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I Premi Nobel erranti della Romania

Il vincitore del Premio Nobel per la Chimica 2014 si chiama  Stefan W. Hell  (premiato insieme agli americani Eric Betzig e William E. Moerner).
Stefan è tedesco nato e cresciuto in Romania.
Questa è la storia di un ebreo, due tedeschi e un americano…. tutti rumeni, tutti premi Nobel!
Uniti da un destino comune, segnato dall’appartenenza a un paese, la Romania, e alla sua storia tormentata degli ultimi 60 anni, furono obbligati a scappare, per salvarsi, per sopravvivere e per seguire i propri sogni.  Si potrebbe ricorrere a una frase fatta, pronunciata troppo spesso dalle nostre parti (oggi purtroppo attuale anche in Italia) : “spesso bisogna andare lontano per affermare le proprie ambizioni”.  In questi giorni,  nel mio paese, politici, opinionisti, analisti, gente comune si sono lanciati in commenti sterili su questo tema;  una domanda tra tutte, quasi retorica: “se fossero rimasti in Romania, sarebbero ugualmente riusciti a vincere un Nobel”?
Credo che invece di chiedersi se avessero comunque fatto la storia, sarebbe forse più giusto domandarsi se fossero sopravvissuti alla storia!

Stefan Hell è nato in Romania, nel 1962, nella cittadina di Arad, in una famiglia di șvabi (cittadini di origine sassone) che è emigrata in Germania, nel 1978.  Ha vissuto in Romania per 16 anni e, a sentire il suo racconto, la passione per la chimica è nata mentre frequentava il Liceo Nikolas Lenau di Timisoara, lo stesso che ha frequentato un precedente vincitore del premio Nobel, questa volta, per la letteratura, la scrittrice Herta Muller. La loro storia personale si incrocia con la storia di un paese, che, per più di quarant’anni, è stato vittima di una dittatura comunista dalla cui follia senza limiti volevano fuggire tutti. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la fuga era all’ordine del giorno, perché non c’era speranza. Tutti volevano fuggire, anche a costo della morte. Dal 1968 al 1989, oltre 200.000 cittadini rumeni di etnia sassone hanno lasciato la Romania. Nessuno poteva lasciare la nazione ma, per accordi con Israele e la Germania Federale, i sassoni e gli ebrei dietro lauto compenso (spesso coperto dalle rispettive nazioni), potevano ricongiungersi agli stati di origine. Il dittatore Ceaușescu capì presto quanto potesse essere redditizio questo commercio umano e rimarranno nella storia le sue parole: “Il petrolio, gli ebrei e gli șvabi sono le merci più ricercate da esportazione“. A partire dal 1978, il “prezzo” di un cittadino rumeno e della sua rimpatriata in Germania fu stabilito a 4000 marchi, per poi arrivare, nel 1988, a 8950 marchi.
Il neo premio Nobel per la Chimica, Stefan W. Hell,  ha lasciato la Romania nel 1978, insieme alla sua famiglia,  pagando probabilmente anch’egli  in marchi  il prezzo della propria libertà.  “Andarmene via è stato un grande sollievo per me, la Romania era un paese comunista dove non ti era permesso di dire quello che pensavi. Da un altro lato, invece, la scuola che ho seguito a Timișoara era molto buona e gli studi fatti lì mi hanno arricchito di conoscenze più avanzate di quelle dei miei colleghi tedeschi“, ha dichiarato recentemente in un’intervista Hell. Per lui, il “luogo dove sei nato è un posto speciale, che ti rimane nel cuore, ovunque tu vada“.  A volte la memoria di questi luoghi è tenera e i ricordi sono pieni di luce, a volte invece sono sommersi nel buio del terrore. E’ questo il caso di Herta Muller, che ha sviluppato il suo stile letterario proprio tra ombre soffocanti che avvolgevano la sua memoria, ottenendo il Nobel nel 2009 grazie alla “concentrazione della sua poesia e alla franchezza della sua prosa con le quali ha saputo descrivere il paesaggio dei diseredati” come si può leggere nella motivazione dell’Accademia di Stoccolma.
La scrittrice, poetessa e saggista è nota per la descrizione della dura vita sotto il regime comunista di Ceaușescu. Nel 1987 fuggì dalla Romania insieme al marito dopo essere stata licenziata nel 1979 (era traduttrice di tedesco) perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, la stessa che la seguì e la perseguitò negli anni a venire.  ” Ti rendevi conto che sono stati di nuovo a casa tua da un quadro o una sedia spostati”, racconta. ” Se senti il rumore dell’ascensore mentre sei in casa a leggere un libro e ti viene il panico perché credi che siano venuti a prenderti. Tutto perde la sua ovvietà, cambia la visione e la percezione delle cose. In Romania ero così estranea che ero devastata da quella che provavo. Non c’è niente di più orribile che essere estranea in una patria che ti vuole morta»
Quando finalmente riuscì a ottenere dalla Securitate il dossier di 914 pagine che la riguardava, Herta Müller scoprì che veniva definita “un pericoloso nemico dello Stato da combattere”. Il suo nome in codice non era più Herta, ma “Cristina” alla quale venivano addebitate “distorsioni tendenziose della realtà del Paese“,  contenute nei suoi due libri scritti in tedesco, pubblicati in Romania, ma violentemente tagliati dalla censura comunista.  

Se veramente la storia è la somma dei fatti che si succedono, a volte apparentemente sconnessi, e “a fare la storia sono gli individui che hanno vissuto un attimo diverso dall’altro“, come stessa Herta Muller sostiene, dalla stessa parte del mondo,  ma in un’epoca diversa, un altro rumeno, premio Nobel per la pace, Ellie Wiesel, ha dato il proprio contributo pagando uno dei dazi più terribili, l’Olocausto, sopravvivendo.

Wiesel è uno scrittore statunitense, di cultura ebraica e di lingua francese, nato in Romania, a Sighetu Marmației (nella regione di Maramureș), nel 1928, in una famiglia ebrea. Fu deportato nel 1944 ad Auschwitz,  insieme ai genitori a alle tre sorelle. I genitori e una delle sorelle morirono qui, invece le altre due sorelle le ritroverà, qualche anno dopo, in un orfanotrofio in Francia. Per dieci anni dopo la fine della guerra, Wiesel si rifiutò di scrivere o parlare della propria esperienza durante l’Olocausto. Come molti sopravvissuti, non riusciva a trovare le parole per raccontare la sua esperienza. Poi scrisse 900 pagine di memorie,  “E il Mondo rimane in silenzio”, in cui raccontava la sua esperienza, nuda  e cruda, vissuta nel campo di Auschwitz, esperienza che gli ha fatto perdere la fede in Dio e l’umanità. L’opera, giudicata dai critici “rabbiosa”, fu riscritta, in versione più breve, in francese, con il titolo La notte, che fu subito considerato un capolavoro.   

“Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. “ Così descrive il suo tragico arrivo al campo di Auschwitz, nel settembre del 1944.  Quando, nel 1986, riceve il premio Nobel per la pace, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo definì “messaggero per l’umanità”,  perché aveva consegnato al mondo un potente messaggio di “pace, di espiazione e di dignità umana“, attraverso la sua personale esperienza nei campi di concentramento.  A distanza di cinquant’anni il libro La Notte è stato tradotto in 30 lingue, ed è considerato, accanto a Se questo è un uomo, di Primo Levi e al Diario di Anna Frank, come uno dei capolavori della letteratura sull’Olocausto. 

La nostra storia dei Nobel rumeni,  erranti nel mondo, si chiude con George Emil Palade, un biologo e medico rumeno, naturalizzato statunitense, che ha vinto, nel 1974, il premio Nobel per la medicina e fisiologia, grazie alle sue ricerche nella biologia cellulare. Nato a Iași (nella regione della Moldavia), nel 1912, ottiene il titolo di dottore in Medicina, presso l’Università di Bucarest. Nel 1946, decide di lasciare la Romania, che, dopo l’abolizione della monarchia, si avviava nel tunnel comunista. La sua carriera è folgorante: da ricercatore all’Università di New York  all’Istituto Rockfeller, poi alla Yale University e all’Università di San Diego in California. Nel 1986, il presidente Ronald Reagan gli accorda la medaglia nazionale per meriti nel campo della scienza. Palade muore in California, all’età di 96 anni,  e le sue ceneri vengono sparse, per volontà sua, nei Monti Bucegi, in Romania, da una vetta chiamata Vârful cu Dor, la Vetta della Nostalgia.




5 minuti di musica classica al giorno tolgono il medico di torno

Quando ho letto che, a partire dall’anno scolastico 2014-2015, nelle scuole della Romania, a partire dalle elementari, si svolgerà un programma nazionale dal nome  “Ascolta 5 minuti di musica classica al giorno”, ho pensato che sarebbe bellissimo se un progetto simile si realizzasse anche nelle scuole italiane.  Così i ragazzi saprebbero, per esempio, che la sigla della trasmissione TGR Leonardo, il telegiornale di scienze di Rai 3,  è la Sonata per violoncello e pianoforte in fa minore op. 26 del più grande musicista rumeno George Enescu (maestro tra l’altro di Uto Ughi e Yehudi Menuhin nei corsi di interpretazione tenuti a Parigi, Londra e Sienna), la stessa che è stata utilizzata come tema ricorrente nel film di Wes Anderson,  I Tenenbaum.

Mentre scrivo sento in lontananza una canzone neomelodica a tutto volume e mi viene in mente che a scuola di mio figlio non c’è un professore di musica,  come in molte scuole italiane, che le ore di musica le ha fatte a rotazione con la maestra di storia, quella di italiano o di inglese – come se la preparazione dell’insegnante fosse un dettaglio irrilevante –  e che gli unici due progetti musicali  (più precisamente di percussioni) che ha seguito,  erano a carico dei genitori.  Ma questa è un’altra storia, e non vorrei scatenare polemiche.

L’idea di far ascoltare ai ragazzi cinque minuti di musica classica al giorno,  nelle pause, tra una  lezione di matematica e una di storia, mi sembra meravigliosa. “Abbiamo bisogno di generazioni con un’educazione diversa, non solo di prigionieri della tecnologia”, spiega uno degli autori della proposta diventata programma nazionale,  grazie all’accordo tra la Radio Romania Musicale (l’unica radio che trasmette esclusivamente musica classica) e il Ministero per l’Istruzione Rumeno.

Praticamente, Radio Romania Musicale metterà a disposizione degli insegnanti le registrazioni più importanti di musica classica, rumena e universale, accompagnate da brevi spiegazioni, pensate appositamente per far avvicinare i bambini, anche di piccola età, alla musica classica.  In più, gli insegnanti avranno la possibilità di creare una vera e propria biblioteca musicale che potranno utilizzare durante le lezioni.  I ragazzi non si limiteranno all’informazione teorica sulla musica, che riceveranno durante le lezioni, ma avranno la possibilità di sentire registrazioni di grande valore artistico.  Cinque minuti al giorno sono solo un primo passo nel percorso ambizioso di formare il gusto artistico dei ragazzi rumeni, “vittime” anche loro, come tutti gli altri, della tecnologia o delle correnti musicali moderne, non sempre di grandi qualità artistiche.  Il progetto ha anche una componente interattiva: sul sito della radio Romania Musicale,  si svolgeranno, a partire dal 1 ottobre, dei concorsi di cultura musicale,  con premi CD e DVD di grandi concerti e libri.

Il programma nazionale “Ascolta 5 minuti di musica classica” fa parte di un progetto più ampio che Radio Romania Musicale svolge dal 2010. Prima di arrivare nelle scuole, la musica classica in pillole è approdata negli spazi non convenzionali come supermercati, centri commerciali,  poste, uffici, librerie e musei, dove l’afflusso di gente è maggiore che nelle sale da concerto. Lo scopo è quello di cambiare il modo di approcciarsi al classico, reinventando il concetto di sala da concerto e portando l’orchestra verso il pubblico. Due volte all’anno, a marzo e ad ottobre, i rumeni hanno non solo la possibilità di sentire registrazioni di capolavori musicali, magari facendo la spesa, al supermercato, ma anche di ascoltare dal vivo grandi interpreti rumeni che suonano Bach, Mozart o Enescu  nei centri commerciali.

Mi piace pensare che da questo e altri progetti, in qualche scuola rumena nascerà un genio come George Enescu, che ha composto a cinque anni la sua prima opera per pianoforte e violino ( “Paese romeno”).

Mirela Baciu
5 minute




Dal dentista di Dracula!

Cristian, il mio dentista in Romania, è  diventato negli ultimi anni poliglotta. Parla inglese, tedesco, italiano e un po’ di francese, e questo grazie al fatto che il suo studio è diventato improvvisamente internazionale.  D’estate non chiude mai, per i suoi clienti stranieri è il periodo in cui lavora di più. Non si tratta solo di fugaci piombature e otturazioni, ma spesso sono operazioni serie, impegnative, che riesce a pianificare e realizzare in tempo record.  Mi sono sempre chiesta come mai  un intervento che in Italia impegna 2-3 mesi, da lui si riesce a fare in giro di un paio di settimane?  Secondo l’Associazione Dentisti Italiani,  “è la biologia e la Comunità scientifica internazionale ad indicare i tempi necessari per eseguire un intervento odontoiatrico corretto”, ma la risposta non convince le migliaia di italiani che vanno a curarsi all’estero, attirati non solo dal risparmio economico, ma anche dal risparmio di tempo.

Cristian è giovane, si è laureato a 25 anni, ha sempre sognato di fare il dentista. E’ cresciuto nello studio odontoiatrico del padre, che fu del nonno, insomma, una famiglia di dentisti da generazioni. Ha fatto tutte le specializzazioni, in Romania e all’estero (soprattutto Germania), è gentile, serio ed emette sempre fattura. Il suo modo preferito di farsi pubblicità è il passaparola. Tra i clienti trovi tanti rumeni che vivono all’estero, ma si curano in Romania e che spesso portano amici, amici di amici e così via.
Ma non è sempre così.  Il turismo dentale in Europa dell’Est è una realtà così radicata da essere considerata un vero fenomeno. Sul web i forum sono pieni di gente che racconta le sue esperienze, positive o negative, in Romania, Ungheria, Serbia e Croazia. Le offerte proposte dagli studi dentistici sono innumerevoli,  dei veri “pacchetti vacanza”, al pari delle agenzie di viaggi. Volo, autista e interprete a disposizione, cure termali, giri turistici, ma anche bonus economici da spendere in base alla somma pagata in studi dentistici convenzionati. Direi che non manca niente!  Ironia della sorte è che sempre più italiani vanno a curare i propri denti nella terra di un vampiro famoso proprio per i suoi sanguinosi canini! Battute a parte, si deve sottolineare che i medici che offrono i loro servizi ai turisti dentali non sono improvvisati sprovveduti con studi fatiscenti. Si tratta in genere di medici iscritti nell’Albo professionale Rumeno degli odontoiatri che operano anche nella sanità pubblica. 

Il turismo medicale rumeno, specializzato in cure dentali e cosmetiche, è un fenomeno sviluppatosi già dalla prima metà degli anni ’90. Molte cliniche, soprattutto di Bucarest e  Timisoara (chiamata anche “Trevisoara”, grazie alla presenza di tantissimi imprenditori italiani provenienti da Treviso) hanno cominciato ad essere frequentate con successo grazie all’accessibilità economica e alla tecnologia sempre più all’avanguardia. Il boom si è registrato dopo il 2007, con l’ingresso della Romania nell’Unione Europea, quando il paese si è allineato a tutti gli effetti con gli standard e le legislazioni europee.

Si stima che,  entro il 2015,  questo tipo di turismo in Romania subirà una forte espansione, generando più di 500 milioni di euro. Nel 2012 sono stati oltre 60.000 i pazienti stranieri – italiani, tedeschi, francesi e svizzeri… – che hanno “investito” in questo mercato circa 250 milioni di euro.  E’ stimato che un cittadino italiano che sceglie la Romania per le cure stomatologiche spende in media 4 o 5 volte di meno che nel proprio paese. Per fare un esempio concreto, mentre in Italia una corona in metallo-ceramica costa almeno 600 euro, in Romania il prezzo non è superiore ai 150 euro con parità qualitativa dei materiali.

Se da un lato l’Associazione dei Dentisti Italiani contrasta come può l’esodo dei pazienti verso i paesi dell’Est giustificando i prezzi alti e i tempi lunghi degli interventi odontoiatrici, attirando – giustamente –  l’attenzione sui rischi, dall’altro sempre più giovani (circa 2000 al momento) vanno a studiare medicina, specialmente odontoiatria, proprio in Romania.

Non è raro incontrarli mentre fanno praticantato negli stessi studi dentistici dove vanno i loro connazionali a sottoporsi agli interventi. Ho incontrato anche io uno studente di Reggio Calabria che, qualche anno fa che, non avendo superato il temuto test d’ingresso italiano, ha deciso di andare a studiare in Transilvania, a Cluj-Napoca.  “Qui, dice lui,  la selezione è diversa e tutti hanno una possibilità di dimostrare davvero quanto valgono. Dopo un primo esame di lingua, solo al terzo anno vieni bocciato solo se non hai superato tutte le prove. Si frequentano le lezioni tutti i giorni,  i professori fanno l’appello ogni ora. Volendo puoi seguire i corsi in inglese. Dal terzo anno facciamo pratica negli studi dentistici, qui, a differenza dell’Italia, il 50% della preparazione è pratica.” Conclude elencandomi con orgoglio la lunga lista delle piccole otturazioni, estrazioni, devitalizzazioni e pulizie dentali, effettuate già sotto la supervisione del suo tutor.

Non sorprende il fatto che cercando sui motori di ricerca frasi come “turismo Romania” il turismo dentale sia elencato senza distinzione tra una visita ad un castello di Dracula ed un giro da brivido nei cimiteri rumeni. In fin dei conti, se si può coniugare il piacere alla necessità, perché no?




Berlin, ich liebe dir (?)*

Non credo che esista una città che possa lasciare davvero indifferente qualcuno, o almeno non mi è ancora capitato. Mi è capitato invece di evitare consapevolmente alcuni luoghi, alcuni paesi, che “a pelle” non mi attiravano o affascinavano, che mi erano indifferenti, anche non avendoli mai conosciuti. La Germania, ad esempio!
Nonostante sia nata in una città sassone, dove il tedesco era la seconda lingua (e l’ho studiato per ben 8 anni!), nonostante  durante il regime comunista la Germania (federale) rappresentasse il sogno di libertà che molti videro realizzarsi fuggendo dalla Romania, nonostante due delle mie migliori amiche dei tempi del liceo vivano felicemente lì da oltre vent’anni invitandomi ripetutamente… non ci sono mai stata… fino ad ora. Direi che un tale momento “storico” della mia vita meriti un post su questo blog.

Il quartiere di Nikolaiviertel
Il quartiere di Nikolaiviertel

Ho viaggiato parecchio in Europa, scegliendo i paesi con criteri eclettici: per la presenza di un fiume, per un libro ambientato lì, per uno scrittore che amavo, per un museo che dovevo vedere, per la musica del posto, per la lingua più o meno comprensibile… ma mai perché qualcuno me l’aveva consigliato, no, mi è sempre piaciuto pensare che ogni città “parli” in modo diverso ad ognuno di noi, e che il momento della visita arrivi quando il contatto tra le anime è maturo.

Con Berlino è stato diverso. Aveva cominciato ad incuriosirmi, ad intrigarmi perché ad un certo punto intorno a me tutti andavano, tornavano e ritornavano a o da Berlino. Ed eccomi qua!
Come mi aspettavo, non è stato amore a prima vista. Mi hanno detto che più conosci questa città più la ami. Il primo giorno ho pensato che il mio amore per Berlino fosse destinato a rimanere a lungo su un’immaginaria lista d’attesa, sopraffatta da questa città immensa, dispersiva, senza un centro, senza un cuore topografico ma, forse, con tante anime… Pian piano questo miscuglio informe di genti, di storie, di culture, una città in continua metamorfosi, è riuscito a sorprendermi. Le due città, che fino al 1989 erano divise, anche se con architetture a tratti esteticamente diverse e non armoniose, adesso convivono. Una passeggiata a Berlino vale quanto un viaggio intorno al mondo!

Fiume Sprea
Fiume Sprea

E’ 9 volte più grande di Parigi, ha più ponti di Venezia (1700 ponti…), più stranieri di tutti i paesi europei e più turisti di Roma. Basta camminare a volte pochi chilometri per ritrovare l’atmosfera parigina dei bateau mouche, lungo il fiume Sprea, quella della Piccadilly londinese dei musicisti di strada nella Alexander Platz, quella viennese nel quartiere Nikolaiviertel, quella newyorkese nel modernissimo Sony Center, quella dei mercati romani nei flohmarkt…
Paris est toujours Paris et Berlin est jamais Berlin” (“Parigi è sempre Parigi, mentre Berlino non è mai Berlino”)come disse Jack Lang, ex ministro della cultura francese, nel 2001.
Berlino è viva, energica, in continuo movimento e cambiamento, risorta dalle proprie ceneri dopo la seconda guerra mondiale, contesa tra russi, americani e  francesi, spezzata in due da un muro, impegnata nella riscrittura giornaliera della sua storia della quale ognuno dei suoi 3 milioni e mezzo di abitanti sente di esserne partecipe, in un modo o nell’altro. Non è una città immobile, eterna tra passato e futuro, troppo del suo passato è andato distrutto.  Colpisce il fatto che molte visite guidate iniziano con una frase d’obbligo: “questo luogo è stato distrutto durante la seconda guerra mondiale e poi ricostruito” oppure “qui sorgeva…” ma anche “qui verrà costruito…“. Una città che ha avuto il coraggio di assumersi il peso della propria storia, dettata o subita, di buttarsi alle spalle gli orrori della guerra e di ricostruire tutto senza mai dimenticare. Se ci fosse una parola per racchiudere lo spirito di Berlino direi che è proprio memoria, silenziosa e inquieta, senza aggiungere altro.

Monumento all'Olocausto
Monumento all’Olocausto

Bastano i 2711 blocchi di cemento rettangolari di diverse altezze del Monumento dedicato all’Olocausto, che spuntano all’improvviso, a sud della Porta di Brandeburgo, per sentire il silenzioso peso angosciante della storia. I blocchi poggiano su un piano irregolare, aumentano sempre di più verso l’interno, lasciando penetrare pochissima luce, creando percorsi simili a quelli di un labirinto. La sensazione che si ha è quella di perdersi tra i blocchi e di venire schiacciati dalla mancanza di luce all’interno, perciò la luce alla fine di questo percorso arriva come una grande liberazione.

C’è anche la memoria della storia più recente, quella della città divisa dal maledetto muro, la cui esistenza, per più di 28 anni,  si sente ancora nell’aria. Nonostante la sua presenza fisica sia concentrata in brandelli di muro simbolici, resta sempre inquietante, come il tracciato di muro più lungo (1,3km) rimasto nella sua posizione originale, trasformato nella famosa East Side Gallery.

Il muro di Berlino, East Side Gallery
Il muro di Berlino, East Side Gallery

Sony Center
Sony Center

Paradosso della storia, nel 2013 era stato approvato un piano urbanistico che prevedeva lo spostamento di 22 metri della parte di muro rimasto in questa zona per far posto alla costruzione di una strada di accesso ad un condominio di lusso. All’avvio dei lavori, centinaia di manifestanti riuscirono a bloccare le gru. Nei giorni successivi le proteste divennero migliaia e il provvedimento fu rimandato a tempo indeterminato. Il muro che ha diviso un popolo per così tanti anni costituisce ora un pezzo importante della memoria collettiva della Germania unita e deve rimanere dov’è.
Da ex-comunista rumena, confesso che ho evitato il giro turistico della DDR (la Germania comunista), i musei tematici, tutto quello che può ricordare gli anni della divisione…  avendo vissuto per più di 20 anni nella Romania comunista, mi hanno commosso a suo tempo le storie di quelli che sono morti cercando di scavalcare il muro, mentre inseguivano il proprio sogno di libertà, amici, compagni.

Sorprende la capacità di Berlino di trovare il posto e la misura giusta da conferire alla sua storia, in una città anche moderna, futuristica e avanguardista, dove ha lasciato il segno anche l’architetto italiano Renzo Piano, lo stesso che ha detto che “se Berlino fosse un libro di storia, avrebbe molte pagine strappate”.
Un libro aperto, in corso d’opera, proprio come le decine di cantieri avviati, con le loro gru gialle che graffiano il cielo grigio sopra Berlino.

*”ich liebe dir” è una forma dialettale berlinese, utilizzata al posto del più corretto “ich liebe dich”