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Rom, Romeni, Romania…

Sulla spiaggia dove vado,  tutti i giorni passano donne rom con i bambini piccoli in braccio che chiedono elemosina. Oggi, una di loro ha fatto scendere il bimbo che teneva in braccio e che camminava appena,  l’ha preso per mano, e insieme hanno passeggiato per un po’ sul bagnasciuga. Quando le onde gli bagnavano i piedi, il bambino rideva, felice, come se avesse scoperto la cosa più bella al mondo! Li guardavo e la scena mi è sembrata molto tenera.

Altri rom che passano sono venditori ambulanti di tovaglie, tubi per il giardino, accendini, ventagli, calamite decorative ecc. Alcuni di loro ti chiedono se vuoi comprare e passano all’altro ombrellone, altri insistono maleducatamente e non manca chi, allontanandosi, dice qualche brutta parola, in rumeno, indirizzata ai compratori mancati. La reazione istintiva di tutti quando li vedono arrivare è di guardarsi bene i bambini e le borse.

Ieri si è scatenato un dibattito molto acceso sui rom, che, a tratti, sconfinava nella discriminazione.  Di solito non partecipo, perché so bene quanto delicato sia questo argomento, ma ieri non ho avuto scelta. “Ma i rom e i romeni sono la stessa cosa?“… eh, sì, ancora questa domanda!!! Il popolo dei rom ha una storia antica, origini indiane e una propria lingua, il romani/romanes, affine al sanscrito, lontanissimo dalla neolatina lingua romena.  Nel mondo ci sono tra 10 e 12 milioni di rom, la maggioranza dei rom/sinti che vivono in Italia hanno cittadinanza italiana, ma quelli che suscitano l’interesse dei media sono sempre i rom rumeni, circa 50.000, a tal punto da creare nella gente la confusione che  “rom” e  “romeni” siano due sinonimi della stessa parola a causa della stessa radice lessicale. Ad un certo punto, durante la discussione,  è arrivato il “verdetto” di una signora molto distinta, una insegnante in pensione,  che ha inequivocabilmente sancito: “Tutto quello che succede in Italia è colpa di questi romeni“,  c’è stato l’imbarazzo totale.  Fino a qualche tempo fa avrei risposto subito dicendogli che quelli non erano romeni ma rom, come facevo quando qualche notizia di cronaca riportava in prima pagina i rom rumeni come protagonisti, con giornalisti convinti che l’assonanza dei termini li autorizzasse ad utilizzarli come sinonimi alimentando la già evidente confusione. Pensate che stanco della fuorviante discriminazione europea Rom/Romania, nel 2002 il governo rumeno ha chiesto e ottenuto alla Commissione Europea di cambiare il proprio identificativo nazionale da ROM a ROU, come è attualmente.
“Alcuni rom sono cittadini rumeni, ma non tutti i rumeni sono di etnia rom“, è la risposta più semplice che potevo dare sulla spiaggia, in una giornata di vacanza, torrida, in cui si dovrebbe parlare di cose meno impegnative. Visto l’interesse, però, ho aggiunto altro: in Romania, ufficialmente, ci sono 619.000 rom, anche se le associazioni parlano di oltre 2 milioni, e sono una delle tante minoranze etniche (la più numerosa è quella ungherese seguita dalla tedesca, ucraina e italiana). I rom hanno una propria organizzazione mondiale con localizzazioni nazionali. Ad esempio in Romania hanno un proprio re, un imperatore, due partiti politici con tanto di rappresentanti in Parlamento; hanno anche un proprio modo di fare musica che in Romania assume la forma di una sorta di genere neomelodico napoletano/rumeno, il manele, suonato e cantato esclusivamente da rom, immancabile a tutte le feste  dei vip, con cachet altissimi, fino a 10.000 euro a sera. Alcune famiglie praticano ancora i mestieri tradizionali rom, tramandati da generazioni, e sono rudari (intagliatori), căldărari (lavoratori del rame),  lăutari (musicisti professionisti),  aurari (orefici), argintari (lavoratori di argento). Sono una minoranza estremamente ricca.
Le comunità hanno costruito veri e propri palazzi reali che danno un tocco di lussuoso kitsch alle città della Transilvania e che spesso sono stati oggetto di documentari realizzati dalle televisioni straniere. L’altra parte della comunità rom, la maggioranza, che vive in un totale degrado alla periferia delle città, pratica l’elemosina e vive di aiuti sociali.
I primi rom rumeni che sono arrivati in Italia, a partire dagli anni ’90, hanno chiesto asilo politico in seguito alle persecuzioni a cui erano stati sottoposti nel periodo ultra-nazionalista della storia post-comunista.  Poi sono arrivati altri e altri ancora, molti sono scappati dalla povertà e sono venuti in Italia e in Europa (quando ancora la Romania non ne faceva parte) alla ricerca di un lavoro. Purtroppo parte di questi Rom si sono inseriti facilmente nei circuiti del lavoro nero e dell’economia sommersa e questo ha alimentato l’idea che gli zingari sono in Italia per delinquere. Nonostante si tratti di una minoranza, i fatti di cronaca non hanno aiutato la comunità rom a dare un’immagine positiva di sé. Il presente è sotto gli occhi di tutti, ognuno può farsi la propria opinione, può cercare di interpretare la realtà per quanto complicata, può accusare o essere accusato di razzismo, può essere tollerante o intollerante, alla fine, la percezione verso i rom è soggettiva e personale.

Proprio per questo sono in difficoltà quando mi chiedono se io, da rumena, sono razzista verso i rom.
Nei miei ricordi d’infanzia indimenticabili ci sono le carovane degli țigani, zingari, che si fermavano spesso nel villaggio dei miei nonni. Mio nonno ha sempre avuto i cavalli più belli, comprati dal suo amico zingaro, che si chiamava Trandafir (lettaralmente “Rosa”), mia nonna comprava pentole e piatti sempre dagli zingari, e in cambio dava indumenti usati e mangiare per i cavalli. Il primo circo che ho visto, a cinque anni,  era di uno zingaro ursar (“domatore di orsi”), che non aveva altro che un orso e una scimmia. A scuola avevo molti amici rom. Nella mia città, una delle sette città sassoni della Transilvania, il centro storico era  (ed è ancora)  abitato da famiglie rom, insediate qui in seguito alla politica del regime comunista che aveva individuato qui un possibile centro di accoglienza. Ho imparato a convivere con loro e l’ho insegnato anche a mio figlio. Le prime volte che è andato in Romania  mi chiedeva sempre se era vero che i rom rubavano i bambini, come aveva sentito spesso dalle mamme dei suoi amichetti italiani. Mi chiedeva anche come mai non c’erano rom ad elemosinare per le strade della città. La nonna gli rispondeva scherzando che erano andati tutti in Italia.

So che la mia visione può sembrare troppo romantica per una realtà assai complessa, dopotutto era solo una conversazione da spiaggia, sotto l’ombrellone.
Per rimanere in tema di vacanze, ecco due consigli per le vacanze: il libro di Paolo Coelho, La strega di Portobello, la cui protagonista è una zingara dalla Transilvania, e Damian Drăghici, con il suo album di musica gitana (“Romanian Gypsy Pan Flute Virtuoso CD”), unico rom rumeno ad aver vinto un premio Grammy.




Toate drumurile duc (încă) la Roma

În ultimul timp, când merg acasă, constat că sunt tot mai puțini cei pe care îi aud că vor să plece să lucreze în Italia și tot mai mulți cei care îmi povestesc despre concediile pe care le-au făcut sau le vor face în Italia. Visul italian, care a atras în peninsulă, în ultimii 10 ani, peste 1 milion de români, a fost redimensionat și înlocuit, treptat, cu ceea ce aș putea numi “visul unor nopți de vară” la Roma, Milano, Veneția sau Florența.

Italia nu este destinația preferată a românilor pentru concedii, însă Roma rămâne orașul italian cel mai vizitat de către români, dar și de zecile de milioane de turiști străini care vin în fiecare an în Italia. Cred că explicațiile sunt de prisos și risc să cad în capcana locurilor comune și a stereotipurilor. E mult prea simplu să reduc farmecul Romei la istoria sa, la capodoperele de artă pe care le găzduiește sau la capodoperele mai recente, de natură enogastronomică, apreciate în egală măsură, la frenezia sa romantică, la dinamismul cu care încearcă să țină pasul cu vremurile. O adevărată provocare pentru un oraș odinioară caput mundi,  dar care riscă să rămână încremenit în timp, sub povara propriei istorii.

Orice aș spune despre Roma ar părea banal, previzibil, și nici măcar un mare regizor ca Woody Allen nu a reușit, în filmul său To Rome with love, să nu apeleze la clișee,  care i-au enervat pe criticii italieni de film, deloc generoși cu regizorul american.  Cum de altfel s-a întâmplat și cu un alt film amercian, Mănâncă, roagă-te, iubește, cu Julia Roberts,   în care Italia e descrisă epuizând tot repertoriul de stereotipuri: istorie, artă, mâncare bună, clima generoasă, simțul prieteniei, ospitalitate, arta de a trăi în spiritul lui carpe diem, bucurându-te de plăcerile simple etc.  Cu siguranță poate părea o abordare superficială, însă tocmai aceste locuri comune sunt cele care atrag în fiecare an turiștii din întreaga lume.

sorrento
Sorrento

Ca în fiecare vară, operatorii turistici italieni au realizat și în acest an, un fel de “portret robot” al turistului străin. Care sunt locurile preferate, ce tip de turism practică, cum se modifică gusturile și ce locuri noi descoperă străinii care aleg Italia pentru a-și petrece vacanța?

Roma, Milano, Veneția și Florența sunt orașele cele mai vizitate, iar nemții sunt turiștii cei mai îndrăgostiți de Italia, cu peste 12 milioane în fiecare an. Aleg marea, dar și vacanțele active în mijlocul naturii. Tocmai pentru că se întorc în fiecare an, nemții fac parte din imaginarul colectiv al italienilor ,  mai ales atunci când e vorba de vacanțele de vară.

De mulți ani, merg și eu în același loc la mare, așa încât pot spune că nemții sunt o prezență discretă și sobră pe plajele din sud, începând din iunie. Dacă se întâmplă ca apa mării să fie rece și vei vedea pe cineva că înoată temerar în mare, vei auzi imediat aceeași explicație: “numai un neamț poate intra în apa asta așa de rece!”. Ascultându-mi prietenii depănând amintiri din vacanțele de odinioară, am putut înțelege că mulți italieni și multe italience au învățat germana de dragul vreunui neamț sau vreunei nemțoaice cunoscuți într-o vară romantică.

Cancelarul Germaniei, Angela Merkel,  vine de ani buni tot în sud,  lângă Napoli, pe insula Ischia, unde e considerată de-a casei, și unde preferă să rămână departe de privirile curioase ale paparazzilor.

Nu toți cancelierii Germaniei au putut alege întotdeauna să-și petreacă vacanțele în Italia, unde să se simtă ca acasă. În vara lui 2003, a existat o criză diplomatică între Germania și Italia,  care a avut consecințe în bilanțul agențiilor de turism și, ceea ce e mai grav, în amintirile de vacanță, mult mai sărace ale multor italieni.

Totul a început de la niște glume neinspirate ale premierului de atunci, Silvio Berlusconi, glume care, de altfel, au făcut înconjurul lumii, referitoare la președintele Comisiei Europene, Martin Schulz, pe care îl comparase cu un “kapò nazist”. A urmat un adevărat război diplomatic, pe care Berlusconi, tot neinspirat și nediplomatic, s-a gândit să-l dezamorseze declarând că nu înțelege revolta nemților, “atât timp cât aceștia nici măcar nu cred în existența lagărelor de concentrare”. Cancelarul de atunci, Gerhardt Schroeder, și-a anulat imediat vacanța în Italia, în semn de protest, și, o dată cu el,  zeci de mii de nemți care intenționau să-și petreacă vacanța aici. Din fericire totul a durat doar o vară.

Toscana
Toscana

Revenind la turiștii străini și la motivele pentru care aleg Italia, englezii și francezii preferă refugiile romantice, nu plajele aglomerate și,  adesea,  pestrițe. Se retrag în Toscana, Umbria, Puglia, în mijlocul naturii încântătoare, sau la Sorrento, Amalfi și Positano, unde peisajul e de o frumusețe greu de imaginat și imposibil de uitat.

Americanii aadoră orașele de artă, Roma, Florența, Veneția, la fel ca și spanioli. Japonezii și rușii apreciază mult moda, stilul made in Italy și tocmai de aceea îi puteți întâlni la Milano și în toate outlet-urile din Italia. Chinezii au descoperit recent farmecul locurilor mai puțin previzibile, cum ar fi Napoli, Lago di Como sau Cinque Terre, chiar dacă nu renunță la shooping, în Roma sau Milano.

Rușii sunt ultimii intrați în clasamente,  însă, în scurt timp, au devenit o forță luată tot mai mult în considerare de către operatorii turistici. Numărul rușilor a crescut atât de mult, încât,  în unele stațiuni de la mare, a doua limbă vorbită, după italiană, e rusa. Rușii sunt peste tot la mare: Riccione și Rimini sunt printre locurile lor preferate, dar au invadat și plajele din sud, din Capri, Amalfi și Sorrento ( am simțit asta pe propria piele. mai ales că nu sunt întotdeauna o prezență discretă, cum sunt nemții).  Nu întâmplător, la începutul verii, a fost publicat și distribuit, pe plajele din Versilia,  un manual bilingv, în italiană și rusă, care conține regulile de bonton pe care turiștii ruși sunt invitați să le respecte.

puglia
Puglia

Marea revelație pentru turiștii străini este regiunea Puglia, acolo unde se află tocul cizmei, pe harta Italiei. De cînd Jessica Biel și-a organizat aici nunta cu Justin Timberlake și a cheltuit 5 milioane de euro, agențiile englezești de extra-lux au propus Puglia ca un loc ideal pentru o nuntă de vis. Arabii și indienii au recepționat imediat mesajul și organizează aici nunți demne de “o mie și una de nopți”. Puglia e și unul dintre locurile preferate ale francezilor, buni cunoscători al lui savoir vivre, amatori de natură necontaminată, bucătărie tradițională și vinuri bune. Acestea sunt și motivele pentru care Gerard Depardieu își petrece bună parte din an în Puglia, la Lecce, oraș numit de către italieni, “Florența sudului”.

În timp ce scriu, îl aud pe băiatul meu repetând cu sârg niște fraze în germană, pe care le-a învățat de la Karl, prietenul lui de jocuri pe plajă, care, întâmplător, sau poate nu, e fiul unei nemțoaice pentru care am aflat că mulți au învățat germana cu vreo 30 de ani în urmă…




“Pui pe sticlă”, c’è un pollo sulla mia birra!

pollo sulla bottigliaQuando ho cucinato per la prima volta in Italia il pollo sulla bottiglia (come una ricetta rumena particolare, a grande richiesta) sapevo che si sarebbe arrivato a parlare di Dracula o, meglio, di Vlad l’Impalatore. “Si vede che siete i suoi eredi, ha detto un amico, impalate persino i polli…”. La scena era tragicomica: il povero pollo che troneggiava nel forno su una bottiglia di vetro e tutti che lo guardavanocuriosi…tra battute, alcune originali, alcune “prestate” dai comici (vi ricordate la parodia dei Negramaro che faceva qualche anno fa Checco Zalone, quando cantava la canzone Lu pollu cusutu n’ culu ?) ed esclamazioni che si alternavano tra terrore e divertimento, passando per la pietà per il povero pollo. Il dubbio più frequente che veniva agli intenditori di cucina era perché sottoporre il pollo ad un trattamento simile, quando c’era l’alternativa meno crudele del pollo arrosto? Quando hanno cominciato a mangiare hanno capito la differenza. Il pollo cucinato sulla bottiglia ha due grandi qualità: è morbido ed aromatico dentro, croccante e saporito fuori. In più, il vino o la birra con la quale deciderete di riempire la bottiglia, con l’insieme di erbe aromatiche, daranno un profumo particolare alla carne.

 La ricetta è molto semplice, ma la preparazione del pollo necessita un paio d’ore prima di metterlo nel forno.

  • Lavate bene il pollo, che sceglierete in base alla grandezza del vostro forno. Spalmatelo, all’interno e all’esterno, con olio e un mix de erbe aromatiche e spezie:  aglio a piacere, sale, pepe, rosmarino, paprika dolce.
  • Lasciate riposare il pollo speziato nel frigo per un paio d’ore
  • Riscaldate il forno a 180 gradi
  • Svuotate a metà una bottiglia di birra (o vino se desiderate) e aggiungete acqua. Se volete preparare la versione analcolica svuotatela del tutto e riempitela con acqua o con brodo.
  • Posizionate il pollo verticalmente, seduto sopra la bottiglia e mettetelo in una pirofila con un bicchiere d’acqua. Durante la cottura, aggiungete altra acqua se si asciuga troppo.

Il tempo di cottura necessario è di circa un’ora, ma lo capirete da soli dal colore che prenderà il pollo fuori e dalla sua croccantezza. La cottura sarà a metà tra arrosto e bollito, più saporito del primo e meno insipido del secondo.




Quel cattolico ortodosso di mio figlio!

Mio figlio è battezzato cattolico ed è praticante ortodosso. Lo so che può sembrare un paradosso, ma ho voluto che crescesse nello spirito “ecumenico” di uno che è nato in una famiglia mista, non solo dal punto di vista etnico ma anche religioso. Ha imparato a fare il segno de la croce quando era piccolo, per imitazione mia e così, all’inizio, lo faceva come gli ortodossi: sempre “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (“în numele Tatălui, al Fiului și al Sfântului Duh”), ma, sullo “Spirito Santo”, la croce si fa a destra e non a sinistra, come i cattolici.
Quando ha iniziato a studiare religione a scuola, ha cambiato “direzione” e faceva la croce da sinistra a destra. Ha avuto un periodo di evidente confusione, perché in Romania, quando passava davanti a una chiesa, voleva farsi la croce e non sapeva se farla come un cattolico o come un ortodosso. Quando accompagnava la nonna rumena alla messa (e grazie alla nonna che è diventato un “aspirante” ortodosso), voleva farla come lei, ma spesso si confondeva. La nonna gli ha spiegato che deve fare il segno della croce come se la sente. Per adesso, suppongo per non far arrabbiare nessuno, lo fa a giorni alterni, cattolica e ortodossa.
Un giorno è tornato da scuola e mi ha detto che aveva fatto il segno della croce ortodosso e che i bambini gli avevano chiesto perché la faceva così. Quando ha risposto che lui è “metà ortodosso e metà cattolico”, gli hanno chiesto se gli ortodossi erano cristiani. Confesso che era una domanda piuttosto inaspettata. L’insegnante di religione gli ha proposto di prepararsi per la prossima lezione e di parlare ai bambini di che cosa fanno di diverso gli ortodossi dai cattolici, oltre che al segno della croce. Mio figlio era molto preparato, soprattutto perché quel mese all’anno che passava con i nonni materni in Romania era per lui un’esperienza quasi… mistica, a tal punto che mio marito mi raccomandava sempre di non far diventare nostro figlio “popă” (il prete rumeno).
Ha cominciato spiegare ai bambini che anche gli ortodossi sono cristiani perché credono in Cristo. Poi ha raccontato del pane santo, questo gli piace molto. Davanti all’altare, dalla prima mattina, si mette un vaso con il pane benedetto, tagliato a cubetti, che ogni credente o anche solo passante che entra in chiesa per dire una preghiera, può prendere. E’ il corrispondente dell’ostia che si distribuisce alla fine della messa cattolica. Solo che il pane santo degli ortodossi è di tutti e Matteo passava ogni mattina a prendere qualche cubetto. La verità è che si riempiva le tasche… Quando non andava alla messa, chiedeva alla nonna, appena entrava in casa, se gli aveva portato il pane santo.
Va in chiesa anche per il coro dei ragazzi, studenti di teologia, che cantano divinamente durante la messa, anche se lui non sempre capisce le parole.
Poi ci sono le icone che riempiono le chiese ortodosse, non ci sono statue, solo icone, tante, dipinte sul vetro o sul legno. Molte con l’immagine della Vergine Maria insieme al piccolo Gesù. Quando si entra in chiesa, si bacia l’icona che si trova davanti all’altare e si fa il segno della croce. Ha raccontato anche di una volta che, mentre ascoltava la messa, il giovedì prima di Pasqua, la messa più lunga dell’anno perché si leggono frammenti dei dodici Vangeli, guardava incuriosito le icone e, ad un certo punto, mi ha detto: “Mamma, hai visto che la Madonna ha le rughe?”. L’hanno sentito tutti, meno male che l’hanno capito in pochi.
Come poteva non raccontare di quello che era accaduto qualche anno fa durante la messa del Venerdì Santo, quando i credenti, con candele accese in mano, circondano la chiesa, pregando e ripetendo le fermate del Golgota, nel Venerdì nero, della crocifissione. Mentre camminavano qualcuno ha iniziato a gridare: “State bruciando i capelli al bambino!!!”. Il bambino era Matteo, qualcuno disattento dietro di lui gli ha bruciato i capelli con le candela.
Poi i santi… Ha spiegato ai bambini che lui festeggia l’onomastico due volte, il 16 settembre e il 21 novembre, San Matteo e Sfântul Matei. In questo è fortunato, perché gli ortodossi festeggiano pochi santi, gli apostoli e gli evangelisti. In Romania non c’è l’onomastico, e né i nonni né i genitori, gli zii, le zie, nessuno lo può festeggiare. E questa cosa i bambini della classe di Matteo non l’hanno gradita tanto.
Le preghiere le ha imparate in rumeno. Padre Nostro (Tatăl Nostru), è uguale, e lo sa bene in rumeno. Quando lo deve dire in italiano fa, nella mente, la sua traduzione, che non è sempre quella corretta. Ma il senso rimane. Per Caterina, la sua amica rumena che vive in Sardegna, è ancora più complicato. La mamma è di origini sassone e gli ha insegnato Padre Nostro in tedesco, a scuola l’ha imparato in italiano e la nonna gliel’ha insegnato in rumeno. Una volta siamo andati insieme a una messa, in Romania e, quando è arrivato il momento del Padre Nostro ha chiesto alla mamma in che lingua doveva dire la preghiera?
La preghiera preferita di Matteo è una che gli ho insegnato quando era piccolino: “Înger, îngerașul meu, roagă-te la Dumnezeu. Eu sunt mic, tu fă-mă mare, eu sunt slab tu fă-mă tare, și de rele ma ferește și-n tot locul mă păzește. Amin”. In traduzione libera sarebbe: “Angelo, angioletto mio, prega a Dio. Io sono piccolo, fammi diventare grande, io sono debole, fammi diventare forte, difendimi dal male e proteggimi ovunque.”
La quaresima è tutto l’anno, non solo prima di Pasqua, ha continuato a spiegare ai bambini, esagerando un po’, poi ha aggiunto che la nonna non mangia quasi niente nei 40 giorni prima di Natale e prima di Pasqua, due settimane a giugno, due ad agosto… Non mangia carne, latte, uova, niente di origine animale, pesce solo se nel calendario ortodosso c’è scritto “dezlegare la pește”. Una volta è venuta a Pasqua in Italia e ha dovuto chiedere al prete una specie di permesso per poter interrompere la quaresima, permesso accordato dalla chiesa ortodossa ai viaggiatori e ai malati.
Quello che ha sorpreso più di tutto gli amici di Matteo è quando gli ha raccontato che a volte, nel cortile della chiesa, gioca insieme ai figli del parroco, che accompagnano il padre tutte le domeniche alla messa. Che altra spiegazione poteva dare un bambino di 10 anni se non la più semplice: “i preti ortodossi si sposano e hanno famiglia.”
Alla fine i bambini gli hanno chiesto perché non faceva la comunione. Perché gli ortodossi non hanno né la comunione, né la cresima.
“Peccato, hanno risposto i bambini, così non fai la festa e non ricevi regali”.
“E’ vero, ha risposto Matteo, ma in cambio festeggio due onomastici.”