1

I Premi Nobel erranti della Romania

Il vincitore del Premio Nobel per la Chimica 2014 si chiama  Stefan W. Hell  (premiato insieme agli americani Eric Betzig e William E. Moerner).
Stefan è tedesco nato e cresciuto in Romania.
Questa è la storia di un ebreo, due tedeschi e un americano…. tutti rumeni, tutti premi Nobel!
Uniti da un destino comune, segnato dall’appartenenza a un paese, la Romania, e alla sua storia tormentata degli ultimi 60 anni, furono obbligati a scappare, per salvarsi, per sopravvivere e per seguire i propri sogni.  Si potrebbe ricorrere a una frase fatta, pronunciata troppo spesso dalle nostre parti (oggi purtroppo attuale anche in Italia) : “spesso bisogna andare lontano per affermare le proprie ambizioni”.  In questi giorni,  nel mio paese, politici, opinionisti, analisti, gente comune si sono lanciati in commenti sterili su questo tema;  una domanda tra tutte, quasi retorica: “se fossero rimasti in Romania, sarebbero ugualmente riusciti a vincere un Nobel”?
Credo che invece di chiedersi se avessero comunque fatto la storia, sarebbe forse più giusto domandarsi se fossero sopravvissuti alla storia!

Stefan Hell è nato in Romania, nel 1962, nella cittadina di Arad, in una famiglia di șvabi (cittadini di origine sassone) che è emigrata in Germania, nel 1978.  Ha vissuto in Romania per 16 anni e, a sentire il suo racconto, la passione per la chimica è nata mentre frequentava il Liceo Nikolas Lenau di Timisoara, lo stesso che ha frequentato un precedente vincitore del premio Nobel, questa volta, per la letteratura, la scrittrice Herta Muller. La loro storia personale si incrocia con la storia di un paese, che, per più di quarant’anni, è stato vittima di una dittatura comunista dalla cui follia senza limiti volevano fuggire tutti. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, la fuga era all’ordine del giorno, perché non c’era speranza. Tutti volevano fuggire, anche a costo della morte. Dal 1968 al 1989, oltre 200.000 cittadini rumeni di etnia sassone hanno lasciato la Romania. Nessuno poteva lasciare la nazione ma, per accordi con Israele e la Germania Federale, i sassoni e gli ebrei dietro lauto compenso (spesso coperto dalle rispettive nazioni), potevano ricongiungersi agli stati di origine. Il dittatore Ceaușescu capì presto quanto potesse essere redditizio questo commercio umano e rimarranno nella storia le sue parole: “Il petrolio, gli ebrei e gli șvabi sono le merci più ricercate da esportazione“. A partire dal 1978, il “prezzo” di un cittadino rumeno e della sua rimpatriata in Germania fu stabilito a 4000 marchi, per poi arrivare, nel 1988, a 8950 marchi.
Il neo premio Nobel per la Chimica, Stefan W. Hell,  ha lasciato la Romania nel 1978, insieme alla sua famiglia,  pagando probabilmente anch’egli  in marchi  il prezzo della propria libertà.  “Andarmene via è stato un grande sollievo per me, la Romania era un paese comunista dove non ti era permesso di dire quello che pensavi. Da un altro lato, invece, la scuola che ho seguito a Timișoara era molto buona e gli studi fatti lì mi hanno arricchito di conoscenze più avanzate di quelle dei miei colleghi tedeschi“, ha dichiarato recentemente in un’intervista Hell. Per lui, il “luogo dove sei nato è un posto speciale, che ti rimane nel cuore, ovunque tu vada“.  A volte la memoria di questi luoghi è tenera e i ricordi sono pieni di luce, a volte invece sono sommersi nel buio del terrore. E’ questo il caso di Herta Muller, che ha sviluppato il suo stile letterario proprio tra ombre soffocanti che avvolgevano la sua memoria, ottenendo il Nobel nel 2009 grazie alla “concentrazione della sua poesia e alla franchezza della sua prosa con le quali ha saputo descrivere il paesaggio dei diseredati” come si può leggere nella motivazione dell’Accademia di Stoccolma.
La scrittrice, poetessa e saggista è nota per la descrizione della dura vita sotto il regime comunista di Ceaușescu. Nel 1987 fuggì dalla Romania insieme al marito dopo essere stata licenziata nel 1979 (era traduttrice di tedesco) perché si era rifiutata di collaborare con la Securitate, la famigerata polizia segreta del regime, la stessa che la seguì e la perseguitò negli anni a venire.  ” Ti rendevi conto che sono stati di nuovo a casa tua da un quadro o una sedia spostati”, racconta. ” Se senti il rumore dell’ascensore mentre sei in casa a leggere un libro e ti viene il panico perché credi che siano venuti a prenderti. Tutto perde la sua ovvietà, cambia la visione e la percezione delle cose. In Romania ero così estranea che ero devastata da quella che provavo. Non c’è niente di più orribile che essere estranea in una patria che ti vuole morta»
Quando finalmente riuscì a ottenere dalla Securitate il dossier di 914 pagine che la riguardava, Herta Müller scoprì che veniva definita “un pericoloso nemico dello Stato da combattere”. Il suo nome in codice non era più Herta, ma “Cristina” alla quale venivano addebitate “distorsioni tendenziose della realtà del Paese“,  contenute nei suoi due libri scritti in tedesco, pubblicati in Romania, ma violentemente tagliati dalla censura comunista.  

Se veramente la storia è la somma dei fatti che si succedono, a volte apparentemente sconnessi, e “a fare la storia sono gli individui che hanno vissuto un attimo diverso dall’altro“, come stessa Herta Muller sostiene, dalla stessa parte del mondo,  ma in un’epoca diversa, un altro rumeno, premio Nobel per la pace, Ellie Wiesel, ha dato il proprio contributo pagando uno dei dazi più terribili, l’Olocausto, sopravvivendo.

Wiesel è uno scrittore statunitense, di cultura ebraica e di lingua francese, nato in Romania, a Sighetu Marmației (nella regione di Maramureș), nel 1928, in una famiglia ebrea. Fu deportato nel 1944 ad Auschwitz,  insieme ai genitori a alle tre sorelle. I genitori e una delle sorelle morirono qui, invece le altre due sorelle le ritroverà, qualche anno dopo, in un orfanotrofio in Francia. Per dieci anni dopo la fine della guerra, Wiesel si rifiutò di scrivere o parlare della propria esperienza durante l’Olocausto. Come molti sopravvissuti, non riusciva a trovare le parole per raccontare la sua esperienza. Poi scrisse 900 pagine di memorie,  “E il Mondo rimane in silenzio”, in cui raccontava la sua esperienza, nuda  e cruda, vissuta nel campo di Auschwitz, esperienza che gli ha fatto perdere la fede in Dio e l’umanità. L’opera, giudicata dai critici “rabbiosa”, fu riscritta, in versione più breve, in francese, con il titolo La notte, che fu subito considerato un capolavoro.   

“Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. “ Così descrive il suo tragico arrivo al campo di Auschwitz, nel settembre del 1944.  Quando, nel 1986, riceve il premio Nobel per la pace, il Comitato Norvegese dei Premi Nobel lo definì “messaggero per l’umanità”,  perché aveva consegnato al mondo un potente messaggio di “pace, di espiazione e di dignità umana“, attraverso la sua personale esperienza nei campi di concentramento.  A distanza di cinquant’anni il libro La Notte è stato tradotto in 30 lingue, ed è considerato, accanto a Se questo è un uomo, di Primo Levi e al Diario di Anna Frank, come uno dei capolavori della letteratura sull’Olocausto. 

La nostra storia dei Nobel rumeni,  erranti nel mondo, si chiude con George Emil Palade, un biologo e medico rumeno, naturalizzato statunitense, che ha vinto, nel 1974, il premio Nobel per la medicina e fisiologia, grazie alle sue ricerche nella biologia cellulare. Nato a Iași (nella regione della Moldavia), nel 1912, ottiene il titolo di dottore in Medicina, presso l’Università di Bucarest. Nel 1946, decide di lasciare la Romania, che, dopo l’abolizione della monarchia, si avviava nel tunnel comunista. La sua carriera è folgorante: da ricercatore all’Università di New York  all’Istituto Rockfeller, poi alla Yale University e all’Università di San Diego in California. Nel 1986, il presidente Ronald Reagan gli accorda la medaglia nazionale per meriti nel campo della scienza. Palade muore in California, all’età di 96 anni,  e le sue ceneri vengono sparse, per volontà sua, nei Monti Bucegi, in Romania, da una vetta chiamata Vârful cu Dor, la Vetta della Nostalgia.




Ho detto Bucarest non Budapest!

Accade spesso che i nomi di due delle capitali dell’Est Europa si confondano, visto che si somigliano troppo. I nomi, non le città! Molte volte, nei quiz televisivi, ho sentito la domanda: ” Qual’è la capitale della Romania, Bucarest o Budapest?”, nel tentativo di chiarire questo dubbio di toponimia. Mi viene istintivamente di giudicare negativamente quelli che non hanno le idee troppo chiare, dimostrando ignoranza in geografia, ma poi mi dico che forse è anche colpa di una città se non riesce ad affermare una propria identità che la renda diversa da tutte le le altre agli occhi dei turisti.

Trattandosi della capitale della Romania, spesso mi viene chiesto un parere su Bucarest, se è bella, se vale la pena di essere visitata. Premetto che la Transilvania austro-ungarica, il nord, da dove vengo, ha sempre guardato con un pizzico di arroganza la Bucarest del sud troppo “balcanica”, caciarona, rumorosa, a tratti approssimativa (per gli italiani, “balcanico” in Romania è un termine che racchiude molti dei pregiudizi che in Italia si associano spesso agli abitanti del sud). Non nascondo che ogni volta che incontro in aeroporto un turista straniero che mi dice con ammirazione che “la Transilvania è tutt’altra cosa” rispetto a Bucarest e al sud della Romania in generale, mi sento gratificata.

No, non è la mia città del cuore, l’avrete capito, né quella dei miei sogni e, quando vivevo ancora in Romania,  non ho mai pensato di trasferirmi nella capitale e di lasciare  Cluj -Napoca, come hanno fatto tanti miei amici, inseguendo i loro sogni (in Romania l’emigrazione lavorativa va verso sud).  Perciò, fidatevi di me e di ciò che vi dirò su Bucarest perché non mi sento coinvolta emozionalmente, anche se la metà dei miei parenti vive lì. Quando una delle mie zie di Bucarest ha saputo che stavo scrivendo un articolo sulla sua città  mi ha detto “Ah, finalmente prendi in considerazione anche a noi!”.

Arcul de Triumf
Arcul de Triumf

Beh, non avrei potuto esimermi! Non sarà la mia città preferita, ma è pur sempre il cuore economico, politico e culturale della Romania la città rumena più visitata dai turisti stranieri. Bucarest vanta 37 musei, 22 teatri, 2 teatri dell’opera, 3 auditorium, numerose biblioteche pubbliche, librerie e i tipici book-caffè. Indicata spesso come  la “Parigi dell’Est” (come del resto Budapest, giusto per alimentare la confusione), per la particolare architettura d’ispirazione francese, fatta di ampi viali e di gloriosi edifici della Belle Epoque, ma anche per l’ambiente culturale cosmopolita dell’epoca. Per completare il paragone, uno dei monumenti più belli di Bucarest è l’Arco di Trionfo,  dal quale inizia Șoseaua Kiseleff, un grande viale anche più lungo e più largo del celebre Champs Elysées. Non a caso,  nel 2004, il film biografico Modigliani,  di Mick Davis, è stato girato proprio nella Piccola Parigi, Bucarest. 

Prima di scrivere l’articolo ho fatto un’ indagine personale tra i miei amici e conoscenti,  per vedere un po’ che cosa viene in mente quando si pensa a Bucarest…

Citando in ordine sparso, ecco cosa ho raccolto: Casa del Popolo, l’edificio più grande del mondo dopo il Pentagono, la squadra di calcio Steaua București e lo stadio Arena Națională (che ospiterà quattro partite  durante gli Europei itineranti di calcio del 2016), i ragazzi drogati e malati che vivono da vent’anni nelle fogne e nei cunicoli della città,  i cani randagi e le vari leggi sull’eutanasia canina che hanno sconvolto l’opinione pubblica internazionale. Qualche fan di Michael Jackson ricorda Bucarest perché è ancora convinto che il più bel concerto dell’artista sia stato Dangerous, Live in Bucharest, nel 1992, tra l’altro anche il primo mega-concerto pop in un paese ex-comunista.  
micheal

Direi che Bucarest, con i suoi quasi 2 milioni di abitanti, non sia tra le capitali turistiche più gettonate dell’Europa, anzi, molto probabilemnte è tra le capitali meno conosciute. Una città ancora tutta da scoprire. Ogni anno, arrivano qui circa 700.000 stranieri: italiani, americani, tedeschi, inglesi e francesi, ma più della metà vengono per affari e solo una piccola percentuale, circa il 10% , è attratta dalle bellezze della città.  L’ente nazionale del Turismo parla anche di un’altra categoria di turisti, il 15%, che viene per ragioni sentimentali.  Il motivo lo potremmo trovare in una famosa canzone degli anni cinquanta, considerata un vero inno delle ragazze di Bucarest: “Fetițe dulci ca-n București, în toată lumea nu găsești” (“Ragazze dolci come a Bucarest non le trovi da nessuna parte nel mondo”)  – ehm, se state pensando a quello, sappiate che è finito il turismo sessuale low-cost degli anni ’80!

dracula
Corte Antica, Statua di Vlad Țepeș

Comincerei a parlare di questa città dal nome che, probabilmente, deriva dalla parola rumena “bucurie”, che significa felicità, gioia. La giusta traduzione sarebbe quindi la “città della gioia“.  Ma il documento che attesta la sua nascita racconta tutt’altro. Secondo le fonti storiche antiche, la città è stata fondata nel 1459, sulla riva del fiume Dâmbovița,  da Vlad Țepeș, il leggendario Dracula, proprio lui!  Vlad III fece costruire la fortezza di Bucarest, prima di una lunga serie di fortificazioni, allo scopo di difendere la Valacchia dagli attacchi dei turchi. Verso la fine del sedicesimo secolo, Bucarest era la più grande città cristiana del sud-est europeo.

snagov
Lago Snagov

E’ curioso che il documento che attesta la nascita della città,  firmato proprio da Vlad l’Impalatore,  si conclude con una terribile maledizione. Terminare un contratto con una maledizione era un’usanza abbastanza comune all’epoca ma, trattandosi della firma autografa del Principe del Male gli studiosi considerano tale invettiva piuttosto nefasta per questo luogo. Inveendo contro il venditore della terra e la sua gente “e lui e la sua carne saranno distrutti dalla parola di Dio e nell’oltretomba la sua anima sarà con Giuda e Arius (teologo berbero, dichiarato eretico nel 325 d.c. e poi riabilitato, per le sue idee sulla non deità del figlio di Dio)  e con gli altri che hanno detto: il suo sangue cadrà su di loro e sui loro figli, questo è ora e sarà per sempre, amen” (documento originale conservato nel Museo Nazionale di Storia di Bucarest).

Si può immaginare che con un simile auspicio in città ci fu un proliferare di libri di malefici e anatemi, dei veri best-sellers, e il commercio a base di maledizioni fu più fiorente che mai.
La storia della città nei secoli a venire non fu affatto benevola e sono molti quelli che credono che la lunga serie di alluvioni, terremoti, incendi, invasioni, epidemie che hanno colpito Bucarest, i 40 anni di folle dittatura comunista, siano la conseguenza della sua nascita maledetta dal temuto Vlad Țepeș. Lo stesso che la tradizione popolare vuole che sia sepolto a pochi chilometri da Bucarest, nel Convento di Snagov, su un’isola, nel mezzo di un lago (ma avete letto che si parla anche di sua una sepoltura a Napoli?).
E di maledizione in maledizione, si dibatte anche su cosa abbia influito di più sulla morte del dittatore Ceaușescu, fucilato con la moglie nel giorno di Natale del 1989 durante la Rivoluzione anti-comunista. Si, perché come se non bastasse il fatto di governare in una città maledetta, nel 1984, per ordine suo, furono demoliti molti edifici e più di 20 chiese (molte considerate monumenti storici) , tra cui Spitalul Brâncovenesc (Ospedale Brâncoveanu) e la chiesa che era lì accanto. Sulla chiesa c’era un’iscrizione, del 1800, che prediceva che “colui che toccherà questa costruzione finirà ucciso dal suo popolo in un giorno di festa”.  Detto fatto!

bnjovi
Bon Jovi a Bucarest di fronte alla Casa del Popolo

Bucarest non è una città monumentale,  né appariscente a prima vista,  va scoperta a poco a poco, perché nasconde le sue bellezze e anche i suoi misteri, tra le vie e nei quartieri. Per decenni, è stata vittima della politica architettonica folle del dittatore Ceaușescu, che sognava di costruire un’intera città nuova,  sul modello coreano o cinese, distruggendo quella antica. La Casa del Popolo, attualmente sede del Parlamento rumeno, richiese il sacrificio di centinaia di edifici storici, chiese e abitazioni (Casa del Popolo? Leggi qui.). Com’è facile immaginare, proprio questo monumento che testimonia un periodo tra i più bui della storia del paese, rappresenta oggi la più grande attrazione turistica della capitale.  La Casa del Popolo è nel Guiness World Record con tre primati:  il più grande, il più costoso e il più pesante edificio amministrativo del mondo! Davanti al grandioso edificio si apre la Piazza della Costituzione, luogo in cui si sono svolti, dopo la caduta del comunismo,  quasi tutti i grandi eventi musicali internazionali.

lipscani
Zona Lipscani

In questa città dai mille volti, non è facile trovare una mappa che possa guidare i turisti nella ragnatela di piazze, strade, boulevards, vicoli, o viuzze, ma forse proprio il fatto di lasciare tutto al caso, alla fortuna, offre al turista l’opportunità di scoprire una città meno scontata,  ma piena di posti affascinanti.  La piazza San Giorgio (Piaţa Sfântul Gheorghe) con l’omonima chiesa è considerata il centro esatto di Bucarest. Qui è situato il km “zero”, punto ideale da cui si misurano le distanze del paese. La piazza non è distante dall’edificio dell’Università. A sud della Piazza dell’Università si estende la vecchia Bucarest, chiamata Curtea VecheCorte Antica fatta costruire da Vlad l’Impalatore, con numerosi edifici in stile neogotico di suggestiva bellezza Sono imperdibili nel centro storico la Chiesa della Corte Antica, risalente al XVI secolo,  celebre per i suoi magnifici affreschi,  Carul cu bere (Carello di birra), uno dei più famosi ristoranti di Bucarest,  inaugurato nel 1879 e Hanul lui Manuc (La Locanda di Manuc), il più antico albergo di Bucarest, costruito all’inizio del 1800. Sempre nella Città Antica è molto suggestiva la zona Lipscani,  così chiamata perché un tempo vi si aprivano le botteghe di commercianti tedeschi provenienti per lo più dalla città di Lipsia. Ancora oggi molte delle strade portano nomi derivati dalle attività artigianali e commerciali che vi si svolgevano, o da quello della provenienza dei mercanti che vi operavano.

Stavropoleos
Chiesa Stavropoleos

Lasciando la Corte Antica, non lontano troverete il viale più antico di Bucarest che oggi è la via più alla moda della città: Calea Victoriei, con i negozi più costosi della capitale, che ospitano numerose marche di lusso. Lungo il suo tracciato si affacciano molte delle principali attrazioni cittadine, tra cui la Piazza della Rivoluzione, resa famosa dalla caduta di Ceausescu il 21 dicembre 1989, in cui vennero documentati i suoi ultimi minuti al potere e la sua fuga in elicottero. Vari monumenti, fra cui il memoriale del Rinascimento, rendono omaggio ai romeni che vi persero la vita. Sulla piazza si affaccia una piccola ma bellissima chiesa ortodossa, Chiesa Crețulescu,  del 1722 costruita in mattoni rossi. Circondata da un quartiere di grigi edifici tipici del regime di Ceausescu,  è una delle chiese nascoste di Bucarest. La città è impreziosita da numerose chiesette bizantine e da molti monasteri, salvati dalla demolizione, come la Chiesa Stavropoleos e il Monastero Antim.

ateneu
L’Opera Romena

Bucarest è una città che ha trovato nella cultura la sua ancora di salvezza spirituale negli anni della repressione comunista. Testimoni sono i numerosi teatri, musei, biblioteche, gallerie d’arte che rendono la capitale rumena affascinante per gli amanti della cultura. Tra i 22 teatri della città più importanti: l’Opera Romena, al cui ingresso si trova la statua del compositore George Enescu, il Teatro Nazionale, ricostruito nel corso degli anni sessanta dopo la distruzione con i bombardamenti del 1944 da parte delle truppe tedesche, l’Ateneo Romeno, diventato il simbolo culturale della città. Tanti sono anche i musei che è possibile ammirare nella città di Bucarest, se ne contano addirittura 37: si va dal Museo Nazionale d’Arte che conserva oltre 70mila capolavori, al Museo di Storia della Romania, dal Museo Nazionale Cotroceni situato all’interno dell’omonimo palazzo dove risiede il Presidente della Repubblica al Museo della Musica, tanto per citarne alcuni. E ancora il Museo del Villaggio,  uno dei più grandi musei etnografici all’aria aperta in tutta Europa.  Non va dimenticato poi il Museo di Storia Naturale Grigore Antipa, uno dei primi musei al mondo specializzato in questo settore: vanta oltre 30mila pezzi unici. 

Una visita a Bucarest non può essere completa senza una passeggiata nei numerosi parchi della città, con i loro laghi artificiali, o lungo il fiume Dâmbovița, magari di sera, per renderla veramente romantica. Quando cade la notte, la città apre le sue porte verso un mondo di divertimento ed intrattenimento dove c’è solo l’imbarazzo della scelta, tra tanti ristoranti, casinò, pub, discoteche, club, che rendono la vita notturna davvero interessante.noaptea judecatorie
Attenti a malefici e fatture comunque…ricordatevi che siete sempre nella città fondata dal conte Dracula!




5 minuti di musica classica al giorno tolgono il medico di torno

Quando ho letto che, a partire dall’anno scolastico 2014-2015, nelle scuole della Romania, a partire dalle elementari, si svolgerà un programma nazionale dal nome  “Ascolta 5 minuti di musica classica al giorno”, ho pensato che sarebbe bellissimo se un progetto simile si realizzasse anche nelle scuole italiane.  Così i ragazzi saprebbero, per esempio, che la sigla della trasmissione TGR Leonardo, il telegiornale di scienze di Rai 3,  è la Sonata per violoncello e pianoforte in fa minore op. 26 del più grande musicista rumeno George Enescu (maestro tra l’altro di Uto Ughi e Yehudi Menuhin nei corsi di interpretazione tenuti a Parigi, Londra e Sienna), la stessa che è stata utilizzata come tema ricorrente nel film di Wes Anderson,  I Tenenbaum.

Mentre scrivo sento in lontananza una canzone neomelodica a tutto volume e mi viene in mente che a scuola di mio figlio non c’è un professore di musica,  come in molte scuole italiane, che le ore di musica le ha fatte a rotazione con la maestra di storia, quella di italiano o di inglese – come se la preparazione dell’insegnante fosse un dettaglio irrilevante –  e che gli unici due progetti musicali  (più precisamente di percussioni) che ha seguito,  erano a carico dei genitori.  Ma questa è un’altra storia, e non vorrei scatenare polemiche.

L’idea di far ascoltare ai ragazzi cinque minuti di musica classica al giorno,  nelle pause, tra una  lezione di matematica e una di storia, mi sembra meravigliosa. “Abbiamo bisogno di generazioni con un’educazione diversa, non solo di prigionieri della tecnologia”, spiega uno degli autori della proposta diventata programma nazionale,  grazie all’accordo tra la Radio Romania Musicale (l’unica radio che trasmette esclusivamente musica classica) e il Ministero per l’Istruzione Rumeno.

Praticamente, Radio Romania Musicale metterà a disposizione degli insegnanti le registrazioni più importanti di musica classica, rumena e universale, accompagnate da brevi spiegazioni, pensate appositamente per far avvicinare i bambini, anche di piccola età, alla musica classica.  In più, gli insegnanti avranno la possibilità di creare una vera e propria biblioteca musicale che potranno utilizzare durante le lezioni.  I ragazzi non si limiteranno all’informazione teorica sulla musica, che riceveranno durante le lezioni, ma avranno la possibilità di sentire registrazioni di grande valore artistico.  Cinque minuti al giorno sono solo un primo passo nel percorso ambizioso di formare il gusto artistico dei ragazzi rumeni, “vittime” anche loro, come tutti gli altri, della tecnologia o delle correnti musicali moderne, non sempre di grandi qualità artistiche.  Il progetto ha anche una componente interattiva: sul sito della radio Romania Musicale,  si svolgeranno, a partire dal 1 ottobre, dei concorsi di cultura musicale,  con premi CD e DVD di grandi concerti e libri.

Il programma nazionale “Ascolta 5 minuti di musica classica” fa parte di un progetto più ampio che Radio Romania Musicale svolge dal 2010. Prima di arrivare nelle scuole, la musica classica in pillole è approdata negli spazi non convenzionali come supermercati, centri commerciali,  poste, uffici, librerie e musei, dove l’afflusso di gente è maggiore che nelle sale da concerto. Lo scopo è quello di cambiare il modo di approcciarsi al classico, reinventando il concetto di sala da concerto e portando l’orchestra verso il pubblico. Due volte all’anno, a marzo e ad ottobre, i rumeni hanno non solo la possibilità di sentire registrazioni di capolavori musicali, magari facendo la spesa, al supermercato, ma anche di ascoltare dal vivo grandi interpreti rumeni che suonano Bach, Mozart o Enescu  nei centri commerciali.

Mi piace pensare che da questo e altri progetti, in qualche scuola rumena nascerà un genio come George Enescu, che ha composto a cinque anni la sua prima opera per pianoforte e violino ( “Paese romeno”).

Mirela Baciu
5 minute




“Speriamo che non siano rumeni!”

Poco tempo fa i miei suoceri e dei loro amici sono stati derubati di soldi e carte di credito. Mentre stavano al mare,  i ladri sono entrati in casa e hanno fatto piazza pulita. Quando sono andati a fare la denuncia dai carabinieri, hanno saputo che c’era un banda di rumeni che agiva in questo modo da un po’ di tempo e che erano sulle loro tracce. Ho saputo dell’accaduto solo molti giorni dopo, non dai miei suoceri, che hanno considerato che era meglio non raccontarmi niente per non “mortificarmi”. Ho apprezzato la loro delicatezza, ma comunque mi sono sentita mortificata. Come tutte le volte che sento raccontare episodi simili, o peggiori, e vengo a sapere che gli autori sono, spesso, bande di rumeni. Confesso che sentendo di furti e rapine mi viene quasi istintivamente da pensare: “speriamo che non siano rumeni”!  Poi, però, mi sento felice quando qualcuno mi parla bene di qualche rumeno che ha conosciuto, un alunno educato e gentile, una badante brava e simpatica che insegna ricette rumene alla famiglia dove lavora, due operai che montano i mobili Ikea, molto seri e efficaci, un’infermiera preparata e riservata che sa fare molto bene il suo lavoro.

E’ inutile dire quanto mi sono sentita felice e lusingata quando la mia cara amica Maria Teresa mi ha fatto una vera dichiarazione pubblica su facebook per dirmi quanto apprezza questo blog, in cui racconto la mia vita da “rumena integratissima in Italia”. Lo so che una rondine non fa primavera e che un solo individuo non fa un popolo, ma mi piace credere che ogni apprezzamento che ricevo io o un altro rumeno che vive qui in Italia vale quanto un apprezzamento generale, per il popolo a cui apparteniamo.  Non amo le generalizzazioni, ma se fanno parte comunque della nostra configurazione mentale, perché farle solo in seguito a fatti di cronaca nera, come succede da qualche decina di anni da queste parti? Non tutti i rumeni sono delinquenti e non tutti sono onesti cittadini, come per qualsiasi altro popolo.

Al di là delle percezioni soggettive, positive o negative, per quanto riguarda i rumeni in Italia, c’è una realtà indubitabile svelata recentemente da United Nations Population Division:  per la prima volta nella storia, l’Italia ha una comunità nazionale di immigrati ufficiali che supera il milione di persone: sono i rumeni, un milione e diecimila nel 2013 . Una crescita straordinaria: nel 2010 erano 850 mila , nel 2000 solo 120 mila e nel 1990 circa 40 mila .  Gli analisti politici considerano il dato rilevante da molti punto di vista. Da quello sociale, perché romeni e romene sono una presenza con la quale gli italiani entrano in relazione sempre più spesso. Da quello economico, perché gran parte di loro è inserita nel mondo del lavoro. Da quello commerciale, in quanto una comunità di un milione di persone inizia a essere seriamente interessante per chi vuole offrirle servizi, ad esempio viaggi e istruzione, o prodotti, con pubblicità annessa.  Il dato ancora più rilevante è che i rumeni in Italia, che lavorano e pagano le tasse,  contribuiscono per 1,4% del PIL. Se argomenti come latinità e storia comune (testimone ne e proprio il nome del mio paese, Romania, che deriva dall’aggettivo latino Romanus, romano),  un passato fraterno da emigranti, un presente fiorente di matrimoni misti e figli bilingui, se tutto ciò non riesce a far cambiare la percezione degli italiani verso i rumeni, almeno davanti agli argomenti di natura economica la stampa dovrebbe ridimensionare il modo di presentare all’opinione pubblica la comunità balcanica.  L’Italia è il secondo partner commerciale della Romania, dopo la Germania, gli scambi commerciali tra i due paesi sono arrivati a 13 miliardi di euro (pari al valore degli scambi commerciali tra l’Italia e l’India).  In Romania esistono oltre 30.ooo aziende italiane e in Italia i rumeni hanno creato 50.000 aziende.

Sono convinta che, per la maggior parte degli italiani, questi dati non fanno notizia perché si sa che le buone notizie non fanno mai notizia. Io invece mi ostino a credere che prima o poi qualcosa cambierà e che io per prima smetterò di sperare “che non siano rumeni” ogni volta che sento di qualche furto.