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La tarantella di Dracula!

Non ci posso credere! Parto da Napoli verso la Transilvania, sulle tracce del conte più misterioso del mondo, Dracula, e appena arrivo leggo che forse lui si trova invece a Napoli, nel Chiostro della Chiesa di Santa Maria la Nova!  Forse allora non era a caso la scrittrice inglese Marry Shelley chiamava Napoli “un paradiso abitato da demoni” e faceva nascere il suo personaggio Victor Frankenstein sulla Riviera di Chiaia,  a Napoli!

Mentre gli storici rumeni litigano da più di mezzo secolo sul luogo in cui si troverebbe la tomba di Vlad III, il principe della Valacchia, (ndr si discute sulla tomba dato che del corpo non c’è traccia), tra il Monastero di Snagov o Monastero Comana, entrambe vicino a Bucarest, una studentessa laureanda di Napoli insieme a dei ricercatori italiani ed estoni sembrano aver risolto il mistero, con una teoria più che sconvolgente. Il principe Vlad III non sarebbe morto nella battaglia contro i turchi che ebbe luogo nel dicembre del 1476, non fu decapitato e la sua testa non fu mandata al sultano di Costantinopoli come certa storia tramanda.  Fu invece solo fatto prigioniero e poi riscattato dalla figlia illegittima, Maria Balsa, adottata a sette anni dal re di Napoli, Ferrante d’Aragona che, alla fine di una sua spedizione nell’Est, tornò con una piccola bambina di origini slave ma nobili.
La figlia riscattò il padre dai turchi pagando una congrua somma di denaro e lo portò a Napoli, alla corte del re d’Aragona, anche lui appartenente all’Ordine del Dragone, come il principe Vlad III.  A Napoli morì, probabilmente di vecchiaia, e fu seppellito nel Chiostro della Chiesa di Santa Maria la Nova, nella cripta di famiglia del suo genero, il conte Giacomo Alfonso Ferrillo, nipote del re.

Ditemi voi onestamente se la storia del conte Dracula, l’impalatore, il sanguinario può mai concludersi con una tranquilla morte di vecchiaia a Napoli…
Molta dell’aura misteriosa che ha accompagnato nei secoli l’immagine del principe Vlad  è dovuta proprio al fatto del mistero sulla sua morte e sepoltura.

Alcune leggende popolari rumene raccontano del fantasma del principe della Valacchia che terrorizzava i nemici sui campi di battaglia, anche molti anni dopo la sua morte. Altre narrano che, dopo la sua decapitazione da parte dei turchi, le sorgenti della zona hanno pianto lacrime di sangue e dalla terra arrossata crescevano arbusti rossi, spinosi,  mai visti. Un’altra leggenda parla di alcuni monaci del Monastero di Snagov (uno dei presunti posti dove sarebbe seppellito il Principe Vlad) che, di nascosto, presero il suo corpo,  dopo la decapitazione, seppellendolo dentro il monastero, davanti all’altare. E’ stata addirittura data una ragione per la posizione della sepoltura: ogni volta che il prete esce dall’altare per dire la messa, con i piedi sulla tomba del principe, aiuterebbe la salvezza della sua anima.

Negli anni trenta, gli archeologi rumeni hanno fatto ricerche in zona, trovando solo una tomba con dentro uno scheletro che aveva la testa e che perciò non poteva essere il principe decapitato. Nell’altro luogo, dove si presume si trovasse la tomba di Vlad l’Impalatore,  il Monastero Comana (a sud di Bucarest), gli archeologi hanno trovato i resti di un uomo decapitato, senza nessuna insegna nobiliare e si crede che sia il corpo del principe della Valacchia, Vlad.
Si crede, si presume, potrebbe…parole che hanno avvolto nel mistero più fitto l’immagine del conte Dracula e del suo destino dopo la morte, alimentando così l’idea della sua immortalità, intorno alla quale Bram Stoker ha creato la sua storia.

I ricercatori che vogliono riscrivere la storia, indagano sull’associazione trovata sulla tomba napoletana del Drago, simbolo draculiano, e le sfingi contrapposte, simbolo di Tebe – in egiziano Tepes – da qui la supposizione (eccone un’altra!) che sulla tomba ci sia scritto proprio “Dracula Tepes”.

Il mistero di una figlia illegittima, Maria Balsa, tenuta in gran secreto alla corte del re di Napoli, Ferrante d’Aragona, e sposata con il conte Ferrillo, è forse quello che sorprende di meno. Il Principe Vlad ha avuto 5 figli dai suoi due matrimoni e moltissimi figli illegittimi (ndr. si parla di centinaia), tra i quali, probabilmente anche Maria. Già due anni fa, lo studioso italiano Raffaello Glinni aveva scoperto nella chiesa di Acerenza, vicino a Potenza, una serie di opere d’arte, realizzate da alcuni artisti su richiesta della famiglia nobile Balsa-Ferillo. Nella chiesa ci sarebbe raffigurato il blasone di famiglia della presunta figlia di Dracula, rappresentato da un drago, un ritratto di Maria Balsa, raffigurata come una santa che schiaccia sotto il piede un drago inferocito e persino un possibile ritratto del padre, il principe Vlad III.  Nella chiesa di Acerenza c’è anche il ritratto di Sant’Andrea, il protettore della Romania.

Per quanto riguarda il destino del conte Dracula (mentre già lo vedo spuntare tra i pastori di San Gregorio Armeno…), restiamo nell’attesa che i ricercatori  facciano le dovute verifiche ed ottengano i permessi per esaminare il contenuto della tomba, e aspettiamo nel mistero più assoluto del potrebbe, si presume, si crede




Morto che ride!

Lo sapete che l’unico cimitero allegro del mondo ha sede proprio nella rigida e ortodossa Romania? Tombe e lapidi addobbate a festa, colori sgargianti ed epitaffi umoristici su piccoli e grandi episodi della vita e della morte….

Un amico mi ha chiesto recentemente di spiegare come mai l’ortodossismo,  religione così rigida (ndr solo per gli italiani in verità… per noi rumeni un atteggiamento “ortodosso” è definito paradossalmente “cattolico”!), tolleri l’esistenza di un Cimitero Allegro – Cimitirul Vesel –  come questo di Săpânța, nella regione di Maramureș, al nord della Romania. Bella e complicata domanda!
Unico cimitero del suo genere, patrimonio Unesco, riflette in realtà la concezione che avevano sulla morte gli antichi daci, che credevano nell’immortalità dell’anima e nel passaggio ad una vita migliore,  dove li aspettava il loro dio,  Zamolxes. Il mio amico mi è sembrato perplesso, in fondo anche altre religioni hanno il loro dio che li aspetta e l’anima immortale… e allora forse è meglio spiegare che interpretazione hanno dato i rumeni alla morte e alla “vita” dopo la morte, un mix di paganesimo dacico innestato nel sacro ortodossismo. Solo per fare qualche esempio, ancora oggi, quando muore un uomo, gli amici lo vegliano per tre notti e tre giorni, non lo lasciano mai solo, nella convinzione che se verrà lasciato anche per un solo istante l’anima andrà nell’oltretomba più triste. Si danno il cambio incessantemente, mangiano, bevono, giocano a carte in presenza del defunto, raccontano storie divertenti su di lui, ognuno a suo modo, allegramente. Alla fine della veglia, la bara aperta viene trasportata fino alla chiesa dove, dopo la celebrazione della messa e la benedizione del popă, viene finalmente chiusa e condotta al luogo della sepoltura. Dopo le operazioni di interramento i presenti condividono cibo e bevande in un ultimo corale saluto.

Altro esempio significativo è la celebrazione del 1 novembre, giorno dei defunti. I cimiteri si popolano dalla prima mattina, e per tutto il giorno, di allegria. Amici, parenti, bambini usano soggiornare tra le tombe in attesa di visite e visitando a loro volta altri defunti. Le tombe stesse si animano, diventano all’occorrenza tavole da pranzo, banconi di un bar, tutto il cimitero diventa luogo di un’allegra festa conviviale in cui l’elemento predominante è incredibilmente la Vita. Infine sconfinate luminarie animano la notte fino all’alba successiva.

Con una simile visione sulla morte, si dovrebbe cominciare a comprendere meglio il perché dell’esistenza di un Cimitero allegro, un luogo in cui si ride in faccia morte, la si esorcizza, dove i defunti si raccontano in prima persona con umorismo, barzellette, frasi divertenti. Autoironia che comincia spesso ben prima della morte stessa, quando l’aspirante defunto progetta, scommettendo a volte sulla propria fine,  il proprio epitaffio, i colori, il soggetto, il testo in rima baciata, incaricando della realizzazione un artista locale.

Eccone qualche testimonianza:cimitirulvesel3

Io riposo quì e mi chiamo Braieu Toader/Finché ero vivo molte cose mi piacevano/ Bere, mangiar bene e andare molto a donne/Ho amato la vita finché ho potuto baciare”.

“La grappa è veleno puro/Che porta pianto e tormento/Anche a me li ha portati/La morte mi ha messo sotto i piedi/Chi ama la grappa/Come me finirà/Perché io la grappa ho amato /E con lei in mano sono morto”.

Nel Cimitirul Vesel  – un vero cimitero di campagna, diventato museo all’aria aperta – ci sono oltre 800 tombe, realizzate, per la maggior parte, dall’ideatore di questo strano camposanto, uno scultore locale, Stan Ioan Pătraș, che decise di incidere le tombe del cimitero e realizzò, nel 1935,  la prima croce in legno “dipinta di blu”.  Il colore, riconosciuto adesso come albastru de Săpânța (azzurro di Săpânța), è stato scelto perché, nel simbolismo locale, rappresenta la speranza e la libertà. Le vignette sono disegnate in stile naif, con colori sgargianti, giallo, rosso, verde, e sintetizzano insieme al testo la vita del defunto, i suoi hobby, i suoi vizi e qualche volta anche la causa della morte.

“Il mio destino fu di morire sposa promessa/Sono morta a causa di un motore/Vicino al villaggio di Sarasau/Un guidatore crudele mi ha lasciato al suolo.”

Uno degli epitaffi più “apprezzati” è quello della suocera:

“Sotto questa croce pesante/ Giace la mia povera suocera/Se viveva ancora tre giorni/C’ero io sotto e lei leggeva/Voi che passate di qua/Provate a non svegliarla/Perché se ritorna a casa/Mi sgrida di nuovo/Ma io farò in modo/ Che non torni più./Resta qua, cara mia suocera”.

Una passeggiata tra le tombe del Cimitero allegro, molto curato e sempre pieno di fiori, vi darà l’immagine di un popolo che ha trasformato in arte il suo modo di esorcizzare la morte. Lasciano perplessi tutta questa esplosione di colori, le immagini naif che accompagnano gli epitaffi umoristici, tutto ciò che non ci si aspetta di ritrovare in un luogo di sepoltura. Nell’atelier del nuovo scultore popolare che realizza le croci, Dumitru Pop, troverete croci “prenotate” non solo per gli abitanti del paese, ma anche per americani, tedeschi, italiani, qualche giapponese. Turisti che, dopo aver visitato il cimitero di Săpânța, hanno deciso che vogliono riposare qui.

cimitirulvesel2Tutta questa visibilità mediatica, e anche il fatto di essere diventato il cimitero un patrimonio Unesco, non piace molto agli abitanti di Săpânța, che vorrebbero poter continuare a seppellire e piangere (o ridere!) i loro morti in tranquillità, senza dover chiedere permessi alle autorità o al Ministero della Cultura. Infatti, nel 2013,  il ministero si è trovato in una situazione quasi assurda, quando ha scoperto che alcune persone hanno rimosso le croci dei loro cari per ristrutturarle o sostituirle, senza avvisare le autorità. Ogni croce è ormai considerata monumento storico e si può immaginare la perplessità degli ispettori che hanno trovato croci mancanti nel cimitero!

Il Cimitero Allegro è considerato secondo alcuni tra le più belle necropoli del mondo e una delle principali attrazioni turistiche della Romania.

Qualche anno fa, il compositore irlandese, Shaun Davey, ha trasformato in musica le rime degli epitaffi scritti sulle croci, realizzando un concerto chiamato “Voices from the Merry Cemetery”, per 180 musicisti e voci. L’opera è stata presentata al prestigioso Ateneo Romeno di Bucarest ed ha riscosso  un grandissimo successo. Un altro irlandese, Peter Hurley, organizza dal 2010 a Săpânța, un festival interculturale di musica e tradizioni, intitolato “Drumul Lung spre Cimitirul Vesel” (Il lungo viaggio verso il Cimitero Allegro).

Attenzione, se ci state facendo un pensierino, sappiate che i posti sono prenotati e le liste di attesa sono lunghe… calcolate bene i tempi dunque!

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Il principe torna a casa… in Transilvania!

“Nelle mie vene scorre il sangue di Transilvania, la genealogia dice che io discendo da Vlad III” (ndr il leggendario conte Dracula), confessava un po’ di tempo fa nientemeno che il principe Carlo d’Inghilterra. Questo spiega il fatto che da più di dieci anni è un turista abituale della Romania, appassionato della natura selvaggia della Transilvania, un vero ambasciatore del turismo rurale ed ecosostenibile di queste zone. Il principe compare come testimone anche nel documentario “Wild Carpathia” trasmesso dal canale inglese Travel Channel in più di 100 paesi e  realizzato in Romania sui Monti Carpazi.
La Transilvania (il cui nome latino significa la “terra oltre la foresta“) viene presentata da un lato come luogo di miti e leggende, e dall’altre come grande riserva naturale, ancora selvaggia e incontaminata, che deve essere protetta.
Le foreste e i paesaggi dei Monti Carpazi  (estesi quasi quanto la Gran Bretagna) aiutano alla definizione stessa della Romania e perderle sarebbe una tragedia”, dice il principe, aggiungendo che “il sintagma della Transilvania come terra oltre la foresta perderebbe il suo significato“. Nell’intervista inserita nel documentario,  il principe Carlo parla proprio della sua passione per questi luoghi, dove l’uomo può ancora vivere in armonia con la natura, parla della gente semplice, delle foreste, degli orsi bruni che vi trovano rifugio, dei prodotti ecologici, ma anche dei suoi antenati che, lontano nel tempo, vivevano in Transilvania.  Una sorta di ritorno a casa insomma.

http://www.dreamstime.com/stock-photo-viscri-fortified-church-image27976360Negli ultimi anni, ha comprato proprietà in piccoli centri della Transilvania, in villaggi, modeste case rurali, alcune di loro costruite oltre 200 anni fa. Le ha ristrutturate conservando intatta la struttura originale, utilizzando solo materiali compatibili con l’epoca e niente cemento. Una di queste proprietà si trova in un villaggio sassone  chiamato Viscri,  a meno di un’ora Sighisoara (la città natale del principe Vlad III). Il posto, insieme ad altri insediamenti sassoni, è stato inserito, nel 1999  nel patrimonio Unesco. Il principe ritorna ogni anno, gli abitanti sono abituati a vederlo passeggiare per le viuzze del villaggio impegnato in lunghe camminate nella secolare foresta di querce che si trova lì vicino. Di lui di narra che sia una persona semplice, umile e socievole, innamorata da tutto quello che riguarda la cultura e le tradizioni ancora genuine. Adora i gruppi folcloristici della zona e non perde occasione per lasciarsi coinvolgere in dei balli popolari, insieme ai contadini.

Anche grazie alla costante presenza del principe Carlo, il prestigioso quotidiano britannico The Guardian, ha incluso Viscri tra le più belle destinazioni turistiche della Romania. Non è solo per la sua posizione geografica, nel cuore della Transilvania, immersa nella natura vergine, ma anche per i suoi monumenti, come la chiesa fortificata risalente al 1225. Il villaggio stesso è un salto nella storia, un baluardo originale della tradizione sassone. All’interno della chiesa si trova anche un’originale “camera del lardo“, dove, in base a una vecchia tradizione, si conservava il lardo durante i mesi estivi.

I turisti che arrivano qui vanno alla ricerca di un salto nel passato, della natura selvaggia e della semplicità, amatori di quello che si chiama turismo ecosostenicharlesbile. Si può passeggiare in carri trainati dai cavalli, camminare nella foresta di querce, partecipare a tutte le attività tradizionali del paese come la ferratura dei cavalli, la preparazione delle marmellate, la raccolta di piante medicinali per le tisane.  Il numero dei turisti che scelgono come destinazione i villaggi sassoni della Transilvania è in continuo aumento, solo a Viscri, l’anno scorso sono arrivati 12.000 di turisti stranieri, non solo dall’Inghilterra, ma anche dalla Francia, Austria, Germania, Italia, Giappone, Stati Uniti e Australia.

Da alcuni anni, da maggio a settembre, anche le proprietà del principe Carlo in Transilvania hanno aperto le porte ai turisti stranieri. Si può alloggiare, pagando tra i 40 e 50 euro, nelle stanze principesche che hanno conservato intatto l’arredamento antico, molto pittoresco ed “esotico” nella sua semplicità.

Viscri rappresenta un’alternativa più sobria ai percorsi vempireschi del turismo rumeno, un luogo antico, fuori dagli schemi, per ricaricarsi e ritemprare memoria e anima.




Quando i “rumeni” erano gli italiani

Andiamo in Transilvania 
a menar la carioleta 
che l’Italia povereta 
no’ l’ha bezzi da pagar. 

E’ davvero difficile da credere oggi, ma così canticchiava il ricco nord del Triveneto all’inizio del ‘900, quando la madrepatria italiana non aveva abbastanza soldi (“i bezzi”)  per pagare gli stipendi e il sogno americano era costituito nientemeno che dalla Transilvania, in Romania!

L’Italia, si sa, è spesso terra dalla memoria corta e la locuzione di Cicerone “historia magistra vitae” non accompagna sempre un popolo nella sua memoria collettiva.
Gli stranieri vengono a “rubare” lavoro, portano delinquenza, “invadono” le città… eppure non molto tempo fa erano gli italiani a subire gli stessi pregiudizi, con sofferenze, in viaggio con il dolore nel cuore e la speranza negli occhi.
Nei primi anni del ventesimo secolo, erano proprio gli italiani ad abbandonare le povere terre del Veneto e del Friuli alla ricerca di migliori condizioni di vita in Romania. Oggi, gli italiani che fanno valutazioni “etniche” dimenticano di frequente che chi ha lasciato la propria vita alle spalle con una carriera lavorativa e una famiglia, scegliendo un futuro da badante o muratore con la laurea in tasca, non lo fa affatto a cuor leggero.

I rumeni e gli italiani hanno un passato comune di emigrazione ed immigrazione e la storia, non molto lontana,  ne è testimone.

Nel giro di trent’anni, dal 1871 al 1901, il numero degli emigranti italiani che lasciano il loro paese e vanno in Romania cresce da 870 a 8000 persone(!) Visto il grande flusso migratorio e l’interesse per la Romania, nel 1901, il ministero degli Esteri italiano pubblica un “manuale dell’emigrante italiano in Romania“, contenente tutte le procedure burocratiche da seguire per raggiungere il paese, superando i severi controlli della dogana romena. Passaporto valido, contratto di lavoro e permesso di soggiorno, questi erano i documenti indispensabili per poter entrare in Romania. Era prassi comune espellere gli emigranti alla scadenza del loro permesso di soggiorno.
Situazioni non molto distanti dalle attuali  con un solo particolare: i ruoli sono inversi! Non vi sembra un paradosso storico?!

Nel 1892 il delegato italiano Beccaria Incisa scrive a proposito dei lavoratori nostrani in Romania che “gli italiani sono molto contenti degli stipendi che ricevono, molto più alti di quelli che possono avere nel loro paese“, “In un anno la somma totale dei risparmi accumulati dai lavoratori italiani è di circa 4 milioni di lire, in oro” rapporterà qualche anno dopo l’ispettore per l’immigrazione Di Palma.
Gli emigranti lavoravano nell’edilizia, costruivano ferrovie, erano minatori, fornivano in buona parte manodopera qualificata – motivo per cui negli anni ’40 Mussolini li richiamerà in Patria, riducendo drasticamente gli espatri – .
Hanno costruito in Romania infrastrutture, strade, chiese, teatri, ponti, scuole… In più, sono stati i maestri pietrai italiani a costruire,  per le grandi famiglie nobili rumene, dei monumenti funerari considerati delle vere e proprie opere d’arte e ad insegnare ai rumeni il mestiere.

Nel 1930 le statistiche mostrano che in Romania vivevano circa 60.000 italiani, una piccola ma consistente comunità, con inevitabili problemi di integrazione sociale.
Il governo rumeno usava spesso la mano pesante contro gli emigranti che creavano problemi “d’ordine pubblico” o che,  semplicemente, non avevano documenti in regola. I rimpatri erano all’ordine del giorno. In seguito alle proteste degli operai rumeni  contro gli stranieri che, a loro dire,  gli “rubavano il lavoro” (vi ricorda qualcosa questa frase?) il governo rumeno vara la legge dei mestieri, che imponeva la precedenza degli operai rumeni nelle assunzioni.
Un documento dell’epoca emesso dal Ministero dell’Interno italiano ci da un’immagine della delicata situazione: “Stante il crescente afflusso dei connazionali in Romania, si dispone che le richieste d’espatrio vengano vagliate con massima severità per quanto riguarda la tenuta morale e politica degli interessati“.  Insomma una sorta di  Romania si, ma cerchiamo di fare bella figura!
Ma non era solo questo a rendere difficile la vita ai lavoratori italiani. Ricordo che mia nonna mi raccontò di una sua cugina che si era innamorata di un “talien” (come venivano definiti gli italiani), tale Simone Michetti. I genitori si opposero fortemente al matrimonio proprio perché lui era italiano. L’amore fu però più forte dei pregiudizi e i due scapparono al sud, vicino Tulcea (sede di una numerosa comunità italiana), dove si sposarono, comprarono un pezzo di terra e si dedicarono alla viticultura. Mi ricordo che si parlava poco di loro in famiglia, sottovoce, perché la storia di questo matrimonio che “non s’aveva da fare” fu all’epoca un grande scandalo. Ma i problemi non finirono qui. Quando arrivarono i comunisti, alla fine della seconda guerra mondiale, ordinarono il sequestro di tutti i loro beni.  Per evitare ripercussioni più gravi, Michetti fu costretto a rinunciare alla cittadinanza italiana e a cambiare, naturalizzandolo, il nome in Simion Micheti (con una singola “t”).  Dopo il 1950 Simion ebbe il permesso di tornare in Italia, per brevi periodi, per visitare quello che era rimasto della sua famiglia.
All’inizio degli anni ’50 in Romania vivevano ancora poco più di 10.000 italiani. Il regime comunista aveva vietato l’utilizzo della lingua italiana, chiudendo le scuole, le chiese cattoliche, le biblioteche. Era iniziata la dispersione della comunità italiana. Nel 1951  ebbe luogo un processo farsa a un gruppo di traditori e spie a favore del Vaticano e del centro di spionaggio italiano e, in seguito, molti vescovi e preti cattolici insieme al funzionario italiano Eraldo Pintori, furono condannati a molti anni di prigione. Alcuni morirono, come il prete Clemente Gatti, condannato a 15 anni di detenzione, torturato ed espulso dalla Romania, messo su un treno per Vienna e deceduto poco dopo.

Oggi in Romania vivono circa 3000 discendenti degli emigranti italiani, riconosciuti come minoranza etnica e rappresentati come tali nel Parlamento rumeno. La lista della personalità rumene di origine italiana sarebbe lunga da elencare: attori, scrittori, registi, giornalisti, medici, cantanti…  tutte professionalmente molto apprezzate e spesso presenti in prima persona nella difesa della comunità rumena in Italia, continuamente soggetta a pregiudizi e diffamazioni.
E’ il caso di dire che per una volta la memoria storica non è stata invana maestra!