1

Ion Țiriac, 2 miliardi di dollari e 33 figli

Il portale Celebrity Networth stima ogni anno i patrimoni degli sportivi ed elegge tra questi il più ricco.  Lo sportivo più ricco del mondo non è, al momento,  Roger Federer, Michael Jordan o Tiger Woods, come si potrebbe pensare, ma un rumeno, Ion Țiriac, ex tennista e oggi imprenditore di enorme successo.  Si calcola che il patrimonio di Țiriac supera i 2 miliardi di dollari, il doppio di Michael Jordan per intenderci!
Nel 2007,  è diventato il primo miliardario rumeno e Forbes lo ha inserito tra le 1000 persone più ricche del mondo occupando anche la nona posizione nella classifica negli scapoli più ricchi del pianeta.

La sua fama non è proporzionale alla sua ricchezza e proprio per questo motivo la notizia che sia lui lo sportivo più ricco del mondo ha sorpreso tutti. A questo punto è più che legittima una domanda semplice: chi è Ion Țiriac?


tiriac2Come tennista, negli anni ’70, non è mai stato il numero 1 mondiale. Il suo anno migliore fu il 1968, quando fu stimato come ottavo giocatore del mondo.  I successi maggiori li ha ottenuti in doppio, insieme all’amico e connazionale Ilie Năstase  (che è stato numero 1 mondiale nel 1973), col quale ha formato una delle coppie più forti degli anni’70. Insieme hanno vinto più di 20 trofei, alcuni sul campo di Roland Garros. Non era un giocatore elegante, anche perché inizia la sua carriera sportiva come giocatore di hockey sul ghiaccio e questo si notava nel modo in cui si diceva che “impugnava la racchetta come un martello”. Era soprannominato sul campo da tennis  come conte Dracula, non solo per le sue origini transilvane (è nato a Brașov, nel 1939), ma soprattutto per il suo volto severo e misterioso, dietro il quale si nascondeva invece una grande ironia.  Disse una volta:  “sarei stato il miglior giocatore del mondo, se solo avessi saputo giocare a tennis“. Le qualità tennistiche di Ion Țiriac non erano certamente di primo livello. Spesso però sopperiva col cuore e con la furbizia, il mestiere, talvolta persino con l’aperta scorrettezza ed antisportività. Non mancano le leggende su di lui:  si racconta di come staccasse a morsi i pezzi dei bicchieri, tradendo le sue origini di “giostraio”, di quando minacciava fisicamente con la racchetta qualche giornalista per un articolo sgradito o ancora di quando tracannava in scioltezza bicchieri su bicchieri di whisky. 

beckerDopo il ritiro dal tennis professionistico, negli anni ’80, diventa un uomo d’affari in Germania, dove comincia ad allenare e a fare da manager  a molti campioni, come Mary Joe Fernandez, Guillermo Vilas, Marat Safin,  Steffi Graf,  Goran Ivanisevic e Boris Becker. Quest’ultimo diventerà, grazie al suo manager e allenatore, il più grande tennista degli anni ’80 e ’90. La leggenda narra che un giorno Ion Țiriac  si presentò in una Rolls Royce a casa di un giovane molto promettente di 17 anni, per impressionare la sua famiglia e convincerla a lasciare che fosse lui ad allenarlo: la famiglia del giovane Boris Becker accettò e Țiriac dimostrò di avere già grande fiuto per gli affari.

Con la caduta del regime comunista, nel 1989,  inizia vari affari in Romania. Come manager e imprenditore ha mostrato un talento eccezionale per il business: ha fatto investimenti nel ramo bancario ed assicurativo, ha fondato una banca e una compagnia di assicurazione che portano il suo nome, una compagnia aerea e tante altre attività secondarie, nel settore immobiliare. Un aneddoto di colore: recentemente si è lamentato durante un’intervista della mancanza di manodopera nei suoi cantieri, dove ha dovuto assumere cinesi e indiani visto che “tutti i rumeni lavorano in Italia”!

Nel 2002,  ha costruito a Madrid il parco giochi del tennis mondiale, diventato uno degli impianti più importanti del circuito ATP e, dal 2008, diventando direttore del Mutua Madrid Open. Nel 2013, L’International Tennis Hall of Fame gli ha dedicato una stella, come massimo riconoscimento del suo talento come manager sportivo. 

Ion Țiriac è, senza dubbio, un personaggio intrigante, con il suo volto misterioso, indecifrabile, dei grandi baffi che nascondono il viso e occhiali da sole scuri di cui non si separa mai. In Romania è una specie di guru della finanza, dell’economia, una persona da cui si va a chiedere consigli di tutti i generi: affari, investimmadridenti, tennis, politica, donne… Per quanto riguarda le donne, è riconosciuto come un tombeur de femmes, un grande seduttore, ammette che gli sono sempre piaciute e ha confessato, non molto tempo fa,  di avere ben 33 figli, di cui solo 3 legittimi!  Ha aggiunto anche che quando sarà il momento di dividere la sua cospicua eredità non farà favoritismi: “Dividerò tutto in parti uguali, anche se penso che un figlio non debba ricevere niente dal padre; altrimenti come potrebbe nascere in lui lo spirito competitivo?”. 

Ogni anno è corteggiato dai partiti politici che gli propongono di candidarsi per vari incarichi.  L’ultima proposta è arrivata nella primavera del 2014, quando gli è stato chiesto di candidarsi per diventare presidente della repubblica. La sua risposta è stata più che chiara : “Non sono stato capace di essere eletto presidente nella mia famiglia, come potrei chiedere di diventarlo per un intero paese?”. 




La Rivoluzione in un tappeto

La rivoluzione che ho vissuto 25 anni fa ha per me l’odore del fumo acre, denso e intenso che si sprigionava dalle pagine dei libri squarciati dai proiettili. Tanti libri con pagine sfregiate, un piccolo vuoto in mezzo, un cerchio perfetto che racchiudeva tra i suoi margini bruciati le parole mancanti di una storia, ancora non scritta, di un popolo, svegliatosi in un giorno freddo e cupo di dicembre per gridare in piazza la propria disperazione, incurante dei carri armati e dei soldati. Tanti di loro, giovanissimi come me, con i fucili pronti a sparare, combattuti tra il dovere, la paura e la voglia di abbracciare gli stessi vicini e parenti che li fronteggiavano dall’altra parte della barricata.  Poi, c’è la storia individuale della mia famiglia, che non ha niente di eroico, apparentemente. Uomini e donne travolti dagli eventi, sopraffatti, bambini ancora troppo bambini per poter capire che il mondo intorno stava cambiando e avrebbe cambiato anche loro, senza pietà e senza via di ritorno. Sulle vicende collettive si scrivono trattati di storia, su quelle individuali, romanzi.

La storia che sto per raccontarvi comincia con un pezzo di tappeto ritrovato tra le macerie fumanti della propria casa,  uno zerbino, da cui ripartire e ricostruire una vita d’amore cancellata dalle fiamme e dall’odio.

revolutie grupIn un periodo in cui buoni e cattivi si alternavano e si confondevano, i colonnelli della quinta Direzione dei servizi segreti rumeni, la Securitate, quelli del Potere per intenderci, il 21 dicembre del 1989 furono arrestati e condannati –  insieme ad altri dirigenti – al carcere. Mio zio era tra loro. Tutta la sua vita, le certezze e le incongruenze di una generazione comunista, la durezza e la fragilità di un regime quarantennale furono congelati in un attimo. Non si sa dove fu portato, né cosa gli fu fatto… niente, né allora, né oggi.
L’unica cosa certa è che dopo 182 giorni di reclusione, le porte della sua cella, con la stessa semplicità con cui erano state chiuse,  si riaprirono, catapultandolo in una Romania che nel frattempo non era più la stessa. 182 giorni senza alcuna notizia della famiglia, degli amici, senza nessun legame con l’esterno. La sua mente era rimasta lì, alla mattina del 21 dicembre, poco prima della grande manifestazione popolare convocata dal dittatore Ceausescu, quando – intuendo gli eventi che sarebbero successi – portò via lontano moglie e figli dalla piazza Palatului, quella della rivoluzione. La loro casa era a una manciata di metri dalla storia, a Bucarest, proprio di fronte al Comitato Centrale del Partito Comunista, sede del governo. Le centomila persone radunate che avrebbero dovuto consolidare il traballante regime agli occhi del mondo si trasformarono in un piano suicida senza ritorno.

Le immagini in diretta Tv ci mostravano i combattimenti tra le forze dell’ordine e il popolo, poi, quando i militari passarono dalla parte dei manifestanti,  tra l’esercito e i misteriosi gruppi chiamati “cellule terroriste” che difendevano il regime e il dittatore.

La manipolazione mediatica, alimentata dalla più clamorosa disinformazione, è nata in quei giorni, nella Romania libera e democratica.  Nessuno seppe mai chi erano questi  “terroristi”, se esistevano veramente e, visto che nessuno fu arrestato né processato, la loro identità resta avvolta nel mistero ancora oggi. Si parlava di soldati libanesi, iracheni o siriani, forze speciali addestrate dal regime per intervenire in quei giorni tormentati. Le notizie erano frammentate e confuse. Incollati alla diretta Tv assistevamo a scene di delirio filtrate da disinformazione, sullo sfondo si vedeva la casa dei miei zii che andava in fiamme. Dalle poche e frammentarie notizie, avevamo appreso grazie ad una sorta di passaparola che mio zio era stato arrestato e che mia zia con i figli si era rifugiata da amici fuori città.
Mio padre era uscito di casa la mattina precedente e non era ancora tornato. La gente invadeva la strade delle grandi e piccole città del paese, gridando la propria voglia di libertà. I giovani universitari, comprese le ragazze –  che il regime aveva addestrato militarmente per altri scopi –  si organizzavano in posti di blocco armati per difendere le loro città dagli attacchi dei presunti terroristi.
Fu la più surreale delle mie esperienze,  come se mi fossi frantumata in pezzi, guardando dal di fuori l’interno che si decomponeva. Ero sopraffatta dagli eventi. Da un lato c’era l’euforia contagiosa per la caduta del regime, si era finalmente avverato il nostro sogno di libertà: la libertà di parlare, di viaggiare, di protestare, di scegliere, di sbagliare, di vivere!  Dall’altro c’era anche un’angoscia sempre meno latente, quella di un futuro ignoto e che ignoravo quanto clemente sarebbe stato con mio padre, figlio del Partito.

Sono scesa in strada anche io con gli universitari, imbracciando il mio fucile; per giorni abbiamo difeso la città, in pattuglie improvvisate, fermando le auto, controllando i portabagagli, affiancando l’esercito nella protezione degli edifici pubblici. Non rientravamo a casa neanche di notte, ci sentivamo eroi del nostro nuovo tempo! Le notti erano lunghe e dure, arrivavano spesso notizie su gruppi di terroristi che stavano entrando in città e dovevamo rimanere svegli e vigili.  Ma non era solo la paura del “nemico” a tenermi sveglia, piuttosto erano stati d’animo contraddittori,  ero libera, ma avevo paura, per tutti i miei cari che stavano già pagando per gli errori di un passato sbagliato,  punito dalla storia.tancuri

Ero una rivoluzionaria della Rivoluzione che aveva sgretolato la mia famiglia, portato in prigione mio zio e allontanato per giorni mio padre, di cui non sapevamo ancora nulla. Pattugliavo le strade e avevo il terrore di scorgerlo in qualche auto dell’esercito, catturato insieme ai dirigenti del partito.  Quando poi una mattina finalmente tornò, si chiuse nel silenzio per giorni, nella sua stanza, con i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue insicurezze e chissà cos’altro ancora che gli lacerava l’animo.

La piazza di Bucarest, dove ebbe inizio tutto, era un cumulo di macerie. Quando dopo giorni mia zia riuscì a ritornare in quella che era stata una volta la sua casa, recuperò poche cose: alcuni libri che si salvarono dall’incendio forati dai proiettili, qualche straccio, un pezzo di tappeto. Me lo ricordo bene, era un tappeto persiano, grande, rosso porpora, con fiori, bellissimo. Mio zio lo aveva comprato in Iran, in una delle volte che accompagnò Ceausescu in visita diplomatica. Mia zia ritagliò le parti che non erano state bruciate e ne fece uno zerbino che mise davanti alla porta della nuova casa.

Quando mio zio uscì di prigione, dopo 6 mesi di silenzio, aveva in mente una sola cosa: ritrovare la propria famiglia. In una Bucarest irriconoscibile, aveva pochi indizi e nessuna certezza. Sapeva solo che tutti quelli che avevano perso la casa durante la rivoluzione abitavano adesso in un quartiere nuovo, con più di cinquanta palazzi, tutti uguali, grigi e con odore di vernice fresca, l’ultimo quartiere costruito dal regime prima del collasso. Nessuno era a conoscenza del fatto che fosse ancora vivo né lui sapeva cosa restava dei propri affetti.

Per giorni cominciò a girare per i nuovi parchi, entrando in ogni palazzo, ogni scala, ogni interno, alla ricerca di qualche indizio, qualche notizia, la conferma a qualche speranza. E poi eccolo lì, inaspettato, lo zerbino dal colore familiare, davanti ad una porta uguale alle altre, tra volti anonimi di un quartiere sconosciuto. Esausto e disperato bussò. Ci vollero alcuni minuti prima che qualcuno sbirciasse dallo spioncino, infiniti! Mia zia non aspettava nessuno, non coscientemente intendo, una sagoma smagrita di un uomo con la barba lunga lo attendeva all’uscio.

Quello che seguì fu un abbraccio lungo quanto lunghi furono i 182 giorni senza di lui.




Sant’Andrea, la notte degli spiriti: aglio, cipolla e tanto mistero

Spesso mi chiedono se noi, gli ortodossi, siamo cristiani e più spesso sono i bambini che rivolgono questa domanda a mio figlio. La risposta è sempre la stessa: siamo cristiani grazie a Sant’Andrea, l’apostolo che, probabilmente, intorno al 50 d.c.,  convertì al cristianesimo i daci (gli antenati del popolo rumeno), ancora devoti al culto del loro dio Zamolxis.  “Il nostro Sant’Andrea?”, segue la domanda che dimostra l’incredulità davanti una simile “scoperta illuminante”.  Il “vostro” Sant’Andrea è il santo patrono della Romania,  sono più di 700.000 i rumeni che portano il nome di Andrei o Andreea (variante femminile) e che festeggiano il loro onomastico il 30 novembre, giorno dichiarato anche festa nazionale.
sf andrei
La prima chiesa cristiana apparsa sul territorio romeno fu adibita in una grotta della regione Dobrogea, nel sud-est della Romania.  Si racconta che l’Apostolo Andrea, il primo discepolo di Cristo, giunto in Scizia Minore (la Romania di oggi), per diffondere la parola di Dio,  si rifugiò in questa zona dalle persecuzioni dei romani e i sacerdoti del culto locale lo ricevettero a braccia aperte, ospitandolo in una grotta in cui fu ulteriormente scavata la chiesa a lui dedicata.  Nelle vicinanze si trova anche la Sorgente di Sant’Andrea. Secondo la tradizione, quando il Santo Apostolo Andrea giunse in queste terre  non trovò in nessun posto dell’acqua, e allora colpì con il suo bastone la roccia nel posto dove c’è oggi la sorgente e l’acqua cominciò a sgorgare. La Grotta è un importante luogo di pellegrinaggio e di turismo religioso in Romania. 

Fin qui niente di strano. Il giorno di sant’Andrea è carico di sacralità  ma anche di tanta magia che rende questa festa veramente unica, grazie al suo intreccio, quasi mistico, tra elementi religiosi e riti pagani. La festività dedicata al santo coincide con un’altra festa pre-cristiana dedicata al lupo, che a quei tempi era adorato dai daci come una divinità.  Non a caso, lo stemma dei guerrieri era un drago con la testa di lupo. La notte tra il 29 e OLYMPUS DIGITAL CAMERA30 novembre viene chiamata anche la notte del lupo, giorno che porta l’inverno. Anche la figura popolare del santo è molto legata a quella del lupo, poiché  si crede che il santo stesso, in questo giorno raccoglie tutti i lupi e distribuisce ad ognuno una preda per tutto l’inverno. In alcune regioni della Romania si narra che in questa notte gli animali parlano tra di loro nella lingua universale, comprensibile anche dall’uomo. Purtroppo tale rivelazione, se ascoltata dalle orecchie umane, potrebbe costare molto caro… l’uomo perderebbe l’udito, se non la vita.

Nella tradizione popolare, questa notte è conosciuta soprattutto come la notte degli spiriti, degli strigoi,  delle figure mitologiche, una specie di morti viventi, che solo questa notte abbandonano le loro tombe e vagano sulla terra,  provocando diverse malefatte:  fanno impazzire gli uomini, distruggono i raccolti, fanno ammalare gli animali,  torturano e succhiano il sangue dei vivi, rovinano la bellezza delle ragazze, rapiscono i bambini senza battesimo e gli uomini con molti peccati.  Per proteggersi dalla forza malefica di questi morti viventi, esistevano – e tutt’ora sono conservate – una varietà di tradizioni, superstizioni ed usanze nelle quali il paganesimo si scontra con il cristianesimo. Stanotte si chiudono tutte le finestre e le porte delle case e vengono anche unte di aglio per tenere lontani gli spiriti malvagi.usturoi Si devono, inoltre, coprire tutti i fori che possano permettere l’entrata in casa. Le donne hanno il ruolo di proteggere la propria famiglia mettendo sottosopra tutte le pentole di casa, oppure spargendo per la casa pezzi di pane, in modo che gli spiriti maligni si fermino a raccorglierli evitando di entrare in casa. Ricordo che noi, i bambini, avevamo il compito di fare delle grosse trecce d’aglio, che si mettevano poi sopra le porte, ma anche quello di coprire tutti i buchi di porte e finestre, sempre con aglio, per non lasciare spazio agli spiriti di entrare.  E’ inutile dire che l’odore forte di aglio allontanava qualsiasi essere,  vivente o no,  che si avvicinava alle case!!cimitir

Quello che più mi incuriosiva e allo stesso tempo mi terrorizzava era un altro rituale, a cui i bambini non potevano assistere, per rivelare l’autore di un crimine o di un furto. Anche gli investigatori più bravi ne sarebbero invidiosi! Un gruppo di uomini andavano al cimitero a mezzanotte muniti di candele e di un vaso pieno di acqua benedetta con delle monete d’argento dentro. Si posava il vaso su una tomba abbandonata, si accendevano le candele e si pregava  finché nell’acqua non compariva l’immagine del criminale o del ladro. Qualcuno giura che tutto ciò, spaventosamente,  si avverava…

La notte tra il 29 novembre e il 30 è anche la notte durante la quale le ragazze possono conoscere il loro futuro e vedere il futuro sposo, guardando il fondo di un pozzo alla luce di una candela o mettendo 41 semi di mela o dei fiori secchi di basilico sotto il cuscino. Confesso che nella mia vita ho mangiato tante mele solo per raccogliere i 41 semi che avevano il potere di svelare il mio futuro amoroso. Il divertimento più grande era il giorno dopo, quando le amiche si raccontavano i sogni fatti la notte prima. Io mi ricordo uno solo, indimenticabile: quello in cui Chuck Norris si sposava per la settima volta… con me! Dovete ammettere che sant’Andrea ha parecchio senso dell’umorismo!

busuioc andreTra tutte le tradizioni legate alla notte di Sant’Andrea c’è una che, da piccola, mi piaceva più di tutte: era quella che sostituiva il lavoro di qualsiasi meteorologo esperto. Si prendevano 12 cipolle, una per ogni mese dell’anno, si mettevano nella soffitta, lontano dalla luce del sole e si lasciavano lì fino alla vigilia di Natale. Si tagliavano in due e quello che si trovava all’interno si interpretava in questo modo: ogni cipolla che usciva marcia dentro significava un mese di precipitazioni, quelle che avevano germogliato indicavano i mesi propizi per l’agricoltura. Forse c’è poco di scientifico, ma vi assicuro che le previsioni meteo “lette” nelle cipolle erano quasi sempre precise. Così come anche quelle indicate dalla luna: se era piena e il cielo sereno, l’inverno sarebbe stato caldo; se la luna era piena ma il cielo scuro, oppure se pioveva o nevicava, l’inverno sarebbe stato lungo, rigido e con tanta neve.

Mentre scrivo guardo fuori dalla finestra, il cielo è ricoperto di nuvole,  la luna… non la vedo… chissà come sarà quest’inverno… Meglio preparare l’aglio!




Timișoara-Trevisoara e il mistero delle (tante) ragazze

Un mio amico italiano è tornato da poco da Timișoara. E’ andato per la prima volta in Romania ed è rimasto colpito. “State meglio di noi, sicuramente!”, è stata la sua opinione” a caldo”. Poi ha ammesso che era partito con tanti pregiudizi, “sai, qua quando dici rumeno pensi soprattutto a quelli che ne combinano di tutti i colori e ti aspetti di trovarli anche lì”. Il suo soggiorno è andato benissimo, ha fatto tranquillamente passeggiate notturne per la città, è andato nei locali, ha visto pochi poliziotti in giro e nessun incidente spiacevole. “E’ impossibile fare un passo senza sentire parlare italiano, perciò mi sono sentito a casa, perché l’Italia lì è ovunque”,  èuniversitate stata la sua seconda osservazione, ragionevole, visto che, con più di 10.000 italiani che ci vivono, Timisoara è in parte “italianizzata”. Non a caso, viene chiamata anche l‘ottava provincia veneta, ossia Trevisoara. Il mio amico è rimasto impressionato da tante cose: i chilometri di piste ciclabili, i numerosi parchi, tanti spazi per i bambini, la gente rilassata e tranquilla, i terrazzi dei ristoranti affollati fino a tarda notte, i migliaia di giovani studenti universitari (più di 100.000, tra cui anche tanti italiani che studiano medicina) che inondano le strade e conferiscono alla città un’affascinante aria cosmopolita.
Timișoara è sempre stata cosmopolita, non solo per la lunga dominazione asburgica ma anche per la vicinanza all’Europa Occidentale. Chiamata anche la Piccola Vienna,  per la sua architettura barocca molto simile alla capitale austriaca, Timișoara ha una lunga storia. La prima attestazione documentaria risale al 1212,  quando era una città fortificata,  di nome Castrum Temesiensis. Conobbe un eccezionale sviluppo al tempo del re Carlo Roberto d’Angiò (nipote di Carlo II di Napoli), che, nel 1307,  costruì qui un palazzo reale e vi trasferì la capitale del regno d’Ungheria. Dal 1552, per quasi 200 anni, Ttimisoaraimișoara si trovò sotto la dominazione ottomana, poi, per altri 200 anni, sotto la dominazione austro-ungarica. Con queste premesse storiche, non è difficile spiegare perché a Timișoara si parlano oggi tante lingue: rumeno, tedesco, ungherese, serbo, turco, romanes ed è un eccellente esempio di convivenza tra popoli,  culture e religioni diverse.

La città ha due primati  in Europa: è l’unica ad avere tre teatri di stato in rumeno, tedesco e ungherese ed è stata la prima ad essere illuminata con lampioni elettrici.

La sua vicinanza all’Europa Occidentale,  a Belgrado (180km) e a Budapest (300km), gli ha conferito uno statuto privilegiato durante gli anni bui del comunismo. Mi ricordo che all’epoca, quando si diceva Timișoara si intendeva un’isola di capitalismo proibito che il regime non era riuscito a controllare. Ci si andava per comprare i jeans capitalisti, le scarpe firmate, le sigarette americane, per bere la Coca Cola nei ristoranti, per comprare i vinili dei Rolling Stones o dei Pink Floyd, per vedere le TV straniere alle quali nessun’altra parte della Romania aveva accesso. Non a caso, la Rivoluzione anticomunista del 1989, che portò alla caduta del regime di Nicolae Ceaușescu,  iniziò proprio a Timișoara, nei primi giorni di dicembre. Dopo le prime manifestazioni di protesta contro il regime, a cui parteciparono migliaia di persone, fu decretata l’applicazione della legge marziale, vietando alla popolazione di circolare in gruppitimis più numerosi di 2 persone. Sfidando i divieti, un gruppo di 30 giovani avanzarono verso la Cattedrale ortodossa,  dove fluttuarono bandiere rumene, con lo stemma comunista tagliato. L’immagine simbolo della rivoluzione rumena è costituita da questi 30 manifestanti che iniziarono a cantare “Deșteaptă-te române” (Destati, rumeno), l’attuale inno nazionale rumeno, all’epoca vietato e la cui esecuzione in pubblico era punita dal codice penale. I militari fecero immediatamente partire una raffica di mitra che uccise alcuni dei  manifestanti,  ferendone gravemente altri. Fu l’inizio della fine di un’epoca e di un regime dittatoriale che guidò la Romania per più di 50 anni. Così la piccola Vienna è diventata anche la capitale della Rivoluzione anti-comunista.
La caduta del regime comunista ha aperto le porte al capitalismo, così tanto desiderato. I primi imprenditori arrivati qui negli anni ’90 sono stati gli italiani, soprattutto quelli provenienti dal Nordest, che cercavano nuovi spazi industriali a costi produttivi inferiori. La Romania, desiderosa di cambiare strada e di dirigersi verso la globalizzazione, metteva a disposizione intere praterie e tante agevolazioni fiscali.  Di conseguenza, si registrò una vasta processione di aziende italiane, che portarono a Timisoara oltre 10.000 italiani. Oggi, la Camera di Commercio Rumena conta oltre 2000 aziende italiane presenti nella zona, tra le 13.000 registrate in tutta la Romania.  L’italiano è diventata la settima lingua parlata e, gli italiani, i visitatori più assidui, per lavoro o per turismo, quello classico, ma anche quello dentistico,  molto fiorente negli ultimi anni.

La città occupa il terzo posto tra le città rumene più visitate dai turisti stranieri, dopo Bucarest e Brașov. Attraversata da due fiumi, Bega e Timiș,  Timișoara detiene il più ampio numero di edifici storici della Romania, anche perché in questo posto la politica urbanistica del regime comunista, distruttiva e irrispettosa verso il passato,  non hapiata unirii lasciato la sua impronta, come a Bucarest ad esempio. L’elenco dei monumenti di Timișoara è talmente vasto che si perde presto il conto e si fa fatica a programmare un itinerario in anticipo. Nel centro storico, compatto e monumentale, due sono le tappe obbligatorie:  Piața Unirii (Piazza dell’Unità), la piazza principale della città vecchia di Timișoara, in stile barocco, chiamata anche “Union Square” per la presenza delle due cattedrali opposte: quella ortodossa serba e quella cattolica; Piața Victoriei (Piazza della Vittoria o della Rivoluzione),  luogo della memoria e, nello  stesso tempo,  l’anima della città,  un crocevia per shopping, caffè bar e luoghi di ritrovo. La sua forma rettangolare è dominata, ai suoi opposti, dalla Cattedrale ortodossa e dal teatro dell’Opera.  Seguendo il corso del Bega, si possono scegliere percorsi alternativi, lungo gli argini e sui ponti, o nei quartieri semiperiferici, come Cetate, Josefin e Fabric, con i loro insiemi architettonici urbani che meritano di essere visti. Si può decidere semplicemente anche solo di fare su e giù passando da un tram all’atro tram, scendendo per ammirare un fregio barocco su un portone o il silenzio dei tanti parchi e giardini, più di 450 ettari, che hanno conferito alla città un altro  soprannome, quello della Città dei Fiori.parchi

Ho lasciato alla fine un altro primato di Timișoara: questa città è l’unico posto dalla Romania dove si registra un vecchio fenomeno genetico collegato al fatto che la maggior parte dei neonati sono di sesso femminile, il risultato è che ci sono 4 ragazze per ogni uomo.  La causa resta misteriosa, anche se si presuppone che risulti dalle condizioni climatiche, acqua e terra locale. Certo sta che il cosiddetto Fenomeno Timișoara rende la città particolarmente attraente per i turisti stranieri,  grazie alle sue bellezze… e non parlo solo di arte!