, m-au întrebat unii și alții. Mai ales în acest moment istoric, în care diaspora pare că a asumat rolul unui fel de guru spiritual pentru poporul român. Ar fi trebuit, poate, să scriu despre mândria de a fi român sau să vă “învăț”, pe cei de acasă, cum să vă iubiți țara. Eu sunt atipică și prefer să încerc să îi ajut pe italieni să ne iubească mai mult sau măcar să ne înțeleagă. Sunt mândră că sunt româncă, dar o arăt iubind limba română și scriind corect românește, ceea ce nu se poate spune despre “patrioții” gălăgioși de pe rețelele de socializare, spre exemplu. Îmi iubesc țara, pentru că mă doare atunci când aud în jurul meu: questi rumeni di merda și, credeți-mă, mîndria de a fi român e pusă la grea încercare în astfel de momente. Nu știu nici măcar dacă trebuie să mă consoleze faptul că același italian care a postat pe facebook, zilele trecute,  cuvinte dure la adresa hoților români din zonă, a publicat, tot pe pagina lui,  multe din articolele mele despre România, de pe blog.

Complicat subiect mi-am ales, ăsta cu patriotismul…știam eu de ce nu vroiam să scriu nimic despre Ziua Națională.

La mulți ani, România, oriunde ai fi!




Sant’Andrea, la notte degli spiriti: aglio, cipolla e tanto mistero

Spesso mi chiedono se noi, gli ortodossi, siamo cristiani e più spesso sono i bambini che rivolgono questa domanda a mio figlio. La risposta è sempre la stessa: siamo cristiani grazie a Sant’Andrea, l’apostolo che, probabilmente, intorno al 50 d.c.,  convertì al cristianesimo i daci (gli antenati del popolo rumeno), ancora devoti al culto del loro dio Zamolxis.  “Il nostro Sant’Andrea?”, segue la domanda che dimostra l’incredulità davanti una simile “scoperta illuminante”.  Il “vostro” Sant’Andrea è il santo patrono della Romania,  sono più di 700.000 i rumeni che portano il nome di Andrei o Andreea (variante femminile) e che festeggiano il loro onomastico il 30 novembre, giorno dichiarato anche festa nazionale.
sf andrei
La prima chiesa cristiana apparsa sul territorio romeno fu adibita in una grotta della regione Dobrogea, nel sud-est della Romania.  Si racconta che l’Apostolo Andrea, il primo discepolo di Cristo, giunto in Scizia Minore (la Romania di oggi), per diffondere la parola di Dio,  si rifugiò in questa zona dalle persecuzioni dei romani e i sacerdoti del culto locale lo ricevettero a braccia aperte, ospitandolo in una grotta in cui fu ulteriormente scavata la chiesa a lui dedicata.  Nelle vicinanze si trova anche la Sorgente di Sant’Andrea. Secondo la tradizione, quando il Santo Apostolo Andrea giunse in queste terre  non trovò in nessun posto dell’acqua, e allora colpì con il suo bastone la roccia nel posto dove c’è oggi la sorgente e l’acqua cominciò a sgorgare. La Grotta è un importante luogo di pellegrinaggio e di turismo religioso in Romania. 

Fin qui niente di strano. Il giorno di sant’Andrea è carico di sacralità  ma anche di tanta magia che rende questa festa veramente unica, grazie al suo intreccio, quasi mistico, tra elementi religiosi e riti pagani. La festività dedicata al santo coincide con un’altra festa pre-cristiana dedicata al lupo, che a quei tempi era adorato dai daci come una divinità.  Non a caso, lo stemma dei guerrieri era un drago con la testa di lupo. La notte tra il 29 e OLYMPUS DIGITAL CAMERA30 novembre viene chiamata anche la notte del lupo, giorno che porta l’inverno. Anche la figura popolare del santo è molto legata a quella del lupo, poiché  si crede che il santo stesso, in questo giorno raccoglie tutti i lupi e distribuisce ad ognuno una preda per tutto l’inverno. In alcune regioni della Romania si narra che in questa notte gli animali parlano tra di loro nella lingua universale, comprensibile anche dall’uomo. Purtroppo tale rivelazione, se ascoltata dalle orecchie umane, potrebbe costare molto caro… l’uomo perderebbe l’udito, se non la vita.

Nella tradizione popolare, questa notte è conosciuta soprattutto come la notte degli spiriti, degli strigoi,  delle figure mitologiche, una specie di morti viventi, che solo questa notte abbandonano le loro tombe e vagano sulla terra,  provocando diverse malefatte:  fanno impazzire gli uomini, distruggono i raccolti, fanno ammalare gli animali,  torturano e succhiano il sangue dei vivi, rovinano la bellezza delle ragazze, rapiscono i bambini senza battesimo e gli uomini con molti peccati.  Per proteggersi dalla forza malefica di questi morti viventi, esistevano – e tutt’ora sono conservate – una varietà di tradizioni, superstizioni ed usanze nelle quali il paganesimo si scontra con il cristianesimo. Stanotte si chiudono tutte le finestre e le porte delle case e vengono anche unte di aglio per tenere lontani gli spiriti malvagi.usturoi Si devono, inoltre, coprire tutti i fori che possano permettere l’entrata in casa. Le donne hanno il ruolo di proteggere la propria famiglia mettendo sottosopra tutte le pentole di casa, oppure spargendo per la casa pezzi di pane, in modo che gli spiriti maligni si fermino a raccorglierli evitando di entrare in casa. Ricordo che noi, i bambini, avevamo il compito di fare delle grosse trecce d’aglio, che si mettevano poi sopra le porte, ma anche quello di coprire tutti i buchi di porte e finestre, sempre con aglio, per non lasciare spazio agli spiriti di entrare.  E’ inutile dire che l’odore forte di aglio allontanava qualsiasi essere,  vivente o no,  che si avvicinava alle case!!cimitir

Quello che più mi incuriosiva e allo stesso tempo mi terrorizzava era un altro rituale, a cui i bambini non potevano assistere, per rivelare l’autore di un crimine o di un furto. Anche gli investigatori più bravi ne sarebbero invidiosi! Un gruppo di uomini andavano al cimitero a mezzanotte muniti di candele e di un vaso pieno di acqua benedetta con delle monete d’argento dentro. Si posava il vaso su una tomba abbandonata, si accendevano le candele e si pregava  finché nell’acqua non compariva l’immagine del criminale o del ladro. Qualcuno giura che tutto ciò, spaventosamente,  si avverava…

La notte tra il 29 novembre e il 30 è anche la notte durante la quale le ragazze possono conoscere il loro futuro e vedere il futuro sposo, guardando il fondo di un pozzo alla luce di una candela o mettendo 41 semi di mela o dei fiori secchi di basilico sotto il cuscino. Confesso che nella mia vita ho mangiato tante mele solo per raccogliere i 41 semi che avevano il potere di svelare il mio futuro amoroso. Il divertimento più grande era il giorno dopo, quando le amiche si raccontavano i sogni fatti la notte prima. Io mi ricordo uno solo, indimenticabile: quello in cui Chuck Norris si sposava per la settima volta… con me! Dovete ammettere che sant’Andrea ha parecchio senso dell’umorismo!

busuioc andreTra tutte le tradizioni legate alla notte di Sant’Andrea c’è una che, da piccola, mi piaceva più di tutte: era quella che sostituiva il lavoro di qualsiasi meteorologo esperto. Si prendevano 12 cipolle, una per ogni mese dell’anno, si mettevano nella soffitta, lontano dalla luce del sole e si lasciavano lì fino alla vigilia di Natale. Si tagliavano in due e quello che si trovava all’interno si interpretava in questo modo: ogni cipolla che usciva marcia dentro significava un mese di precipitazioni, quelle che avevano germogliato indicavano i mesi propizi per l’agricoltura. Forse c’è poco di scientifico, ma vi assicuro che le previsioni meteo “lette” nelle cipolle erano quasi sempre precise. Così come anche quelle indicate dalla luna: se era piena e il cielo sereno, l’inverno sarebbe stato caldo; se la luna era piena ma il cielo scuro, oppure se pioveva o nevicava, l’inverno sarebbe stato lungo, rigido e con tanta neve.

Mentre scrivo guardo fuori dalla finestra, il cielo è ricoperto di nuvole,  la luna… non la vedo… chissà come sarà quest’inverno… Meglio preparare l’aglio!




Unde-i dreapta, unde-i stânga?

Am așteptat să treacă euforia,  aproape isterică,  a alegerilor, să se potolească spiritele pe rețelele de socializare, să se împace frații și cumnații, certați din pricini poilitice, să-și vorbească din nou vecinii, iar copiii din diasporă să îi “ierte” pe părinții care au votat cu Ponta.  Am așteptat să ne întoarcem la normalitate. Acum, că nu au venit comuniștii, suntem cu toții mai liniștiți, mai siguri în propria țară și ne putem pregăti,  așa cum se cuvine,  să sărbătorim 25 de ani de la căderea comunismului.

Mă întreb dacă maestrul Radu Beligan a fost iertat, pentru că l-a susținut pe Ponta.  Sau dacă Nicu Alifantis și Tudor Gheorghe vor mai cânta. Dacă “lista rușinii”, așa cum o numeau unii, cea a artiștilor care l-au susținut pe Victor Ponta, a fost uitată,  sau doar aruncată în vreun sertar.  Sigur că,  simplul fapt că s-a creat și publicat o astfel de listă,  ridică multe semne de întrebare asupra tinerei noastre democrații. Nu știu dacă Tudor Chirilă și-a revenit după “campania jegoasă a PSD-ului” și dacă a reușit să deschidă toate ferestrele “ca să iasă mirosul de mitocan”,  neapărat,  de stânga.

În ultima campanie electorală, adevărații purtători de cuvânt ai candidaților și,  totodată,  adevărații lideri de opinie au fost artiștii. Totul ar fi fost perfect normal pentru o țară democratică, dacă nu s-ar fi transformat într-un război deschis între noi și voi, prea des excesiv în limbaj și radical în conținut. Știu că e la modă în România să fii de dreapta, să-ți demonstrezi cu toată forța “anticomunismul” și să fii intolerantc cu oricine manifestă tendințe de stânga. Chiar dacă e vorba de un mare actor sau de un artist pe care l-ai admirat,  până ieri, dar a  pierdut din valoare,  doar pentru că a votat cu Ponta.

E ca și cum, spre exemplu, un artist ca Roberto Benigni, câștigător al premiului Oscar, pentru filmul La vita è bella, regizor, actor, showman foarte apreciat în Italia, ar fi fost pus pe o imaginară “listă a rușinii”, doar pentru că e de stânga. Sau Dario Fo, premiul Nobel pentru literatură, care și-a exprimat, în repetate rânduri, în mod deschis,  afinitățile de stânga.  Un artist internațional,  ca Zucchero,  ia parte frecvent la megaconcertul anual organizat de cître Partidul Comunist Italian și celelalte partide de stânga, sub numele de Festa dell’Unita, sau Festa Democratica.  La fel ca și Jovanotti, Ligabue, Vasco Rossi, Gianni Morandi și mulți, foarte mulți cântăreți italieni,  participă,  în mod activ,  la viața socială și politică a Italiei, chiar dacă nu sunt înscriși în vreun partid sau nu candidează.  Critică, iau poziție, atunci când e nevoie, își exprimă opinia în mod democratic și decent, nu atacă niciodată colegii de dreapta și nu ezită să cânte,  împreună cu ei,  atunci când se organizează concerte în scop umanitar. E ca și cum l-am vedea pe aceeași scenă pe Tudor Chirilă și Tudor Gheorghe, spre exemplu. E un interesant exericțiu de imaginație, nu-i așa? Albano e de dreapta, la fel și Ricchi e Poveri, dar au urcat,  sute de ori,  pe scenă cu Gianni Morandi, spre exemplu, care e,  din tată în fiu,  comunist.

Tendința generală este ca artiștii și intelectualii, în general,  să fie de stânga, pentru că dreapta este asociată, în mod paradoxal pentru noi, românii, cu lipsa libertății de exprimare. Motivele sunt de natură istorică: după cel de-al doilea război mondial, comunismul s-a manifestat ca o reacție naturală împotriva fascismului, în consecință, stânga era antifascistă, și tocmai de aceea a avut atât de mulți susținători. Asta nu înseamnă, însă, că cei de dreapta au fost înlăturați din viața publică, dintr-un motiv simplu și banal: democrația nu e un concept abstract. Vreți să vă dau un exemplu? Nepoata lui Benito Mussolini, Alessandra Mussolini, (tatăl ei e unul dintre fiii lui Mussolini),  e în politică de peste 20 de ani, a fost parlamentar, europarlamentar, ministru, purtând cu mândrie numele bunicului fascist, fără consecințe asupra carierei sale politice. Imaginați-vă în România un nepot de-al lui Ceaușescu ministru sau parlamentar… Vă propun un alt exercițiu de imaginație. Puțini știu, probabil, că Sofia Loren, una dintre cele mai mari actrițe din lume, e înrudită cu Mussolini. Sora ei e tocmai mama Alessandrei Mussolini. Sofia Loren nu a ascuns nicio clipă legăturile ei de familie, iar Alessandra Mussolini nu a ezitat niciodată să vorbească despre mătușa Sofia Loren. Ce s-ar fi întâmplat, oare, dacă Sofia Loren s-ar fi născut în România? Ok, aveți dreptate, poate că am exagerat un pic cu exercițiile de imaginație. Am vrut doar să vă povestesc cum e în Italia cu artiștii de stânga și cu cei de dreapta. Ceea ce vroiam să spun, de fapt, este că există dreapta, există stânga, există Partidul Comunist, există partide de extremă dreapta, există partide radicale, există și coexistă cu toții, în numele democrației, iar uneori sunt nevoiți să guverneze împreună, să accepte compromisuri politice.

Din toată campania electorală,  care tocmai s-a încheiat, soțul meu a înțeles un singur lucru: că în România exista riscul să vină, din nou,  la putere comuniștii. “Care comuniști???,  a întrebat el. “Cred că ultimul comunist în România e tatăl tău, singurul care nu a devenit un prosper om de afaceri după revoluție!”

Un mare artist italian, Giorgio Gaber, a scris, în anii ’90 un cântec, care se numește “Dreapta-stânga”. Redau doar câteva versuri, care mi se pare extrem de sugestive, pentru a înțelege cum se schimbă totul, în funcție de perspectiva din care sunt privite lucrurile: “Blugii sunt de stânga, cu sacou, însă, sunt de dreapta/Concertul pe stadion e de stânga, dar prețurile sunt de dreapta/ Șpaga e,  neapărat,  de dreapta, dar se dă cu acordul celor de stânga/ Nu se știe dacă norocul e de dreapta, dar ghinionul e, cu siguranță, de stânga”.