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Il genocidio armeno “sussurrato”

In quarta elementare, mio figlio ha dovuto scrivere un tema sull’olocausto e raccontare, a parole sue, cosa sa del genocidio ebreo. Ha scritto 6 pagine, in cui ha parlato delle deportazioni, dei campi di concentramento e di sterminio, delle leggi razziali e del nazismo,  dello Shoah e della Notte dei Cristalli, dei quasi 5 milioni di ebrei morti. Poi ha fatto un elenco dei libri e dei film che trattano questo tema, molti di quali li aveva visti insieme a me o al padre. Ha detto che l’ha commosso particolarmente Jakob il Bugiardo e il Bambino con pigiama a righe, ma anche Il Pianista e la Chiave di Sara. Prima di concludere ha aggiunto: “Ricordiamo che nella storia c’è stato un altro genocidio, quello del popolo armeno, alla finil libro dei sussurrie del novecento e poi nel 1915, in cui sono morte 2 milioni di persone” e citava un libro di cui gli avevo parlato molto e dal quale gli avevo letto alcune pagine, Il libro dei sussuri, di Varujan Vosganian, un amico di famiglia e, come ha scritto lui, “un amico di mamma”.

Lo so che sembra difficile da credere che un tema sull’olocausto di un bambino di 9 anni possa fare riferimento al genocidio armeno,  ma vi assicuro che è tutto vero e che, purtroppo, le maestre non hanno apprezzato tanto il suo lavoro, disorientate da una complessità che non si aspettavano.

Papa Francesco ha dichiarato pubblicamente, a 100 anni dal suo inizio, nel 1915,  che il primo genocidio del ventesimo secolo è stato quello del popolo armeno, il primo popolo cristigenocidio armenoano, e che furono uccisi vescovi, sacerdoti, religiosi, donne, uomini, anziani e persino bambini e malati indifesi. Mi sono ricordata il tema di mio figlio, ma soprattutto Il libro dei sussurri, uno dei più bei libri che abbia mai letto, una delle rare testimonianze letterarie sul destino tragico del popolo armeno. L’autore, Varujan Vosganian,  è una personalità marcante, originale e complessa,  della società rumena: politico, economista, matematico, professore universitario e poeta, è stato per due anni ministro delle Finanze in Romania ed è attualmente membro del Senato. Lo conosco da quasi vent’anni, so che molti di questi li ha passati a scrivere il suo libro, risultato di un lungo, sofferto e tormentato processo catartico, scavando nella memoria alla ricerca dolorosa dei suoni, gli odori, i fuochi, i motti, i ricordi, i sogni, i sacri cerimoniali, i rimpianti, i fantasmi, i racconti della sua famiglia di armeni e del suo popolo.

foto anticaVarujan Vosganian è nato nel 1958, già nella seconda generazione degli armeni della sua famiglia venuti al mondo in Romania,  dopo la fuga dall’Anatolia delle origini. Una storia vecchia di trecento anni, di una famiglia di principi, monaci, commercianti, pastori e intellettuali,  ricostruita tramite le vicende narrate al piccolo Varujan dal nonno Garabet, il cultore della memoria della sua famiglia e del suo popolo.   Si tratta prima di tutto della tragedia del popolo armeno, ma anche della tragedia del popolo romeno, di tutti coloro che hanno subito la storia, invece di viverla, ha detto l’autoreTutti i personaggi sono reali, gli accadimenti che hanno vissuto sono reali e proprio per questo Il libro dei sussurri appare così inverosimile, proprio perché è reale. “Non mi sarei arrischiato a scrivere di tutto questo, se non vi fosse stato un fondo di spietata realtà”, dice Vosganian.  E’ una storia che supera i confini della Romania, perché gli armeni, come gli ebrei, sono sempre stati “erranti”, sospinti da persecuzioni e intolleranza.genocidio Non è un romanzo storico, né un memoriale quello che intendeva scrivere l’autore, ma una specie di libro sacro, che viene sussurrato, ascoltato e poi riscritto. Un testamento, il resoconto di una promessa o di un’avverata predizione. “Ma che cosa sussurri?”, chiedeva il piccolo Vosganian al nonno Garabet dall’eloquio seducente. “Leggo”. “Come leggi? E il libro dov’è?”. “Non ne ho più bisogno. Lo conosco a memoria”, sentenziava enigmatico il vecchio. E il bambino, insoddisfatto: “Va bene, ma come si chiama questo libro? Chi l’ha scritto?”. “Forse tu, un bel giorno”.

Le prime parole del libro sono proprio quelle del nonno Garabet: “Non ci distinguiamo per quello che siamo, ma per i morti che ognuno di noi piange“. Lo stesso che,  di tutto il secolo in cui viveva, aveva capito solo che era difficile morire nella stessa terra in cui eri nato. 

I primi pogrom di fine Ottocento, il genocidio del 1915, le deportazioni e l’esilio, l’educazione europea e l’emigrazione in Romania, il collaborazionismo nazista, l’invasione dell’Armata Rossa, la dittatura di Ceaușescu, la rivoluzione anticomunista del 1989, sono tutti capitoli della grande saga storica e famigliare, ricostruita con lucidità e sofferenza, in una tonalità intima, profonda, grave,  sussurrata. Ho passato l’infanzia in un mondo di sussurri, scrive il narratore. Per il bambino che era, sempre in ascolto, il sussurro significava cautela, prudenza, sospetto, accortezza, ma anche tenerezza, preghiera, profezia.

spaniolaIl libro dei sussurri non si può raccontare o riassumere, perché è così vasto, così ricco, così fuori dal comune, con i suoi personaggi indimenticabili e le sue storie favolose, come quella di alcuni vecchi armeni che, per parlare liberamente, si nascondono in una cripta. O quella del piccolo Varujan che colleziona francobolli, ma ogni francobollo rappresenta un armeno in esilio. O la storia del nonno Garabet, il destinatario dei pacchetti misteriosi che contengono i cavallini di legno – e solo lui sa che ogni cavallino è un morto, una storia di una vendetta eseguita,  per non lasciar impuniti i responsabili dei massacri degli armeni.

Pubblicato nel 2009, Il libro dei sussurri ha ottenuto sin da subito uno straordinario successo di critica, tanto da essere considerato uno dei capolavori della letteratura romena post-comunista e da essere nominato come proposta rumena al premio Nobel.francese

Tradotto in 20 lingue, italiano incluso (pubblicato da Keller Editore), il libro sarà, il 21 aprile, il protagonista del Festival della letteratura di Berlino, nella giornata dedicata alla memoria del genocidio armeno, a 100 anni dal suo inizio.  Quel giorno, in più città del mondo saranno letti il settimo e l’ottavo capitolo del Libro dei sussurri,  un libro indimenticabile per non dimenticare, nella giornata mondiale della lettura.

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Pasqua ortodossa: uova rosse, quaresima nera e ragazze “annaffiate”

Da quando vivo in Italia ho dovuto adattare a modo mio il famoso detto “Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi”. In realtà, passo il Natale con i miei, italiani, e Pasqua con i miei, rumeni.  Perciò mi sento come due metà che formano un intero, mai perfetto, ma tutto sommato completo.

Dopo tanti anni ancora adesso, quando si avvicina Pasqua o Natale, mi si chiede se anche noi, gli ortodossi, le festeggiamo e cosa celebriamo, se è la stessa nascita di Gesù e la stessa Resurrezione. Cambiano ovviamente i rituali religiosi e le tradizioni ma il significato delle feste è praticamente lo stesso. La Pasqua Ortodossa in particolare, non si festeggia quasi mai nello stesso giorno di quella Cattolica.

Può capitare qualche rara coincidenza di date ma più spesso cade una settimana dopo la Pasqua Cattolica e qualche altra volta anche un mese dopo. La spiegazione è legata ai diversi calendari che sono riconosciuti dagli stati e dalle chiese. La Pasqua cattolica viene calcolata secondo il calendario gregoriano mentre quella ortodossa tiene conto del calendario giuliano (da Giulio Cesare). Inoltre, il calcolo delle date per la Pasqua tengono in considerazione le fasi della luna: luna piena dopo l’equinozio primaverile, per i cattolici, e luna nuova per gli ortodossi.

floriiQuest’anno, 2015, nella stessa domenica,  ho festeggiato la Pasqua cattolica e la Domenica delle Palme ortodossa, chiamata anche Duminica Floriilor, la Domenica dei Fiori, poiché non ricorda solo il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme e i suoi giorni di Passione, ma anche la fioritura e il risveglio della natura. Il suo simbolo sono i rami di salice e coincide con l’onomastico di tutti quelli che in Romania hanno nomi di fiori. Per mio figlio, la confusione iniziale di festeggiare due volte Pasqua in giro di una settimana, si è trasformata nella consapevolezza di appartenere a una famiglia mista in cui Gesù risorge due volte, ma solo tecnicamente, per colpa della luna e calendari vari, incomprensibili per un bambino.

Per gli ortodossi, la Pasqua è la festa delle feste, tanto da non essere neppure inserita tra le dodici grandi feste dell’anno liturgico, occupa di fatto un posto a parte.  E’ una festa molto sentita, vissuta con intensità e sacrificio, che prevede una lunga e difficile quaresima (che dura 7 settimane), nella quale molti fedeli decidono di non mangiare carne, uova, latticini e bere alcol, per tutti i 48 giorni, intesi come purificazione assoluta del corpo e dello spirito. Alcuni scelgono anche di seguire quella che viene chiamata quaresima prohodul-domnuluinera, che prevede un digiuno assoluto, senza cibo ne acqua, da giovedì santo fino a sabato notte, dopo la messa di resurrezione. L’ultima settimana, Săptămâna mare, la Grande settimana,  è anche di lutto, di meditazione e di sofferenza. Le messe che si svolgono questi giorni sono particolari: il Giovedì Santo vengono letti i 12 vangeli, uno per ogni ora del giorno, mentre il Venerdì Santo, o Venerdì nero, come lo chiamano i credenti, si celebra la messa di requiem, Prohodul, una messa funebre che include un momento particolarmente emozionante, in cui i fedeli circondano la chiesa, con le candele accese, ripercorrendo simbolicamente la Via Crucis, con le sue 14 stazioni.  Al nuovo ingresso nella chiesa, i credenti passano sotto l’epitaffio, un pezzo di stoffa, mantenuto da quattro uomini, che porta ricamato o dipinto la sepoltura di Cristo.

inviere luminaLa messa della risurrezione inizia sabato a mezzanotte, quando nelle chiese si spengono le luci e il prete esce dall’altare portando la candela accesa e invita tre volte i fedeli ad attingere la luce con le loro candele: “Venite a prendere la luce! (Veniţi de luaţi lumină!). Questo invito ha un valore simbolico sia per la funzione liturgica, che prosegue poi anche fuori la chiesa, sia per i fedeli che si passano l’un l’altro la fiammella, un gesto che crea un avvicinamento spirituale tra le persone. Dopo il rituale iniziale il sacerdote si rivolge ai fedeli dicendo “Cristo è risorto!” (Hristos a Ȋnviat!), e loro rispondono “E’ veramente risorto!” (Adevărat a Ȋnviat!). Tutta la messa viene accompagnata dai canti bizantini, intonati non solo dal coro ufficiale della chiesa ma anche dalla folla. I fedeli tornano a casa con la candela accesa, perché si dice che coloro che riescono a tenere accesa sempre la luce presa in chiesa fino all’arrivo a casa avranno un anno benedetto.

La tradizione vuole che,  ritornate dalla messa,  le famiglie si siedano intorno alumanaril tavolo bandito e, prima di iniziare lo “strano” pranzo pasquale nel cuore della notte, mangino il pane benedetto imbevuto nel vino, come simbolo del corpo e del sangue di Cristo. In mezzo al tavolo c’è il simbolo pasquale per eccellenza: le uova rosse. Colorare le uova di rosso è un rituale che simboleggia il sacrificio, il sangue di Cristo. Una leggenda racconta che, dopo la crocifissione di Gesù, i rabbini e i farisei abbiano organizzato un pranzo festivo e uno di loro abbia detto: “Quando questo gallo che mangiamo ritornerà in vita e queste uova diventeranno rosse, solo allora Gesù risorgerà“. All’improvviso, come per miracolo, le uova si sarebbero dipinte di rosso.

L’uovo, già di per sé simbolo di vita e di fertilità, è sempre stato visto come segno di resurrezione. La tradizione contadina dice che le uova di Pasqua hanno il potere speciale di proteggere gli animali della fattoria e la famiglia che vi abita.  Infatti, è paste romaniavietato buttare via il guscio, che invece viene seppellito alla radice degli alberi, per dare fertilità alla terra. Nei villaggi, la mattina di Pasqua la gente si lava il viso in un catino d’acqua con un uovo rosso e una monetina dentro,  per essere sani e ricchi tutto l’anno.

Inizialmente, le uova venivano colorate solo di rosso,  coi pigmenti delle foglie di cipolla, ma oggi sono dipinte in colori vari e si ritrovano su tutti i tavoli per essere donate, nel giorno di Pasqua. La tradizione delle uova dipinte, così antica, è stata portata al rango di arte da molti artigiani rumeni,  che dipingono le uova in maniera fantasiosa, con simboli tradizionali o moderni. In Romania ci sono vari centri artigianali che conservano questo mestiere ancora vivo, e sono stati addirittura aperti vari musei delle uova dipinte, încondeiate. Spesso sono delle vere e proprie opere d’arte.

oua rosii 3Le uova  colorate sono anche i protagonisti di una tradizione popolare caratteristica, molto amata dai bambini: la battaglia delle uova.  Il pranzo pasquale inizia proprio con questa strana gara delle uova: ognuno impugna in mano il proprio uovo sodo, lasciando la parte appuntita dell’uovo verso l’alto, scoperta. A questo punto si colpisce l’uovo dell’avversario e viceversa. Il grido di “battaglia” è: “Il Cristo è risorto!” e “Davvero è risorto!”.  Dal primo uovo che si rompe devono mangiare tutti i membri della famiglia, perché si dice che in questo modo rimarranno sempre insieme. Dopo innumerevoli sfide con i commensali, vince l’uovo più resistente, ovvero colui che a fine del giro avrà l’uovo meno danneggiato. Gli anziani credono che il proprietario di questo uovo sia il più forte ed è quello che resisterà maggiormente alle malattie. Una variante di questa tradizione prevede che il perdente, ovvero quello con l’uovo maggiormente danneggiato, debba poi mangiare tutte le uova in gara. Nonostante si tratti di una gara piuttosto impegnativa per il fegato, sono ancora in molti a rispettarne le regole!

A dispetto del motto italiano, la Pasqua romena si passa per tradizione in famiglia. Uova sode a parte, il menù prevede una zuppa acida chiamata ciorba, insalata, sottaceti, agnello al forno o arrosto e un particolare polpettone chiamato drob,  una specie di coratella d’agnello, fatta con le frattaglie, pane umido, molto prezzemolo,  aglio e cipolla verde. I dolci tipici sdrobono la pasca, una torta a base di pasta frolla, uvetta sultanina e ricotta, che viene preparata solo una volta all’anno,  per la Pasqua appunto. Ha una forma circolare, per simboleggiare la culla di Gesù e sopra viene fatto il segno della croce.  Un altro dolce casalingo che si ritrova sulla tavola di Pasqua è il cozonac, una sorta di panettone fatto in casa, riempito con semi di papavero o noci. In cucina, nella settimana santa, si radunano le donne della famiglia che di generazione in generazione imparano le ricette tradizionali, con un sentimento di profonda sacralità oltre e calore domestico.

Il Lunedì di Pasqua, l’italiana “pasquetta”, si svolge un’altra antica tradizione, soprattutto in Transilvania, al nord, chiamata udatul (l’annaffiare). Nei villaggi le ragazze e le donne vengono  “annaffiate” con acqua di sorgente. Nelle città invece, dove le sorgenti scarseggiano, si utilizza del profumo, augurio di bellezza, freschezza, salute. Che tutte le “donne siano tutto l’anno come la primavera”!  Dalle prime ore del pomeriggio, le città si riempiono di gruppi di uomini e ragazzi, che suonano alla porta della donne, muniti di bottigliette di profumo, pronunciando frasi del tipo: “Ho sentito che qui c’è un fiore, sono venuto ad annaffiarlo“, e le ragazze vengono così profumate. Ai ragazzi gli si offre un bicchiere di grappa e un dolce. Il rituale si protrae fino alla tarda serata, quando, per via dell’alcol, sono in pochi a ricordarsi la strada di ritorno.

La  grappa in Romania non si rifiuta, è segno di malaugurio…

oua margele




La Sfinge dei Monti Bucegi e il mistero dell’umanità (aliena?)

C’è una scoperta che potrebbe cambiare il destino dell’umanità, rivelando dettagli scioccanti sulla sua storia; poi c’è un governo che ha subito pressioni diplomatiche da parte degli Stati Uniti e del Vaticano al fine di non divulgare le informazioni riguardanti; c’è un dipartimento Zero dei servizi segreti che ha svolto delle ricerche approfondite, ma anche il Pentagono che ha mandato sul posto un satellite usato per spionaggio geodetico,  in una missione esplorativa. C’è il gruppo Bilderberg, una delle più grandi organizzazioni massoniche del mondo e anche l’Ordine degli Illuminati che hanno cercato di prendere il controllo sia del luogo della scoperta, che della spedizione… c’è… o forse ci sarebbe!

Non è il riassunto di un nuovo libro di Dan Brown, anche se ha tutti gli ingredienti necessari.

E’ solo il risultato di quello che si trova in rete facendo ricerche sui Monti Bucegi, un gruppo montuoso della Romania centrale, situato a sud della città di Brașov, a 2500 mt altitudine. Non è una montagna qualsiasi e lo dimostrano le centinaia di articoli pubblicati, ognuno con il suo titolo avvincente: Trovata base ET, Il segreto dei segreti, L’enigma di un’incbucegiredibile struttura dentro i monti, Le montagne misteriose che celano un segreto, Base aliena all’interno dei Monti Bucegi ecc.
Se a questo si aggiunge la presenza di una struttura rocciosa scolpita dal vento, a 2200 mt altitudine, considerata una sfinge al pari di quella di Giza – chiamata infatti la Sfinge – allora il mistero si fa inquietante.

La curva dei Monti Carpați che prende il nome Bucegi è avvolta da secoli da un’aura di singolare esoterismo, e singolari sono anche le sue “attrazioni” d’origine geologica,  Sfinxul (la Sfinge) e Babele (Le Anziane), che racchiudono una moltitudine di strani fenomeni testimoniati dagli abitanti del luogo e studiati da molti scienziati.

Si tratta di avvistamenti di esseri eterei o mitologici, spesso confusi con elementi religiosi (molte croci cristiane si trovano nei luoghi delle “apparizioni”) e sopratutto misteriose scomparse tra le nebbie di quei monti, che, negli anni ’80,  cominciarono a preoccupare le autorità. Nel 1985, si registrò un episodio che convinse il dittatore Nicolae Ceaușescu a mandare sul posto i più grandi esperti in fenomeni paranormali, appartenenti al cosiddetto Dipartimento Zesfinxul 2ro (una sorta di X-files rumeno fondato nel 1968).

Nel paese Scăieni,  un contadino che piantava un meleto, si trovò davanti un vero e proprio cimitero di giganti.
Come affondava la pala di qualche metro si trovava intralciato da resti di scheletri umanoidi che superavano i due metri e mezzo di altezza. Accanto agli scheletri completi, gli abitanti del villaggio, trovarono anche frammenti di ceramica, gioielli e strane statue metalliche alte circa 3 metri. Si narra che un team di archeologi fece scomparire tutto in fretta. Nessuna dichiarazione pubblica, solo ricordi e racconti che ancora si possono ascoltare.

I risultati delle ricerche rimasero celati tra gli archivi segreti del regime.

Negli anni ’90 cominciarono a trapelare le prime indiscrezioni, ma l’attenzione del mondo iniziò a concentrarsi su questo luogo, a partire dal 1993, quando la terra iniziò a tremare ripetutamente terrorizzando gli abitanti. L’inspiegabile peculiarità delle scosse sismiche era che si potevano avvertire in una superficie piuttosto limitata e solo tra le 20 della sera e le 3 del mattino. Chi ha sperimentato questo terremoto sui generis, sostibabeleene che si poteva avvertire l’eco di un rumore sordo risalire dal sottosuolo, come se il pavimento stesse per crollare sotto i loro piedi… come se la montagna fosse vuota al suo interno!
Ci furono oltre 100 scosse sismiche, uno sciame che sembrava inarrestabile fino all’improvvisa sparizione per i dieci anni a venire.

I geologi sotto l’impulso delle autorità romene (ossia del dipartimento zero dei servizi segreti) e soprattutto del Pentagono, presero ad analizzare la specificità di quel territorio e attraverso delle misurazioni con dei satelliti si cercò di identificare la struttura del territorio.

Si trovarono dinanzi dati inspiegabili: sembrava davvero che sotto quelle montagne la terra fosse cava, ma il nucleo più profondo di quel vuoto terrestre pareva insondabile a ogni verifica. Una sorta di barriera che respingeva ogni tentativo di analisi.tunnel_romania_bucegi
Nel 2002 il fenomeno dei terremoti riprese. I Bucegi tremarono nuovamente seguendo le stesse modalità e fasce orarie. Le autorità romene e americane ritennero che fosse giunto il momento di agire.
Nel 2003 si diede inizio a trivellazioni della montagna e dopo numerosi fallimenti un’equipe internazionale raggiunse una singolare galleria sotterranea.
Parve subito evidente a tutti che ci si trovava dinanzi ad una galleria artificiale: le pareti erano perfettamente lisce senza traccia di irregolarità naturale, l’aspetto era simile ad un tunnel della metropolitana. La squadra proseguì per il ramo del tunnel che scendeva.
A questo punto la storia già inverosimile assume tratti di pura fantascienza.
Preferisco quindi cedere la responsabilità di quello che seguirà a Radu Cinamar l’autore misterioso (visto che è un pseudonimo) di un libro esoterico, pubblicato nel 2006 e che avrebbe come principale fonte Cezar Brad, il direttore dell’altrettanto misterioso Dipartimento Zero dei servizi segreti rumeni.
Gli esploratori raggiunsero un’imponente porta che appariva di tipo scorrevole. La squadra dmappaovette però arrestarsi qualche metro prima del battente perché si vedeva distintamente una parete luminosa in cui una qualche forma di energia sbarrava ogni tipo accesso, uno scudo energetico ad elevata tensione. Coloro che tentarono, con adeguate protezioni, di oltrepassare la parete sono morti di collasso cardiaco, mentre i tentativi di far passare oltre la barriera dei materiali non organici ne produsse la semplice polverizzazione istantanea.
Incredibile ma, vero o falso che sia, c’è un caso analogo in Iraq, in un terreno con le medesime “anomalie geologiche”, un’equipe americana si trovò bloccata da una simile barriera energetica.
In Romania pare che l’epilogo fu differente poiché alcuni componenti dell’equipe dotati di una “determinata tensione energetica” che funzionava in “simpatia” con quella che vibrava nemappa2lla parete luminosa riuscirono ad oltrepassare il varco dischiudendo così la successiva porta metallica.
Oltre a questo doppio sbarramento il tunnel si modificava sviluppando una struttura più complessa, fino a portare i visitatori all’ennesima barriera energetica di un colore verde pallido che funzionava con modalità simili alla prima. Le fonti ci riferiscono che ci si trova in una grande sala artificiale dalle misure inaspettate: di una lunghezza di  100 metri e un’altezza di 30.
Nella stanza dominano alcuni tavoli dalla forma insolita e dall’altezza di due metri. Se mai un umano avesse potuto sedersi su una sedia adeguata avrebbe visto sopra delle iscrizioni che apparivano dei geroglifici in una lingua sconosciuta dalla forma cuneiforme. Gli unici simboli che gli esploratori riconobbero furono cerchi e quadrati. Appoggiando le mani su questa simbologia aliena le pareti della stanza trasmettevano una serie inaspettata di immagini olografiche. Sembravano ai presenti immagini della terra e di altri luoghi non conosciuti.mappa.3 
L’autore sostiene che, nel momento in cui il governo rumeno stava per dichiarare lo “stato di emergenza” nell’area dei Monti Bucegi, decidendo per la divulgazione ufficiale, con prove fotografiche, alti funzionari degli Stati Uniti arrivarono a Bucarest intimando allo stato rumeno di non fare pubbliche le rivelazioni sui Monti Bucegi. Dopo 24 ore di trattative, si strinse un accordo definitivo tra la Romania e gli Stati Uniti. Lo stato romeno decise di rinviare la divulgazione e di presentare le scoperte al popolo in maniera graduale.
radu cinamar
Nel 2009, un canale televisivo nazionale di notizie (Antena 1) ha avviato un’indagine sui giganti e i loro tunnel segreti sotto le montagne Bucegi. Appena il loro servizio è andato in onda, hanno ricevuto una telefonata in diretta da un uomo non identificato che minacciò di morte i giornalisti se non avessero fermato le indagini. Dalla registrazione reperibile in rete, l’uomo parla di  “un gioco pericoloso” da evitare.
Una bufala orchestrata ad arte o siamo davvero davanti ad una sorta di incidente di Roswell in Romania?



I Castelli tenebrosi dei Carpazi

Quando si parla dei Castelli della Romania il riferimento alla figura del principe Vlad, il conte Dracula, è inevitabile. La sua “presenza-assenza” conferisce ad ogni luogo la dose necessaria di mistero e ad ogni storia un suo alone tenebroso.

In realtà in Romania  non esiste un Castello di Dracula se non nella fantasia degli scrittori e dei registi che hanno trasformato il personaggio storico di Vlad Tepes nella leggenda di Dracula.

Eppure ognuno di questi luoghi è oggi il Castello di Dracula!

verne2Molto del merito va sicuramente a Bram Stoker ma ancora prima, a scoprire il fascino tenebroso della Transilvania, fu Jules Verne con il suo libro chiamato Il Castello dei Carpazi, pubblicato nel 1892che sorprese lettori e critici.  Nella cornice naturale di valli, montagne e insenature, dove le superstizioni la fanno da padrone, si staglia un Castello che incute un “terrore contagioso”. Strane presenze che con il buio, cominciano ad aleggiare fra le sue mura e nelle terre circostanti, sotto forma di voci e suoni sovrumani. Il personaggio Orfanik, uno “scienziato incompreso”, è un Dracula ante litteram con il suo volto pallido e sottile, i lunghi capelli grigiastri, lo sguardo scintillante in fondo alle orbite nere,  che coltiva illusioni maniacali e si difende dal mondo. Melodramma, esoterismo, avventura nell’avventura, soprannaturale, fantascienza, horror sono mescolati in questo libro che dà inizio ad una lunga serie appartenente al genere gotico.

Strigoi
Strigoi

Diciamo la verità, la cruenta anima dacica della Transilvania con le sue mille leggende non fa altro che alimentare questo immaginario. Una su tutte è la credenza millenaria negli strigoi, esseri apparentemente vivi ma senz’anima, i cui spiriti lasciano i loro corpi a mezzanotte e vagano per il paese, turbando il sonno delle persone e lasciandoli privi di forze al mattino. Sono i morti viventi, maledetti immortali assetati di odio e di sangue.

Leggende o verità, sta di fatto che la Transilvania dell’800 doveva incutere davvero paura se né Jules Verne né Bram Stoker ebbero il coraggio di metterci piede per verificare le loro storie!

 

Castello di Bran – il Castello di Dracula

Castello Bran
Castello Bran

Il Castello di Bran, vicino a Brașov, è identificato come “il” Castello di Dracula dalla penna autorevole di Bram Stoker, che, dalla poltrona del suo scrittoio, decise di ambientare proprio qui il suo fortunato racconto. Anche se, come già detto, lo scrittore in realtà non visitò mai la Transilvania, la immaginò e la descrisse come il posto più misterioso d’Europa!  Ma se visitate il Castello Bran alla ricerca di qualche segno di presenza vampiresca del conte Dracula, rimarrete probabilmente delusi. Le guide inizieranno la visita consigliandovi di fare la distinzione tra la realtà storica del castello e il personaggio letterario. Per quanto riguarda il principe Vlad, l’Impalatore, sembra che da queste parti ci sia stato solo di passaggio, anche se, recentemente, uno storico rumeno ha scoperto documenti dell’epoca che dimostrerebbero che, imprigionato dal re ungherese Matei Corvin,  sia stato rinchiuso nelle segrete del castello addirittura per due mesi prima di essere trasferito a Visegrad, dove rimarrà prigioniero per 12 anni.

Castello Bran
Castello Bran

Costruito nel 1377 da Luigi I D’Angiò sullo spuntone di una roccia, il Castello di Bran doveva difendere e controllare la strada commerciale che univa la provincia di Valacchia alla Transilvania. Fu anche punto doganale, poi residenza reale e ora museo di storia, luogo importante per il turismo rumeno e per i cacciatori di vampiri, con oltre mezzo milione di visitatori all’anno.

L’architettura del Castello di Bran si è evoluta nel corso dei secoli ma il fascino è prevalentemente dettato dai caratteri gotici, le scalinate strette e tortuose, i passaggi sotterranei e le torri. La fortezza è stata costruita con blocchi di pietra di fiume e di mattoni, per dare maggiore solidità e sicurezza in caso di battaglia. E’ sormontata da quattro torri nei quattro punti cardinali: la torre della polveriera, la torre di osservazione, la torre a est e la torre della porta.

Castello degli Hunyadi (Corvin) – il Castello di Dracula

Castello degli Hunyad
Castello degli Hunyad

C’è un castello tenebroso nei Carpazi che avrebbe potuto ispirare Jules Verne: si trova a Hunedoara, alle pendici dei Carpați Meridionali,  ed è considerato uno dei più misteriosi castelli dell’Europa dell’Est. Si tratta del Castello degli Hunyadi, detto anche il Castello dei Corvin, che la guida Lonely Planet descrive così: “In nessun luogo della Romania il contrasto tra passato e presente è così stridente come a Hunedoara, dove i giganteschi scheletri di acciaierie abbandonate fanno da cornice spettrale ed arrugginita a uno dei castelli più belli dell’Europa Orientale: Castello degli Hunyadi o Castello Corvino, una fortezza gotica del XIV secolo che si è conservata intatta ed è considerata una della gemme architettoniche della Transilvania“.

Stanza delle torture
Stanza delle torture

Il castello sorge imponente sul sito di un antico castrum romano, nel centro-sud della Romania, non lontano dalla Fortezza dacica di Sarmizegetusa.  Le torri di difesa, le guglie gotiche, i fossati, le mura merlate, i ponti levatoi del castello erano una novità nell’architettura militare della Transilvania del XIV-esimo secolo. L’artefice della trasformazione del castello fortificato in una sontuosa residenza signorile, fu Matei Corvin,  re d’Ungheria, alleato e poi nemico del principe Vlad della Valacchia.  Sono in molti a sostenere che il principe passò qui ben 7 anni della sua prigionia, anche se non ci sono documenti storici a dimostrarlo. Con o senza il principe Vlad rinchiuso qui, il castello è avvolto in un’atmosfera horror misteriosa e terrificante, grazie alle storie che descrivono le peggiori punizioni inflitte ai prigionieri, difficili da immaginare e ancora più difficili da raccontare. La più “leggera” racconta che dodici turchi, incarcerati nella prigione del castello, scavarono per quasi 15 anni un pozzo di 30 metri nel cortile. Lo fecero in cambio della promessa del principe Iancu de Hunedoara di liberarli. Una volta finito il lavoro, chiesero che la promessa fosse mantenuta, ma le loro speranze furono disattese e morirono decapitati.Dalle storie delle tante morti per tortura alle leggende di fantasmi il passo è breve. Nel 2007 la trasmissione televisiva americana Most Haunted Live ha fatto un’indagine durata 3 giorni per verificare la presenza di spiriti nel castello. Non vi furono risultati.

Fortezza di Poenari – il Castello di Dracula

Fortezza Poenari
Fortezza Poenari

E’ l’unica residenza reale del principe Vlad, quella che davvero possiamo chiamare il Castello di Vlad, visto che fu costruito proprio da lui. La leggenda racconta della sua edificazione in soli 3 mesi, da parte dei nobili che furono puniti per l’uccisione del padre e del fratello di Vlad e obbligati a costruire una fortezza su una rocca in mezzo al bosco. Si dice che, una volta terminati i lavori, il principe abbia obbligato i nobili a stendersi a terra e abbia percorso i 1480 gradini della scalinata camminando sui loro dorsi.


Le rovine della Fortezza di Poenari sono ancora imponenti e magnifiche. Da lassù il panorama lascia senza fiato (già a corto di ossigeno dopo tutti gli scalini!) e si rimane veramente estasiati dai Monti Carpazi che ancora ti sovrastano e dal fiume Argeș, sottostante, dove si narra si sia gettata  Elisabetta, moglie del principe Vlad, in seguito alla falsa notizia dell’uccisione di questo da parte dei turchi. E qui potrebbe iniziare un’altra storia, quella del fiume della Principessa..

Fortezza Poenari
Fortezza Poenari