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Oh, quanta strada nei suoi sandali!

Nella storia del ventesimo secolo c’è una piccola pagina in cui si racconta un’impresa singolare, dimenticata e incredibile, destinata decenni dopo ad essere omologata anche nel Guinness dei primati.

Siamo nei primi anni del 1900 quando un gruppo di avventurosi e temerari studenti rumeni decisero di girare il mondo! Con indosso esclusivamente costumi tradizionali della propria terra, utilizzando solo il supporto delle proprie gambe, si incamminarono calzando sandali contadini… ben 994!

E’ una storia avvincente a cui sento di non potermi sottrarre. Qualcuno sostiene, con amarezza e dispiacere, che, se si fosse trattato di americani o tedeschi, sarebbero diventati, senza dubbio, i protagonisti di un film di successo. Ma si tratta invece di quattro studenti rumeni e anche il comitato del Guinness dei primati ha atteso oltre 60 anni per riconoscere l’unicità della loro impresa.

Vi racconterò la loro storia lasciando ad ognuno di voi la regia del film della loro avventura.

Nell’estate del 1908, l’Europa era affascinata dal fenomeno dei globetrotter, viaggiatori improvvisati, autofinanziati,  che partivano per improbabili viaggi.
Il Touring Club francese propose un concorso inedito: il giro del mondo a piedi.
I cadumitrundidati potevano scegliere liberamente il percorso, ma dovevano attraversare ben 100.000 km! Inoltre, non potevano portare con sé denaro. Il premio era costituito da un franco per ogni chilometro percorso, per un totale di circa mezzo milione di euro di oggi.
In quel periodo si trovavano a Parigi, con una borsa di studio, anche 4 studenti rumeni, dicianovenni: Dumitru Dan, Paul Pârvu, George Negreanu e Alexandru Pascu. Due di loro studiavano geografia e gli altri due erano iscritti al Conservatorio. Già amici, erano abituati a lavorare, suonando e ballando, per mantenere gli studi.
Decisero di partecipare al concorso e proposero il loro itinerario spuntandola sui 200 presentati da altrettanti sognatori. Si ispirarono alla spedizione di Magellano, del 1521, il primo giro del mondo.
Prima di loro, un italiano, Armando Louy era entrato nel Guinness dei primati percorrendo 50.000 km in 10 anni.

Il leader del gruppo, Dumitru Dan, chiese ed ottenne agli organizzatori due anni per i preparativi. Tornarono in Romania e cominciarono i duri allenamenti: 45 km al giorno di marcia, scalate in montagna sia d’estate che d’inverno, allenamento con pesi per due ore al giorno. Studiarono intensamente cartografia, meteorologia, geografia e un po’ di medicina. Parlavano già francese, tedesco, inglese e spagnolo e ognuno di loro studiò una terza lingua, asiatica o slava.
Quando tutto fu pronto, restava ancora un piccolo non trascurabile dettaglio: i soldi, come mantenersi! La decisione cadde sulla musica: avrebbero vissuto suonando, cantando e ballando brani della tradizionale rumena. Due di loro erano studenti al Conservatorio di Parigi e già suonavano vari strumenti tra cui latraseu fisarmonica, il flauto e la cornamusa.

“Se vogliamo conoscere il mondo come rumeni, anche il mondo ci deve vedere come rumeni”, disse Dumitru Dan e decisero di girare il mondo indossando costumi tradizionali rumeni, con la fascia tricolore,  e sandali da contadino.

Nell’aprile del 1910 partirono da Bucarest, insieme al loro cane Harap.

Nel primo anno toccarono ben 4 continenti e la strada verso la meta sembrava in discesa. Presto però la grande avventura mostrerà il suo lato drammatico.  Nel secondo anno di viaggio Alexandru Pascu morirà per avvelenamento da oppio in India e due anni dopo, George Negreanu scomparirà cadendo in un precipizio tra le Montagne Nanling in Cina. Nel 1915, cinque anni dopo, Paul Pirvu viene ricoverato in Florida per una cancrena alle gambe, conseguenza degli oltre 3000km percorsi in Siberia, subendo l’amputazione degli arti. Qualche mese dopo morirà anche lui. Il cane, Harap, rimarrà con lui in Florida.

Dagli scritti di Dimitru, si legge che prima di morire, Paul Pirvu gli disse: “Fratello, abbiamo camminato più di 90 000 km. Eravamo in quattro, poi tre e ora siamo a due. Ora mi sono perso anche io… Non dobbiamo lasciare che si dica che i romeni sono stati sopraffatti e hanno rinunciato! Sapevo che ci sarebbero stati ostacoli, ma non così atroci. Devi lottare da solo da ora in poi e finire questo viaggio! “
Così, rimasto solo, Dan Dumitru decise di proseguire nel suo “maledetto” giro del mondo, ma, a meno di 5.000 km dalla meta dei 100.000, fu fermato dallo scoppio della prima guerra mondiale.

Fu arrestato a Salonicco,  da un ufficiale inglese,  con l’accusa di spionaggio, dopo aver rinvenuto tra i suoi bagagli mappe e riviste di tutto il mondo.

giramondoTornato in Romania dopo la guerra, completerà con testardaggine la sua avventura nel 1923, quando il Touring Club de France ricalcolò il percorso che ancora andava fatto per concludere il tragitto.

Dumitru sapeva bene che, in seguito alla grande svalutazione del franco post-bellica, il suo premio sarebbe valso meno della metà del suo valore iniziale, circa 40.000 franchi dell’epoca. Ma, in memoria dei suoi amici che persero la vita, volle comunque portare a termine la sua impresa, concludendola a Parigi il 14 luglio del 1923.

Percorse 100.000 km a piedi, attraversando cinque continenti, tre oceani, 7 mari, visitando 76 paesi e 1500 città, passando sei volte l’Equatore.
Della sua impresa sono rimaste pochissime foto e un diario scritto durante il viaggio, mai pubblicato, custodito dall’unica figlia e con pochissimi estratti riportati su qualche rivista dell’epoca.
Centinaia di pagine che parlano dei posti in cui si fermarono, descritti attentamente, con una profonda conoscenza di culture, tradizioni e abitudini. Racconti del modo in cui furono accolti, a Cuba, ad esempio, dove incontrarono il presidente dell’epoca, Mario Menocal, o alla Casa Bianca, quando

insieme al suo compagno di viaggio, Paul Pirvu, tenne un casa biancaconcerto di musica popolare, nel dicembre del 1914. Storie avventurose vissute ovunque, in Australia, quando camminando nella foresta, finirono nelle trappole che gli aborigeni avevano messo per catturare gli animali o in India dove furono accolti da veri eroi e gli fu offerto come alloggio l’albergo più lussuoso della capitale.

A Teheran le loro esibizioni musicali ebbero un incredibile successo, contro i dettami religiosi persiani che vietavano di suonare uno strumento musicale, e la presenza dei quattro rumeni fu vista come un vero evento.  A Rio de Janeiro il Diamantina theatre hall fece per giorni il tutto esaurito per il concerto di musica e balli tradizionali rumeni.

Dumitru Dan entrò nel Guinness dei primati nel 1985, anni dopo la sua morte, il primo uomo a compiere il giro del mondo a piedi.

Morì povero nel 1979,  in Romania,  e fu seppellito del Cimitero degli Eroi, a Buzau.

Non è facile trovare la sua tomba, perché sulla croce di ferro arrugginita si fa fatica ormai a leggere il nome. Dall’erba alta spuntano un paio di sandali da contadino, gli ultimi che ha indossato nel suo viaggio di ritorno in patria.

dan




Figli di un decreto minore

E’ difficile da accettare, ma, probabilmente, sono venuta al mondo per… decreto! Sembra assurdo, ma in Romania un tempo si nasceva non solo per amore o per caso, ma anche per il decreto 770!

Alla fine del 1966, il regime comunista di Nicolae Ceaușescu decise di vietare gli aborti e la contraccezione, non certo per motivi religiosi o umanitari -impensabili in un regime totalitario- ma con l’unico nazionalistico scopo di incrementare la popolazione.

Nella pratica, fu solo un crudele e cinico esperimento sociale, disumano, che durò ben 23 anni!

Da un lato si mettevano al bando preservativi e altri metodi contraccettivi, venduti solo al mercato nero a prezzi proibitivi per la maggior parte dei romeni (i preservativi portati dalla vicina Ungheria, liberale e libertina, erano i più contesi); dall’altro vigeva il divieto assoluto di aborto. L’educazione sessuale era inesistente e i libri sulla riproduzione e la contraccezione erano considerati “segreti di Stato“, fruibili solo nell’ambito della formazione medica.

decreteiPiù in dettaglio fu vietato l’aborto a tutte le donne al di sotto dei 40 anni (il limite di età fu esteso ai 45 anni, nel 1972), alle donne che avevano meno di 4 figli (limite portato a 5 nel 1972), a quelle la cui gravidanza non era causa di pericolo di vita, a donne la cui gravidanza non era provocata da incesto o stupro.

I trasgressori del decreto venivano puniti con la prigione.

il più grande boom demografico di tutti i tempi

Il risultato di tutto ciò fu il più grande boom demografico romeno di tutti i tempi, tra il 1967 e il 1968, con un incremento percentuale di nascite superiore al 100%.
Con il decreto 770 vennero al mondo ol4 settimane 3 mesi 2 giornitre 2 milioni di bambini, un vero e proprio esercito di figli del partito e non sempre dell’amore, per i quali lo stato ha dovuto costruire in fretta asili, scuole, ospedali, ma anche orfanotrofi. Gli effetti collaterali di questa politica della pazzia furono infatti gli oltre 170.000 bambini abbandonati, un’enorme eredità di Ceaușescu, fonte di un vero e proprio caso umanitario mondiale con cui la Romania continuò a dover fare i conti per molti anni dopo la sua morte (vi ricordate lo sdegno provocato dalle colonie di bambini che vivevano nella fogne di Bucarest negli anni ’90? Le associazioni umanitarie, anche italiane, che tentavano di salvarli? Le adozioni internazionali legali e paralegali dei bambini romeni?).

Il loro numero sarebbe stato molto più grande se non ci fossero stati ben 4 milioni di aborti clandestini. Come è facile immaginare, in una Romania comunista dove le donne lavoravano quanto gli uomini, i sindacati erano inesistenti, la povertà era spesso la normalità, l’aborto di donne che non potevano permettersi un figlio era all’ordine del giorno.
Ma è bene conoscere le regole di questo gioco al massacro. Se una donna si recava in ospedale per cercare aiuto dopo le complicanze di un aborto illegale, NON veniva curata fino a quando non avesse denunciato la persona che aveva eseguito il raschiamento. Spesso questo significava denunciare un’amica, una sorella, una madre.
Per paura di questa sadica situazione, la scelta tra la propria vita e quella di un altro, molte donne non chiedevano assistenza medica, almeno fino a che non era strettamente necessario, e, spesso, lo strettamente necessario significava la propria morte! Si stima che più di 11 mila donne morirono per le conseguenze degli aborti illegali.

orfaniSi pensi che il loro numero supera quello delle vittime delle persecuzioni politiche degli anni della dittatura, ma di queste donne, dopo il 1989, si è parlato poco, pochissimo, non solo perché queste morti bianche non hanno mai avuto un registro e un conteggio preciso, ma anche e soprattutto perché ogni famiglia, ogni donna che ha vissuto sulla propria pelle gli effetti di questo decreto ha fatto in modo di rimuoverne il ricordo. Una spietata e rara testimonianza è il film “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” del regista rumeno Cristian Mungiu, Palma d’oro a Cannes nel 2007.

la polizia mestruale

femei la doctorNessuna donna vuole ricordare le file davanti agli studi ginecologici, quando le donne, sotto i 40 anni, venivano prelevate dal loro posto di lavoro ogni mese e sottoposte a esami medici obbligatori per determinare prima possibile se erano in stato di gravidanza.
A nessuna fa piacere ricordare che la loro fertilità era continuamente monitorata dai fin troppo zelanti funzionari statali che, oltre agli esami medici, conducevano dei veri e propri interrogatori sul perché non procreavano abbastanza. Questi esami ginecologici venivano spesso effettuati in presenza della cosiddetta “polizia mestruale” (ebbene si, abbiamo avuto anche quella!), come la soprannominavano i rumeni, che sottoponevano le donne ad una periodica violenza istituzionalizzata.
Nessuna vuole ricordare l’abbandono di un figlio, la denuncia di un parente, la morte di un’amica, sul tavolo della cucina, dopo un aborto fallito…

i tempi dell’Amore senza sesso

Nemmeno io vorrei poter ricordare quel giorno di autunno del 1985, in terza liceo, quando insieme a tutte le ragazze delle 10 sezioni della mia scuola, fui portata alla mia prima visita ginecologica obbligatoria, in seguito al tentativo di aborto di un’amica, arrivata in ospedale in fin di vita. Eravamo in fila in un silenzio surreale, abbandonate ai nostri pensieri confusi, riflettendo sulle conseguenze dell’amore.

Stavamo per diventare donne in un mondo in cui nessuno ci aveva detto dove collocare questo Amore, tra la paura, il dubbio, il divieto, il vincolo in cui era imprigionato il sesso.

Un mondo in cui fare l’amore era stato cancellato dal lessico comune. Infatti, noi, quelli nati nei primi anni dopo il decreto, non siamo stati mai chiamati figli dell’amore ma, ironicamente, decreței, ossia figli del decreto. Mia sorella, nata per amore nel 1964, non perdeva occasione, durante i nostri litigi infantili, di ricordarmi che io ero una di quelle.

Quando giocavamo giù al parco, noi, i figli del decreto, eravamo spesso i più arrabbiati verso il mondo e verso i nostri fratelli più grandi e desiderati.
Noi eravamo i figli con la chiave al collo… no non è una metafora, avevamo davvero la chiave di casa appesa al collo quando uscivamo per andare a scuola. Soli all’andata, soli al ritorno. Nati già grandi per necessità familiare e di partito, autonomi, responsabili, disciplinati, perseveranti, combattivi.

2 milioni di bambini di troppo!

bambina con la chiave al colloGli stessi che poi a vent’anni facemmo la rivoluzione del 1989, che portò alla caduta del regime comunista. La nostra vendetta contro il governo che ci aveva decretati!

Qualche tempo fa ho letto uno studio, sul Sole 24 Ore, in cui la psicologa Margherita Carotenuto sosteneva che “la violenza genetica dei decreței è la causa principale dei reati compiuti dai romeni in Italia.”  Secondo lei, è impossibile cancellare l’infanzia!

Non so se il decreto 770 abbia davvero portato al mondo una generazione di figli indesiderati,  non so se molti di loro, da grandi, siano diventati violenti,  frustrati e infelici. So però che il pensiero di non essere (solo) figli dell’amore, di essere nati per dovere patriottico, di essere diventati, inconsapevolmente,  i protagonisti di una pagina importante della storia del nostro paese, il pensiero che forse non siamo stati dei bambini desiderati, ma piuttosto obbligati o meglio, obbligatori… credetemi, questo ci ha tanto tormentati e spesso ci tormenta ancora.

Post Scriptum
Mia madre quando ha saputo che stavo scrivendo questo articolo mi ha ulteriormente rassicurata sul fatto che sono assolutamente figlia dell’Amore!!!




Quante ne hanno fatte i rumeni!

Nel 1903, un giovane inventore presentò all’Accademia delle scienze francese il progetto di un veicolo più pesante dell’aria, che,  secondo lui, avrebbe volato. Non fu compreso e il suo progetto fu respinto, con la seguente motivazione:  Il problema del volo con una macchina che pesi più dell’aria non può essere risolto e si tratta soltanto di un sogno.

Il sognatore era un inventore rumeno, Traian Vuia, che,nonostante tutti i rifiuti, non si arrese,  e, qualche mese dopo, ottenne comunque il brevetto, in Francia e in Gran Bretagna.traian vuia

L’aereo, chiamato “Vuia I”, era un monoplano con un’ampia ala posta in alto e venne completato nel dicembre 1905.  Il 18 marzo  1906 la macchina era pronta a tentare il decollo: l’esperimento riuscì, anche se in effetti non volò, ma si staccò da terra di pochi centimetri, il che fu sufficiente ai giornali dell’epoca per celebrare l’impresa. Il più grande merito di Vuia fu quello di essere riuscito a far decollare il velivolo con i propri propri mezzi e su un terreno piatto, senza l’aiuto di rampe, rotaie o catapulte, come successe tre anni prima, con il velivolo dei fratelli Wright, che decollò invece con l’ausilio di una catapulta.

Quattro anni dopo, nel 1910, un altro inventore e ingegnere rumeno,  un altro sognatore, Henri Coandă, progettò, costruì e pilotò  il primo aereo alimentato a termogetto,  chiamato Coandă 1910, dando così vita al primo aereo con motoreattore della storia dell’aeronautica.  Durante la presentazione pubblica, al Salone Internazionale dell’aeronautica di Parigi, Coandă perse il controllo del velivolo, che precipitò e prese fuoco. Fortunatamente, riuscì a salvarsi. In seguito alla caduta del suo aereo,  osservò che le fiamme e il gahenri coandas incandescente emesso dal fuoco tendevano a restare vicini alla fusoliera. Dopo più di 20 anni di studi di questo fenomeno con altri suoi colleghi, Coandă descrisse quello che in seguito fu battezzato “Effetto Coandă” (tendenza di un getto di fluido a seguire il contorno di una superficie vicina). Questo fenomeno è stato utilizzato in molte invenzioni aeronautiche ed è fondamentale per la progettazione dei veicoli supersonici.

Nel 1922, un ingegnere rumeno, Aurel Perșu, iniziò la costruzione della prima automobile aerodinamica del mondo, a sue spese. L’invenzione fu brevettata in Germania, lo stesso anno, ma l’automobile fu terminata due anni dopo. Per la prima volta al mondo, questa automobile, di forma futurista, ispirata a quella di un uccello,  aveva le ruote inserite all’interno della carrozzeria di alluminio. Dopo calcoli ed esperimenti di laboratorio, l’ingegnere rumeno giunse alla conclusione che la forma ideale di un’automobile, di un veicolo in movimento, era quella della goccia d’acqua quando cade. auto persuRiuscì a calcolare coefficienti aerodinamici validi ancora oggi con un netto anticipo sui tempi. La compagnia Ford si dimostrò interessata al brevetto ma non garantì a Perșu che il suo modello sarebbe entrato nella produzione di serie e, per questo, rinunciò alla vendita. Gli specialisti parlano di alcuni punti deboli dell’auto: il design non troppo conformistico e il confort. Vi si aggiungeva la velocità massima raggiunta, inferiore a quella delle auto dell’epoca, di circa 80 km all’ora. Rimane però la cosa più importante e che nel tempo avrebbe ripagato l’invenzione: per la prima volta si era considerata l’importanza della forma aerodinamica.
Nel 1921, un medico rumeno fecce una grande scoperta, che avrebbe cambiato la vita di milioni di persone:  si tratta dell’ormone pancreatico, ossia l’insulina.  Nicolae Păulescu capì per primo come curare il diabete e nel 1922 ottenne il brevetto per la scoperta della pancreina. Ma il premio Nobel andò, un anno più tardi, a due canadesi, che misero semplicemente in pratica ciò che il ricercatore rumeno aveva scritto nei suoi lavori. Dopo quarant’anni di controversie e contestazioni, il comitato Nobel ha riconosciuto, nel 1969, la precedenza di Păulescu nella scoperta del trattamento antidiabetico, ma, conformemente al suo statuto, ha escluso la possibilità di una riparazione ufficiale. 
Più fortuna ha auvto uno studente rumeno a Parigi , Petrache Poenaru, che viene considerato il creatore della prima penna stilografica ricaricabile. La sua intuizione venne brevettata dal Governo francese, nel 1827, con una descrizione strana che si potrebbe tradurre come “penna portatile senza fine, ricaricabile ad inchiostro“.  Il suo progetto sarebbe diventato la base per le penne stilografiche future e le penne ricaricabili in genere, anche se, all’epoca non ebbe grande diffusione e non diventò mai uno strumento si scrittura di uso comune. Probabilmente nel 1827, un oggetto del genere risultava poco funzionale e troppo sofisticato, o semplicemente, lo studente rumeno di 28 anni era troppo avanti rispetto ai suoi tempi (la penna Biro fu inventata solo 110 anni dopo e le prime penne stilografiche “moderne” di Waterman solo 60 anni dopo).  Lo dimostra anche il fatto che quando  nel 1830 si inaugurò la prima ferrovia al mondo, in Inghilterra, tra Liverpool e Manchester, Petrache era a bordo!
brancusiNon sono stati pochi i rumeni avanguardisti, pionieri nel loro campo.
Vi basti sapere che, ad esempio, se i nostri aerei hanno la forma che hanno è grazie all’ingegnere rumeno Rodrig Goliescu, che ha costruito il primo aereo con la fusoliera; o che l’utilizzo del cemento nell’architettura moderna lo dobbiamo a un altro ingegnere rumeno,   Anghel Saligny,  che progettò e costruì, nel 1895, il ponte più lungo d’Europa (all’epoca anche il terzo del mondo), il ponte di Cernavodă, sul Danubio.
Non è un’esagerazione affermare che la scultura moderna senza il suo patriarca, il rumeno Constantin Brâncuși, sarebbe diversamente… ricca!  L’approccio culturale alle religioni avrebbe avuto un percorso più totruoso senza il primo Trattato di Storia delle religioni, scritto da  Mircea Eliade,  filosofo e scrittore rumeno. L’originalità del suo lavoro non si basa una semplice sistematica classificazione delle religioni in base ai popoli, ma, per la prima volta nella storia, parte dagli “oggetti” del culto e ne studia l’espressione, in modo comparativo, presso i vari popoli: ci pone di fronte al Cielo, al Sole, alla Luna, all’Acqua, alle Pietre, alla Terra, e ne delinea i culti, che nelle religioni dei diversi popoli assumono le loro particolari individualità in maniera certosina.
Agli amanti del teatro e della drammaturgia dico un solo nome: Eugen Ionescu, il fondatore del teatro dell’assurdo, uno degli autori più innovativi e profondi del Novecento e aggiungo qualche titolo: La cantatrice calva, Il rinoceronte, Il re morto. Anche Eugen Ionescu era rumeno. 
tarzanParliamo un po’ di cose (semi)serie…
Il primo attore che ha interpretato Tarzan nel cinema, nel 1932, Johnny Weissmuller, è nato in Romania, vicino Timisoara.
Il primo portiere di calcio che ha parato quattro rigori consecutivi era rumeno, Helmuth Duckadam. Nel 1986,  la sua squadra, Steaua București vinse la Champions League contro il Barcellona, grazie ai quattro rigori parati da Duckadam. Dopo la sua impresa senza precedenti è stato nominato dalla stampa del mondo “Il Superman della Romania”.
Un’altra impresa senza precedenti riuscì, a solo 14 anni, una delle più grandi ginnaste del mondo, la rumena Nadia Comaneci, la prima ginnasta ad aver ottenuto il punteggio massimo in una competizione olimpica. Nel 1976, alle Olimpiadi di Montreal, dopo il suo esercizio impeccabile alle parallele asimmetriche,  l’attesa del punteggio fu più lunga del solito, lo ricordo con emozione, e  alla fine, sul tabellone elettronico apparve il numero 1.00, che voleva essere invece un 10, ma i computer non erano ancora preparati alla perfezione. E’ solo grazie a Nadia se il comitato Olimpico fu obbligato ad aggiungere una cifra al tabellone elettronico!

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Un Natale stupefacente…in Romania!

Immaginate che per qualche strano intreccio del destino vi troviate in Romania, a Natale, diciamo in Transilvania. Ho scelto questo luogo non solo perché ci sono nata, o perché gli inverni là,  tra i boschi e le montagne,  sono molto pittoreschi,  ma per il semplice motivo che è la regione dove potete vivere ancora le tradizioni natalizie rumene più autentiche.  Supponiamo però che non sappiate niente o quasi niente delle tradizioni di questo paese,  che non sappiate nemmeno se i rumeni ortodossi festeggino il Natale o come lo facciano.  La gente per strada si dice parole incomprensibili, come Crăciun fericit, sărbători fericite, sarmale, cârnaț, cozonac, colinde, plugușor, praznic, che non si avvicinano neanche lontanamente alle sonorità latine dell’italiano. Nei centri commerciali, negozi o ristoranti si ascoltano le incomprensibili colinde, una musicalità lenta, dal testo antico e misterioso…vi sentireste giustamente smarriti e avete bisogno di qualcuno che vi aiuti a passare un Natale indimenticabile. Eccomi qua, sarò la vostra guida immaginaria!

Per iniziare, una breve lezione di rumeno.  In tutte le lingue neolatine, francese, spagnolo, portoghese o italiano,  c’è nella radice della parola Natale, il senso di nascita,  ma non nel neolatino rumeno, troppo facile! Per noi “Natale” si dice “Crăciun”. Per i linguisti, la parola Crăciun deriva da un termine molto antico, di origine tracica, balcanica,  cãrciun” che significava il tronco d’albero e che veniva e viene ancora oggi bruciato la sera durante la notte del solstizio d’inverno per dar forza al sole intorpidito nel suo nuovo percorso verso la rinascita.  Per concludere la breve lezione di rumeno, per fare gli auguri di Natale e di buone feste, le frasi più adatte sono Crăciun fericit (Natale Felice) e Sărbători fericite (Feste felici). 

L’albero di Natale si addobba anche in Rpadureomania, ma nelle case non lo troverete prima della vigilia (qui in Italia è sempre una lotta tra la mia famiglia che lo vuole l’8 dicembre e me che lo vorrei molto più tardi). I bambini lo preparano il pomeriggio del 24, giusto in tempo per i regali che lascerà sotto l’albero Babbo Natale (Moș Crăciun). Nei miei primi 4 anni in Italia sono rimasta fedele alla mia tradizione e addobbavo l’albero solo alla vigilia, non mi abituavo all’idea che a fine novembre c’era qualcuno che lo facevo già. Venivo dalla Transilvania, dove le temperature scendevano a volte anche a 40 gradi sotto zero,  nevicava per giorni interi, gli inverni erano infiniti e il Natale arrivava sempre con montagne di neve.  Da bambina, la mattina della vigilia andavo con mio nonno nel bosco a prendere un bell’abete, su una slitta tirata dai cavalli, che facevano fatica a farsi strada tra la neve che scendeva senza fermarsi mai. Portavamo a casa l’albero ancora pieno di neve ghiacciata e il profumo di resina e bosco che avvolgeva il tepore della casa era inebriante…
Capirete quanta fantasia mi è servita per immaginare un Natale guardando fuori dalla finestra gli aranci colmi di frutta, il mare, il sole, a temperature superano abbondantemente lo zero…   L’albero di Natale a fine novembre…. mah!!!icoana

Il 24 però l’albero sarà lì, in ogni  casa rumena. Il presepe, invece, non fa parte della tradizione natalizia ortodossa e perciò nessun “bambinello” e nessuna grotta vengono raffigurate nelle chiese rumene se non nelle icone bizantine che hanno come tema la nascita di Gesù.
Fanno eccezione le chiese greco-cattoliche, di rito bizantino, che seguono i riti religiosi cattolici.

Visto che è Natale e che sicuramente riceverete qualche regalo, un consiglio utile per quanto riguarda le usanze rumene: non aprite mai un regalo davanti alla persona che ve l’ha donato, è segno di maleducazione. Pensate che al mio primo Natale in Italia sono passata da maleducata proprio perché non scartavo i regali, li prendevo, ringraziavo gentilmente (e con troppo poco entusiasmo) e poi li mettevo via, per quando sarei tornata a casa. Mia mamma mi ripeteva sempre, quando ero piccola, che aprire un regalo subito è come dimostrare una curiosità inaccettabile per una persona educata.

Se aspettate che qualcuno vi inviti a casa sua per il cenone della vigilia,  potrà non succedere mai, piuttosto saranno gli altri ad avvertirvi che passeranno da voi, in serata o in nottata, per portarvi la buona novella della nascita di Gesù, cantando. In Romania, se dici Natale,  dici colinde,  i testi epici rituali,  cantati, che evocano la Nascita di Gesù.  Vengono interpretati soprattutto dai giovani che, vestiti in costumi tradizionali e spesso indossando maschere tradizionali, narrano cantando la nascita di Gesù e l’arrivo dell’anno nuovo. Sono canti densi di simboli rituali. I colindători (i cantanti delle colinde) sono spesso accompagnati da strumenti musicali e vanno di casa in casa per augurare un anno buono, felice e prospero. In cambio ricevono soldi, dolci o frutta e, per tradizione, non escono dalla casa che li ospita senza aver bevuto un bicchiere di grappa o vino… segno di prosperità, si intende! Questa tradizione è presente non solo nelle campagne ma anche nelle grandi città dove non è raro vedere, presso la porta di un condominio, un gruppo copii colindeche suonando ai campanelli chiedono: “Ricevete o no i colindatori?”. Famiglie intere si riuniscono dopo cena e vanno a trovare amici o parenti e cantano alle loro porte i canti natalizi.  Le stesse canzoni risuonano per le strade anche nella notte di fine anno, perché nell’anima dei rumeni vive la convinzione che nel momento del passaggio tra un anno e l’altro, i Colindători  allontanano il male e la negatività dalle loro case portando fortuna e prosperità.

Il senso profondo della notte della vigilia è proprio quello di condividere con l’intera comunità, e non solo con la famiglia, la festa di Natale. Il cenone natalizio non dura molto proprio perché si vuole passare più tempo fuori casa, per le strade, cantando con gioia, in una specie di incontro magico tra te e il mondo intero sotto il segno della nascita di Gesù. Il cenone è brmascatieve,  ma molto ricco. Il protagonista è, suo malgrado, il maiale. In Romania si rispetta ancora, soprattutto in campagna,  la tradizione del sacrificio del maiale nel giorno di Ignat, il 20 dicembre,  tradizione unica nel mondo cristiano, con radici rituali degli antichi Daci, nel giorno del solstizio. Nella loro religione il maiale era sacrificato perché era visto come un simbolo della divinità delle tenebre, che aveva la forza di indebolire la luce del sole nella più corta giornata dell’anno, il solstizio d’inverno. Per venire in aiuto del sole la gente ammazzava il maiale e la carne di quest’animale era un cibo che aveva la forza necessaria per salvare il sole. Non a caso, dopo questo giorno, la luce aumentava gradualmente e il Natale diventava una festa della luce e della vita.

Non sono convinta che tutte queste motivazioni antropologiche possano aiutare a capire il significato di un rituale apparentemente barbaro in cui l’animale viene sgozzato davanti a tutta la famiglia, compresi i bambini, in un’atmosfera di grande festa. Dopo aver pugnalato l’animale, lo si copre con della paglia e si fa il fuoco per distruggere il suo pelo. Successivamente il maiale è lavato con acqua, pulito con un coltello e tagliato (prima di tagliarlo si fa il segno della croce sulla fronte dell’animale e si mastidice “Dio, aiutaci a mangiarlo, salute!”). Qualche volta, la pulitura è preceduta dalla tradizione di coprirlo con una coperta in modo che i bambini possano salirci sopra, perché si dice che in questo modo cresceranno belli e sani.  Le donne preparano la carne facendo tutti i prodotti specifici e nella giornata di Ignat imbandiscono la tavola chiamata pomana porcului (una specie di dono per l’anima dell’animale),  un pranzo a base di carne fresca di maiale. Gli invitati sono le persone che hanno aiutato a sacrificare il maiale e qualche vicino.  Tutti i pezzi del maiale, dalle orecchie fino alla coda,  vengono preparati. Le orecchie, pulite e salate, vengono offerte ai bambini. Sempre in questa giornata si preparano i cibi tradizionali per il giorno di Natale: cârnați (salsiccia), caltaboși (un tipo speciale di salsiccia), jumări (ciccioli), slănină afumată (lardo affumicato). Alcune di queste specialità si fanno affumicare secondo metodi trasmessi da una generazione all’altra. Dalla carne di taiatul porculuimaiale si preparano anche sarmale (involtini di carne macinata in foglia di verza o di viti),  piftie (gelatina all’aglio contenente parti della testa o piedi) e arrosto di maiale.  Tutto il menù di Natale è a base di carne di maiale, non facilmente digeribile, ma sicuramente molto saporito. Sulla tavola troverete anche il dolce tradizionale, cozonac, una specie di panettone farcito con noci o semi di papavero e zucchero.
Vi consiglio quest’ultimo, molto squisito, che accompagnato alla grappa, vi garantirà davvero un Natale… stupefacente!