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Quel cattolico ortodosso di mio figlio!

Mio figlio è battezzato cattolico ed è praticante ortodosso. Lo so che può sembrare un paradosso, ma ho voluto che crescesse nello spirito “ecumenico” di uno che è nato in una famiglia mista, non solo dal punto di vista etnico ma anche religioso. Ha imparato a fare il segno de la croce quando era piccolo, per imitazione mia e così, all’inizio, lo faceva come gli ortodossi: sempre “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (“în numele Tatălui, al Fiului și al Sfântului Duh”), ma, sullo “Spirito Santo”, la croce si fa a destra e non a sinistra, come i cattolici.
Quando ha iniziato a studiare religione a scuola, ha cambiato “direzione” e faceva la croce da sinistra a destra. Ha avuto un periodo di evidente confusione, perché in Romania, quando passava davanti a una chiesa, voleva farsi la croce e non sapeva se farla come un cattolico o come un ortodosso. Quando accompagnava la nonna rumena alla messa (e grazie alla nonna che è diventato un “aspirante” ortodosso), voleva farla come lei, ma spesso si confondeva. La nonna gli ha spiegato che deve fare il segno della croce come se la sente. Per adesso, suppongo per non far arrabbiare nessuno, lo fa a giorni alterni, cattolica e ortodossa.
Un giorno è tornato da scuola e mi ha detto che aveva fatto il segno della croce ortodosso e che i bambini gli avevano chiesto perché la faceva così. Quando ha risposto che lui è “metà ortodosso e metà cattolico”, gli hanno chiesto se gli ortodossi erano cristiani. Confesso che era una domanda piuttosto inaspettata. L’insegnante di religione gli ha proposto di prepararsi per la prossima lezione e di parlare ai bambini di che cosa fanno di diverso gli ortodossi dai cattolici, oltre che al segno della croce. Mio figlio era molto preparato, soprattutto perché quel mese all’anno che passava con i nonni materni in Romania era per lui un’esperienza quasi… mistica, a tal punto che mio marito mi raccomandava sempre di non far diventare nostro figlio “popă” (il prete rumeno).
Ha cominciato spiegare ai bambini che anche gli ortodossi sono cristiani perché credono in Cristo. Poi ha raccontato del pane santo, questo gli piace molto. Davanti all’altare, dalla prima mattina, si mette un vaso con il pane benedetto, tagliato a cubetti, che ogni credente o anche solo passante che entra in chiesa per dire una preghiera, può prendere. E’ il corrispondente dell’ostia che si distribuisce alla fine della messa cattolica. Solo che il pane santo degli ortodossi è di tutti e Matteo passava ogni mattina a prendere qualche cubetto. La verità è che si riempiva le tasche… Quando non andava alla messa, chiedeva alla nonna, appena entrava in casa, se gli aveva portato il pane santo.
Va in chiesa anche per il coro dei ragazzi, studenti di teologia, che cantano divinamente durante la messa, anche se lui non sempre capisce le parole.
Poi ci sono le icone che riempiono le chiese ortodosse, non ci sono statue, solo icone, tante, dipinte sul vetro o sul legno. Molte con l’immagine della Vergine Maria insieme al piccolo Gesù. Quando si entra in chiesa, si bacia l’icona che si trova davanti all’altare e si fa il segno della croce. Ha raccontato anche di una volta che, mentre ascoltava la messa, il giovedì prima di Pasqua, la messa più lunga dell’anno perché si leggono frammenti dei dodici Vangeli, guardava incuriosito le icone e, ad un certo punto, mi ha detto: “Mamma, hai visto che la Madonna ha le rughe?”. L’hanno sentito tutti, meno male che l’hanno capito in pochi.
Come poteva non raccontare di quello che era accaduto qualche anno fa durante la messa del Venerdì Santo, quando i credenti, con candele accese in mano, circondano la chiesa, pregando e ripetendo le fermate del Golgota, nel Venerdì nero, della crocifissione. Mentre camminavano qualcuno ha iniziato a gridare: “State bruciando i capelli al bambino!!!”. Il bambino era Matteo, qualcuno disattento dietro di lui gli ha bruciato i capelli con le candela.
Poi i santi… Ha spiegato ai bambini che lui festeggia l’onomastico due volte, il 16 settembre e il 21 novembre, San Matteo e Sfântul Matei. In questo è fortunato, perché gli ortodossi festeggiano pochi santi, gli apostoli e gli evangelisti. In Romania non c’è l’onomastico, e né i nonni né i genitori, gli zii, le zie, nessuno lo può festeggiare. E questa cosa i bambini della classe di Matteo non l’hanno gradita tanto.
Le preghiere le ha imparate in rumeno. Padre Nostro (Tatăl Nostru), è uguale, e lo sa bene in rumeno. Quando lo deve dire in italiano fa, nella mente, la sua traduzione, che non è sempre quella corretta. Ma il senso rimane. Per Caterina, la sua amica rumena che vive in Sardegna, è ancora più complicato. La mamma è di origini sassone e gli ha insegnato Padre Nostro in tedesco, a scuola l’ha imparato in italiano e la nonna gliel’ha insegnato in rumeno. Una volta siamo andati insieme a una messa, in Romania e, quando è arrivato il momento del Padre Nostro ha chiesto alla mamma in che lingua doveva dire la preghiera?
La preghiera preferita di Matteo è una che gli ho insegnato quando era piccolino: “Înger, îngerașul meu, roagă-te la Dumnezeu. Eu sunt mic, tu fă-mă mare, eu sunt slab tu fă-mă tare, și de rele ma ferește și-n tot locul mă păzește. Amin”. In traduzione libera sarebbe: “Angelo, angioletto mio, prega a Dio. Io sono piccolo, fammi diventare grande, io sono debole, fammi diventare forte, difendimi dal male e proteggimi ovunque.”
La quaresima è tutto l’anno, non solo prima di Pasqua, ha continuato a spiegare ai bambini, esagerando un po’, poi ha aggiunto che la nonna non mangia quasi niente nei 40 giorni prima di Natale e prima di Pasqua, due settimane a giugno, due ad agosto… Non mangia carne, latte, uova, niente di origine animale, pesce solo se nel calendario ortodosso c’è scritto “dezlegare la pește”. Una volta è venuta a Pasqua in Italia e ha dovuto chiedere al prete una specie di permesso per poter interrompere la quaresima, permesso accordato dalla chiesa ortodossa ai viaggiatori e ai malati.
Quello che ha sorpreso più di tutto gli amici di Matteo è quando gli ha raccontato che a volte, nel cortile della chiesa, gioca insieme ai figli del parroco, che accompagnano il padre tutte le domeniche alla messa. Che altra spiegazione poteva dare un bambino di 10 anni se non la più semplice: “i preti ortodossi si sposano e hanno famiglia.”
Alla fine i bambini gli hanno chiesto perché non faceva la comunione. Perché gli ortodossi non hanno né la comunione, né la cresima.
“Peccato, hanno risposto i bambini, così non fai la festa e non ricevi regali”.
“E’ vero, ha risposto Matteo, ma in cambio festeggio due onomastici.”




Transfăgărășan, la strada tra le nuvole…

La strada che i realizzatori del prestigioso programma televisivo della BBC, Top Gear,  hanno definito come “la più bella del mondo” si trova in România, in Transilvania, tra Sibiu e Brașov, si chiama Transfăgărășan, sulle carte DN67C,  ed è stata progettata nel 1970 come percorso strategico militare, a seguito all’invasione in Cecoslovacchia dell’Unione Sovietica del 1968.

Il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu fu l’unico alleato a rifiutarsi di inviare i propri carri armati a Praga, non appoggiando di fatto l’operazione militare russa. Temeva pertanto un’ analoga invasione in Romania come ritorsione e decise dunque di costruire per i suoi eserciti una via “tra le nuvole“, come la chiamano gli abitanti della zona, che collegasse la regione della Valacchia (al sud della Romania) con quella della Transilvania, tagliando in due la catena montuosa più alta del paese, i Monti Făgăraș. Il risultato fu una strada lunga 90 km, realizzata estraendo ben 3 milioni di tonnellate di roccia e utilizzando oltre 6000 tonnellate di esplosivo!
laculQuando iniziarono i lavori, nel gennaio del 1970, a trenta gradi sotto zero, i pessimisti dicevano che sarebbero durati 20 anni, gli ottimisti, non più di 10. Alla fine, la strada fu costruita in meno di 5 anni! Alla sua realizzazione lavorarono oltre 3000 soldati del genio militare, in tre turni, giorno e notte, d’inverno, a temperature rigidissime, e d’estate. Il capo cantiere dell’epoca parla di un’organizzazione perfetta del lavoro. I militari ricevevano premi in denaro ogni mese e ogni trimestre, ricompensati e stimolati anche con frequenti permessi per vedere le famiglie.
Non furono pochi però quelli che persero la vita. Il numero ufficiale diffuso dal regime parlava di 40 morti, ma i sopravvissuti ne contavano più di 400!
A memoria dei lavoratori che dimostrarono di essere letteralmente “più forti della roccia“, Ceausescu eresse sulla stessa strada due monumenti a testimonianza del loro coraggio e del loro sacrificio.

Secondo la rivista americana CarsRoute, che ha realizzato una classifica delle 15 strade più belle al mondo da percorrere in auto o in moto, la Transfăgărășan è la strada “più bella del mondo, anche più bella del Passo dello Stelvio”.
Si attraversano i Carpazi Meridionali, tra le vette più alte dei Monti Făgăraș, Moldoveanu e Negoiu, costeggiando torrenti d’acqua e rocce maestose, arrivando ad un’altitudine di 2034 mt.

orsi150 serpentine, 830 ponti, 27 viadotti, 6 tunnel, tra cui il più lungo del paese, 887 metri, 6 mt di larghezza e 4,4 di altezza, illuminato solo dal 2010,  275.000 tonnellate di asfalto. Un percorso immerso nel verde, con paesaggi mozzafiato, pieno di tornanti e serpentine, con una visibilità ottimale tra una curva e l’altra.
Nel progetto originario dell’ideatore, la strada poteva essere percorsa in una sola notte dai carri armati dell’esercito rumeno, permettendogli di arrivare rapidamente dal sud al nord, nell’eventualità di un’invasione sovietica.

Si doveva chiamare “Strada Nicolae Ceaușescu” ma, proprio per volontà del dittatore, fu lasciato il nome deciso precedentemente dal Comitato Esecutivo del Partito, Transfăgărășan (letteralmente “attraverso i monti Făgărășan”)

Attualmente la strada è tappa ciclistica del giro della Romania ed è tra le attrazioni turistiche più conosciute al mondo per gli amanti dei viaggi su 2 e 4 gomme, diventata spesso set cinematografico per attori di Hollywood, (tra tutti Nicolas Cage, Van Damme, Kevin Costner) che hanno girato qui, negli ultimi anni, scene dei loro film d’azione (ndr Ghost Rider 2).
Certo che a volte la storia si diverte a prendersi gioco dei suoi protagonisti: il dittatore rumeno Nicolae Ceausescu, da perfetto comunista, odiava l’America e i suoi film, messi al bando dalla censura di regime, e non avrebbe mai immaginato che, la strada che doveva portare il suo nome,  sarebbe diventata, dopo 40 anni, un set cinematografico proprio ad uso del capitalismo “marcio e decadente“.

Tourists have dinner inside the Balea Lac Hotel of Ice in the Fagaras mountainsSe pensate di organizzare un viaggio in Transilvania, in moto o in auto, sulla DN67C, la Transfăgărășan, è bene sapere che è aperta solo da luglio a settembre. Il percorso inizia nella zona della centrale idroelettrica Vidraru, con la diga di oltre 300 mt costruita sul lago artificiale, continua verso Poienari, dove si trovano le rovine di uno dei Castelli del principe Vlad III di Valacchia (Dracula, sempre lui!), sulla sommità di una rocca (per arrivarci dovete inerpicarvi per ben 1480 scalini, ma ne vale la pena per la magnifica vista panoramica).
La strada, sempre in salita, prosegue tra curve e serpentine, arrivando a circa 1230 mt di altitudine, alla Cascata Bâlea, la più grande della Romania, una sorta di cascata a scale, con un salto di 68 mt. A 2034 mt è situato il lago glaciale Bâlea, diventato famoso negli ultimi anni per l‘Albergo di Ghiaccio, primo dell’Europa dell’Est,  che ospita turisti da tutto il mondo, nelle sue 16 stanze, a una temperatura costante di 2-3 gradi.  Durante l’inverno, con la Transfăgărășan chiusa, si può raggiungere la struttura tramite funivia.

Lunga e tortuosa, con molti tratti da affrontare con molta cautela, questa strada offre un’esperienza unica a quelli che si avventurano a percorrerla. Alcuni paesaggi sono mozzafiato! Guidare a 2000 mt di altitudine da realmente la sensazione di guidare tra le nuvole!
Un solo consiglio, non calcolate il tempo di percorrenza in base ai km, perché vi può succedere di incontrare facilmente greggi di pecore in transumanza,  o qualche orso alla ricerca di cibo. Basta fermarsi e aspettare, dimenticate l’orologio!




La Casa del Popolo che si vede dalla Luna

Non so se il dittatore rumeno Nicolae Ceaușescu e la sua consorte Elena sognavano di andare sulla luna e guardare il frutto delle loro manie di onnipotenza, ma la megalomane Casa del Popolo a Bucarest di certo l’avrebbero vista, dato che è una delle tre cose che si dice si riescano a vedere dalla Luna, (ndr insieme alla Muraglia Cinese e il Pentagono americano). Con questo enorme edificio (e non solo questo, purtroppo), i due sono entrati nella stessa storia che alla fine li ha puniti: non sono riusciti ad inaugurare la costruzione da record perché furono fucilati durante la rivoluzione anti-comunista del dicembre 1989.
I primati però restano: il più grande e costoso edificio amministrativo del mondo, il secondo come grandezza, dopo il Pentagono, il terzo come volume dopo Cape Canaveral in Florida e la Piramide di Quetzalcoatl di Messico. Il volume della Casa del Popolo supera inoltre del 10% la Piramide di Cheope.

I numeri sono da capogiro: 84 metri di altezza, 340.000 metri quadri, 4 livelli sotto terra, 17 piani fuori terra, 3100 stanze, un reticolo di tunnel sotterranei percorribili in auto che collegava la Casa del Popolo all’aeroporto di Bucarest  (nel caso in cui il dittatore avrebbe dovuto scappare dalla furia del popolo), due bunker antiatomici, un labirinto di stanze ed enormi magazzini. Sette anni di lavoro ininterrotto, con l’ausilio di 20.000 operai e 200 architetti, un milione di metri cubi di marmo estratto dalla Transilvania (in quegli anni la richiesta di marmo fu così alta che le pietre tombali dovettero essere realizzate in altri materiali), 3500 tonnellate di cristallo, 700.000 tonnellate di acciaio e bronzo e 900.000 di metri cubi di legno. Tutti materiali di provenienza autoctona.

Per cinque anni, a partire dal 25 giugno del 1984, quando ebbero inizio i lavori, il dittatore accompagnato dai ministri ha visitato ogni sabato alle 14.00  il cantiere e ha seguito da vicino il corso dei lavori, stravolgendo spesso il progetto, che si doveva conformare perfettamente la sua mania di grandezza.
Negli anni ’80,  Ceaușescu decise di voltare le spalle alla Unione Sovietica e di ispirarsi al modello cinese e coreano, per il quale aveva una vera e propria venerazione. Gli storici dell’arte parlano ironicamente di uno stile architettonico “greco-coreano”  e sono estremamente critici su questa sorta di “classicismo socialista”, sull’analfabetismo culturale ed estetico, sul gusto devastante per il “gigantismo”, che caratterizza la costruzione della Casa del Popolo. Tutto ciò non ha impedito però  alla prestigiosa rivista americana Newsweek di includere la Casa del Popolo tra le nuove meraviglie del mondo moderno, assieme all’Opera di Sidney e al Golden Gate di San Francisco.

Il risvolto della medaglia fu che 40.000 costruzioni, tra case, ospedali, chiese e sinagoghe furono demolite per far posto al nuovo grandioso edificio, un quinto del centro storico di Bucarest distrutto, 57.000 famiglie sradicate dalle loro abitazioni da un giorno all’altro e obbligate a trasferirsi in negli appartamenti stretti dei palazzoni grigi edificati dal regime comunista. Un numero ancora oggi sconosciuto di operai morirono sul lavoro e altrettanto ignoto è il numero delle persone che si suicidarono dopo aver perso in una notte tutto in seguito alla demolizione dei loro immobili. Le leggende parlano di corpi seppelliti nei sotterranei del palazzo, per nascondere il vero prezzo di vite umane che il popolo dovette pagare per veder edificare la “sua Casa”.
E’ invece storia e non  leggenda purtroppo il fatto che, mentre il regime edificava il suo costosissimo monumento, la gente pativa la fame, giustificata dalla “legge dell’alimentazione razionale” che prevedeva un certo numero di calorie da assumere a persona. Tutto il cibo prodotto in patria veniva venduto all’estero in cambio della valuta straniera necessaria per mantenere i costi della Casa del Popolo.
Nel 1989 la rivoluzione anti-comunista mise fine al regime dittatoriale di Nicolae Ceaușescu, alla sua megalomania e con essa all’ultimazione dei lavori di costruzione del palazzo. Il nuovo governo propose la demolizione della Casa del Popolo, ma, a questo punto, fu proprio il popolo, tramite referendum, a decidere che l’edificio doveva rimanere come simbolo di tutti i sacrifici che ogni rumeno sopportò negli anni della sua costruzione.

Oggi la Casa del Popolo è diventata il Palazzo del Parlamento e, inclusa in tutte le guide turistiche di Bucarest, si può parzialmente visitare pagando un biglietto d’ingresso di 5 euro. Si è calcolato che se qualcuno volesse dedicare almeno un minuto alla visita di ogni stanza del palazzo, impiegherebbe almeno 3 giorni e mezzo per vederlo tutto! (tranquilli, la visita dura circa 30 minuti)
Resta ancora il mistero sulla zona sotterranea, dove è vietato l’ingresso, e proprio per questo le leggende nate negli anni ’80 trovano ancora terreno fertile. I dipendenti della Casa del Popolo sostengono che di notte i fantasmi degli operai morti si aggirano per i corridoi e che dai sotterranei si sentono rumori inquietanti. Nel 2002, il regista Costa Gavras ha girato qui le scene del film Amen, (ndr che avrebbe dovuto girare nel Vaticano ma gli fu negato il permesso). Michael Jackson si esibì nel suo primo concerto in Romania proprio nella piazza della Casa del Popolo, davanti ad un fiume di persone che il grande viale – più ampio degli Champs Elysées di Parigi – a fatica trattenne.

Nel 1990, il magnate Rupert Murdoch tentò di comprare l’edificio offrendo l’incredibile cifra di 1 miliardo di dollari senza riuscire a convincere le autorità di allora.
Si narra che i costi della non ancora ultimata realizzazione siano di 3.3 miliardi di euro, capitale rimasto nelle mani del popolo a memoria di una folle mania di grandezza al cui prezzo ogni rumeno ha suo malgrado contribuito.




“Noaptea de Sânziene”, la Notte delle fate

Nel calendario ortodosso rumeno c’è una sola festa pagana che possiamo ritrovare con il suo stesso nome, Sânziene, che si celebra il 24 giugno, insieme alla nascita di San Giovanni Battista. Come succede sempre quando il sacro si intreccia con il profano, la festa è diventata nel tempo un misto affascinante di religione, paganesimo, esoterismo e anche stregoneria. In una sola parola: mistero. Non è un caso che il più grande storico delle religioni, il rumeno Mircea Eliade, sia stato attratto da questa festa a tal punto da scrivere un romanzo in tre volumi intitolato proprio “Noaptea de Sânziene” (La Foresta proibita).

sanziene3Alcuni dicono che questa notte, esattamente a mezzanotte, i cieli si aprono…ma forse solamente per quelli che sanno guardarli; potrebbero succedere tanti miracoli, ma devi imparare a vederli, altrimenti non ti accorgi nemmeno che sono dei veri miracoli”. Ecco come descriveva Eliade questa notte, il cui significato va oltre il sacro o il profano, oltre la razionalità.

Ma che cosa è, in realtà, la Festa di Sânziene?  Le sue origini si perdono lontano nel tempo. C’è chi sostiene che sia di origine geto-dacica, legata al rito del sole, altri invece gli attribuiscono origini romane e fanno riferimento al culto di Diana e della sua bellezza. Le sânziene sono delle bellissime fanciulle dotate di poteri magici che,  nella notte tra il 23 e il 24 giugno,  scendono sulla terra e con la loro danza sfiorano campi e prati, così le erbe e le piante ricevono proprietà terapeutiche capaci di curare qualsiasi malanno. I loro balli donano fertilità alla terra e ricchezza ai campi in un ciclo cominciato con il solstizio del 21 giugno. La parola rumena sânziene e composta da “sân“, che vuol dire “santo” e “ziane”, “zâne“, che significa “fate“. Il nome stesso di queste fanciulle suggeriscono proprio i loro poteri straordinari. La parola si riferisce anche a un fiore di campo, sânziene, di colore giallo-dorato, molto profumato, chiamato il fiore del solstizio estivo, forse perché la sua vita è breve, come se sbocciasse solo per celebrare l’inizio dell’estate e la sua ricchezza e la presenza delle fate sulla terra.

I ragazzi e le ragazze dei villaggi preparano con riti speciali l’arrivo delle fate nella loro notte magica. IL 23 giugno, prima  del tramonto, le ragazze vanno ai campi e raccolgono i fiori gialli,  che profumano di fieno e miele, con i quali intrecciano poi delle coroncine. Uno dei miei ricordi più belli dell’infanzia vissuta nel villaggio dei nonni e proprio questo: raccoglievo anche io i fiori, intrecciavo delle coroncine che poi  lanciavo ui tetti delle case. Una per ogni membro della famiglia. Se era giovane, il rituale era diverso, la coroncina doveva rimanere sul tetto, perché così portava fortuna e un bel matrimonio alle fanciulle in età da marito. Per gli anziani, le coroncine dovevano restare sul tetto perché,  se cadevano,  significava una morte vicina. Le coroncine si lanciavano anche sulle stalle degli animpadurea baciuali, per lunga vita e in salute. Le fate sânziene proteggevano anche i morti, perciò andavo con le ragazze del villaggio al cimitero a riporre una coroncina dorata su ciascuna croce. Nel frattempo, al tramonto,  i ragazzi accendevano fuochi sui prati per attirare le fate e i loro poteri benefici. Siccome le fate sono raffigurate nell’immaginario collettivo con una bellezza unica, c’è anche un rituale che si doveva compiere la mattina del 24 giugno: all’alba, le anziane del villaggio andavano sui campi e raccoglievano la rugiada dai fiori di sânziene, con la quale le fanciulle si lavavano poi il viso per rimanere sempre giovani e belle. Non so se mia nonna abbia mai creduto in questi miracoli, ma quel giorno ci faceva sempre lavare con la rugiada.

Il rispetto di questi riti è alimentato dalla credenza che la fate buone potevano trasformarsi in streghe se non venivano celebrate a dovere. Entriamo ora nel campo più  esoterico e misterioso della Notte delle fate. Non molto distante dal villaggio dove vivevano i miei nonni (a pochi km da Cluj-Napoca, in Transilvania)  c’è una foresta diventata famosa in tutto il mondo come “Triangolo delle Bermuda della Transilvania“. Si tratta dellaPădurea Baciului, la “Foresta del Pastore“, che deve il nome a un pastore scomparso in circostanze più che misteriose insieme alle sue 200 pecore circa 50 anni fa. E’ uno dei luoghi chesanziene2 gli studiosi dei fenomeni paranormali ritengono frequentati da UFO, con presenza di attività poltergeist,  luci inspiegabili tra gli alberi, sfere che si muovono nel cielo, nel quale chi entra perde facilmente la cognizione del tempo e non ha più il ricordo di ciò che vi ha fatto. Gli amanti di questi fenomeni sono arrivati a sostenere che la Foresta Baciu (guarda caso, ha il mio stesso cognome!) sia un portale d’accesso verso un’altra dimensione.

Vi chiederete che c’entra tutto ciò con la Notte di Sânziene? Beh, in questo luogo arrivano gruppi da tutta la Romania proprio nella notte tra il 23 e il 24 giugno, per avvistare le fanciulle che scendono solo questo giorno sulla terra (ndr ognuno avvista quello in cui crede, in verità). Gli anziani del posto parlano di sparizioni misteriose e c’è una leggenda che ognuno di loro vi racconterà e che mio nonno ha raccontato a me:  un ragazzo che avventuratosi di notte nella foresta maledetta ne uscì il giorno dopo con i capelli bianchi, farneticante e confuso, muto e sordo… siccome non riuscì a raccontare niente di quello che gli era successo, il mistero si è fatto con gli anni sempre più fitto e tutti hanno indicato come unica spiegazione che le fate, sorprese nel loro rituale notturno, si sono vendicate. Anche le belle fanciulle possono diventare dispettose e vendicative senza pietà!

Citando ancora Mircea Eliade, nella Foresta proibita “il cielo si apre, si può avvistare l’aldilà, si può uscire dal tempo e dallo spazio, si può vivere un attimo come se fosse un’eternità”, dove se non in una Foresta misteriosa come Pădurea  Baciului si potrebbe mai avere una visione più spettacolare?