Un lago vulcanico e tante leggende
Gli abitanti del luogo fanno le previsioni del tempo in base all’odore che emanano le fessure nelle rocce.
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Gli abitanti del luogo fanno le previsioni del tempo in base all’odore che emanano le fessure nelle rocce.
La Transilvania non è solo luogo di castelli tenebrosi, foreste misteriose, atmosfere cupe e oscure, fantasmi svolazzanti a mezzanotte tra lupi ululanti e pipistrelli che volano via…
Anche se la letteratura e la credenza popolare hanno da sempre identificato la regione “oltre foresta”, la Transilvania, con questi luoghi comuni esiste un castello fiabesco, romantico, regale, incantevole, situato in uno scenario magnifico, circondato dai maestosi Monti Carpați a pochi chilometri da Brașov, a due passi dal famigerato Castello di Bran.
Ci troviamo a Sinaia, a 120 km da Bucarest, al Castello Peleș, definito spesso come la perla della Transilvania. Non lasciatevi intimorire dai cartelli che vi avvertono della presenza (reale) degli orsi in zona e nemmeno dal chilometro e mezzo che dovete percorrere a piedi dal parcheggio… ne vale la pena!
Vi troverete davanti a una meraviglia architettonica immersa in un paesaggio fantastico, con giardini disposti a terrazze, circondato da fitte foreste.
Dopo avervi fatto indossare copriscarpe di plastica per non rovinare il parquet e i meravigliosi tappeti del castello, le guide vi avvertiranno subito di un fenomeno esoterico registrato in alcune stanze del castello, nel mese di luglio, il mese in cui è morta la regina Maria di Romania (nel 1938). E’ il cosiddetto lutto viola.
La regina era appassionata di fiori e fece mandare dall’India una specie rara di violette che piantò nel giardino del castello. Ogni anno, nei giorni della ricorrenza della sua morte, nell’aria si sente un profumo intenso di violette, ma solo nelle stanze della regina. Il profumo compare e scompare inspiegabilmente e lo testimoniano non solo le guide ma anche molti turisti.
Considerato tra i più belli dell’Europa, il castello è un capolavoro di architettura eclettica dominato dallo stile neo rinascimentale tedesco. Voluto dal re Carlo I della Romania e dalla sua famiglia, gli Hohenzollern, il castello fu eretto tra il 1873 e 1883.
L’influenza sassone è presente sin nelle facciate del cortile interno, ornate da un allegorico murales e da dipinti a mano, con struttura Fachwerk (a graticcio), simile allo stile dell’architettura alpina del nord Europa.
Il Castello Peleş ha una superficie di 3.200 metri quadrati, è dotato di 160 camere, molte ornate con temi esclusivi provenienti da tutte le culture del pianeta. I temi variano a seconda della funzione (uffici, biblioteche, armerie, gallerie d’arte) o per stile (fiorentino, turco, arabo, francese, Imperiale). Tutte le camere sono estremamente e lussuosamente arredate, decorate nei minimi dettagli. Vetrate con scene di favole tedesche, lampadari in vetro di Murano, intagli in legno pregiato e oro o pareti rivestite in pelle di Cordoba, porcellane di Sèvre e sculture in avorio vengono a completare le 160 stanze della residenza prediletta della famiglia reale e soprattutto della regina Elisabetta (di Wied), moglie di re Carlo, mecenate e a sua volta scrittrice di un certo successo (conosciuta con il nome di Carmen Sylva).
Alla decorazione della sala della musica e del teatro, contribuì anche Gustav Klimt, amico della regina.
Una statua torreggiante del re Carlo I, che si affaccia all’ingresso principale, è dello scultore italiano Raffaello Romanelli, che realizzò anche sette terrazze del giardino neo-rinascimentale, per lo più di marmo di Carrara.
Il Castello Peleș è considerato anche il castello dei primati:
E’ stato il primo edificio del genere a disporre sin dalla costruzione di riscaldamento centralizzato, di ascensore e il primo al mondo completamente alimentato da energia elettrica prodotta in loco. Inoltre, nella sala del teatro voluta dalla regina, è stata presentata per la prima volta in Romania una pellicola cinematografica.
Re Carlo I ed Elisabetta non ebbero un matrimonio di natura politica, come spesso accadeva, ma d’amore. Per questo aggiunsero a Peleș un primato di diversa natura, dormendo nello stesso letto!
Il costo dei lavori del castello, tra il 1875 e il 1914, è stato stimato in circa 120 milioni di dollari di oggi. Lavorarono alla costruzione oltre 400 uomini provenienti da tutta l’Europa.
Il multietnico lavoro di squadra è ben descritto dalla regina nel suo diario:
Gli italiani erano muratori, i romeni costruivano terrazze, gli albanesi e i greci lavoravano la pietra, i tedeschi e gli ungheresi lavoravano il legno.
I turchi costruivano mattoni. Gli ingegneri erano polacchi, mentre gli scalpellini erano cecoslovacchi. I francesi erano disegnatori, gli inglesi erano alle misure. Si potevano osservare centinaia di costumi nazionali e parlavano, litigavano e cantavano in quattordici lingue in tutti i dialetti e desinenze, un mix gioioso di uomini, cavalli, carri, buoi e bufali domestici.
Il castello ha avuto il suo periodo di gloria, alla fine del novecento, quando ha ospitato, oltre a re ed imperatori (tra cui Francesco Giuseppe I d’Austria e l’imperatrice Sissi) anche tanti grandi artisti dell’epoca: Sarah Bernhardt, George Enescu, Pierre Loti, Pablo de Sarasate, Gabrielle Rejane, Jacques Thibaud ecc.
Con l’avvento del regime comunista e l’abdicazione forzata del re Michele I di Romania nel 1947, cominciò un periodo tormentato per le sorti del castello. Il regime sequestrò tutti i beni reali e tra questi anche la tenuta di Peleş. Il castello venne trasformato, per un breve periodo, in attrazione turistica. Fu anche luogo di riposo e di svago per personalità culturali rumene. Durante gli ultimi anni del regime comunista, Nicolae Ceauşescu chiuse l’intera struttura e la zona venne dichiarata “area cerimoniale di interesse”.
Simbolo di una gloriosa monarchia, Ceauşescu non amava molto il castello. Le sue visite erano rare e solo per accompagnare dignitari stranieri come Richard Nixon, Gerald Ford, Mu’ammar Gheddafi e Yasser Arafat.
Nel 1980, una parte del legname con il quale erano costruiti alcuni infissi fu infestato da un fungo e il dittatore, ossessionato dalle malattie, smise per sempre di andarci.
Nel 2006, il governo rumeno ha restituito il castello all’ex monarca Michele I che lo ha affittato allo stato romeno permettendo di fatto il ripristino della sua collocazione nel patrimonio turistico nazionale. Il Castello Peleş ospita quasi mezzo milione di visitatori ogni anno.
A poche centinaia di metri dal Castello Peles si trova il Castello Pelișor, più piccolo ma completamente arredato dalla regina Maria, moglie del re Ferdinando. L’edificio, costruito tra il 1899 e il 1903, in perfetto stile art nouveau su progetto dell’architetto ceco Karel Liman, rispecchia lo stile personale e sorprendente della regina, una vera e propria esteta, e contiene una collezione unica di mobili viennesi e numerosi oggetti Tiffany e Lalique.
La prestigiosa rivista francese Le Figaro ha definito il Castello Peleș come la più bella residenza reale estiva d’Europa, un luogo spettacolare che avrebbe potuto ispirare…Walt Disney!
Se Disney non è arrivato mai da queste parti, ci sono stati tanti altri registi che hanno scelto quest’ambientazione per i loro film. Il castello è stato descritto nel film del 2008 The Brothers Bloom. L’esterno è stato utilizzato per rappresentare una vasta tenuta nel New Jersey, la casa di un’eccentrica miliardaria interpretata da Rachel Weisz. Nel 2011, nello stesso scenario è stato girato il film A Princess for Christmas. Anche il regista Francis Ford Coppola ha girato, nel 2007, a Sinaia, scene del suo film, Un’altra giovinezza.
Quando ho sentito per la prima volta La canzone del sole, di Lucio Battisti, ero convinta che parlasse del mio Mar Nero, l’unico mare che avevo visto fino ai 25 anni e dove ho trascorso tante vacanze, in colonia, da piccola (come era da tradizione nei paesi comunisti degli anni ’70 e ’80), e poi con gli amici di università, a sognare, negli anni bui della dittatura, mari lontani e spiagge irraggiungibili.
Poi, ho letto un’intervista a Mogol, in cui raccontava che aveva scritto il testo della canzone ripensando ad una vacanza estiva trascorsa da bambino, a Silvi Marina (in Abruzzo), e ad una ragazza che conobbe lì, chiamata Titty. In realtà, il Mar Nero era solamente una metafora dei sentimenti che inquinano i ricordi innocenti dell’infanzia, chiari e trasparenti, come non potrebbe mai essere un Mare Nero, che gli antichi greci avevano inizialmente battezzato Pontus Axeinus, ovvero mare inospitale. Dopo che l’area divenne familiare e che lungo le coste si stabilirono i primi insediamenti, il nome fu cambiato in Pontus Euxinus, che significa mare ospitale. Quando i turchi presero il controllo delle terre che si affacciano sulle sue coste meridionali, a causa delle forti mareggiate, ribattezzarono il mare con un nome che, ancora una volta, ne esprimeva il carattere poco accogliente: Karadeniz, che vuol dire appunto Mar Nero.
Per quanto riguarda il nome, c’è anche un’altra teoria secondo la quale anticamente i colori erano usati per indicare i punti cardinali: il nero era riferito al nord, il rosso al sud e il giallo all’est. Un’ipotesi originata dal fatto che Erodoto utilizzava indistintamente le denominazioni di Mar Rosso e Mare del Sud.
La storia del litorale lungo il Mar Nero inizia con l’arrivo dei commercianti greci, quasi 2.700 anni fa, che costruirono la prima città, la fiorente Histria e poi le città Tomis (attualmente Constanța) e Callatis (attualmente Mangalia). Dopo i greci fu il turno dei romani che vi costruirono strade, mura di difesa. Dopo la vittoria di Traiano contro i Daci, Apollodoro di Damasco costruì un monumento chiamato Tropaeum Traiani, fratello della Colonna Traiana a Roma, che si trova sul territorio del comune di Adamclisi, vicino Constanța.
Nel Medio Evo arrivarono i genovesi (nel centro storico di Constanța è possibile notare una lanterna genovese) e poi altri e altri popoli che hanno lasciato delle testimonianze un po’ ovunque, dalle romantiche sponde del lago Sinoe agli scavi della città Histria, dalla ‘faleza’ che ricorda le promenade di carattere spagnolo, alle costruzioni che riportano all’art déco o lo stile liberty.
L’antico porto Tomis, sulle quali vestigia è stata eretta la città porto Constanța, è legato indissolubilmente al destino del poeta latino Ovidio Publio Nasone, che fu mandato in esilio, nell’8 d.c., dall’imperatore Augusto. Ovidio sia esiliato immediatamente a Tomi, sul Mar Nero, senza famiglia, senza le cose a lui più care, suonava così il decreto e Ovidio fu costretto a sparire verso i confini del mondo di allora. Finirà la sua vita a Tomis, in un paese freddo e sconosciuto, circondato da barbari dalla lingua incomprensibile. La pioggia non può disperdere e la luce non può scaldare questa neve. Qui si ammassa uno strato dopo l’altro…Il vento del nord la indurisce e la rende eterna; gli strati si accumulano nel corso di tutto l’amaro anno, scriveva il poeta nella suo opera Tristia.
Oggi, in Romania, il poeta Ovidio si trova un po’ dovunque: nel vino più noto, Lacrima di Ovidio, prodotto dall’uva della costa del Mar Nero, nei molti nomi, modificati in Ovidiu, e nella piazza dove si trova la magnifica statua del poeta latino, nel vecchio quartiere di Costanța, davanti al Museo di Archeologia e vicino alla Grande Moschea, che dà la sensazione di stare al limite dell’Europa.
Constanța (che deve il suo nome all’imperatore Costantino) rispecchia per un certo aspetto la stessa storia della Romania: nata culturalmente con i greci è esplosa commercialmente sotto gli interessi dell’impero romano. La città e il suo porto hanno vissuto nel modo più traumatico la caduta dell’impero, subendo ondate di paurose invasioni barbariche e poi, dopo una dominazione bizantina breve, ma significativa sotto l’aspetto culturale e artistico, seguì un lunghissimo dominio turco, che portò stabilità, ma mise la città sotto un durissimo gioco di dipendenza dai sultani della mezzaluna. Oggi Constanța è uno dei porti più moderni e funzionali dell’area baltica, il motore di gran parte dell’economia del paese. Dopo due millenni sembra aver imparato sulla propria pelle una delle lezioni della storia: e cioè che quando si è in una posizione strategica, tanto invidiabile, nel cuore del Mar Nero, attraente per le potenze mondiale di ogni epoca, si vive sul filo del rasoio, nei difficili equilibri storici e politici, che solo negli ultimi decenni sembrano aver trovato una logica e meno tensione.
Come tutte le città di mare di grande tradizione Costanța vanta uno splendido Acquario, il più bello del Mar Nero, uno dei più grandi d’Europa, un Centro di studi biologici marini che raccoglie oltre 4500 specie animali e vegetali oltre ad attrattive tipiche delle vecchie località balneari, compreso un Delfinario, un bel porto turistico, un Casinò in stile liberty e una scuola di vela tra le più antiche del mondo.
Il resto della città si perde nelle sue molteplici influenze tra moschee erette nel periodo di dominazione turca, come la grandissima Mahmudye Mosque, dove ogni giorno risuonano le preghiere dei Muslims, la versione rumena dei muezzin arabi. Città di grande espressione artistica e di enorme cultura, Constanța ospita numerosi musei che riportano alle tradizioni e alle culture più antiche di cui i rumeni sono orgogliosissimi: non sarà difficile ammirare le vestigia greche, romane e bizantine conservate con estrema cura e attenzione in una tradizione archeologica che in questo paese è seguita con particolare attenzione.
Bello anche il Museo della Marina militare rumena che a Constanța ovviamente vanta la sua scuola navale e uno dei suoi capisaldi più antichi: modellini di nave greche e romane e navi da guerra risalenti alle due guerre mondiali sono conservate in condizioni perfette.
Il litorale rumeno offre non solo posti di un certo spessore culturale e storico, ma anche località turistiche alla moda, incluse nel circuito internazionale, come Mamaia, la più rinomata e frequentata, chiamata anche l’Ibiza dell’Est, per la sua movida, con tante discoteche e locali notturni, concerti con star internazionali, il Casinò, decine di ristoranti e bar aperti fino a tardi, a prezzi molto accessibili. In più, gli amanti di sport acquatici, possono praticare sul vicino lago Siutghiol, windsurf e yachting. Aggiungendo a tutto quanto detto sopra una cucina saporita e dei vini premiati a concorsi internazionali, il mix delle tradizioni e costumi dei romeni, turchi, tartari e i greci che ci convivono da secoli, possiamo tracciare i requisiti di una possibile vacanza ideale, sul Mar Nero.
Quasi 1 milione di italiani scelgono ogni anno questa meta, per ragioni diverse, quanto diverso è anche il litorale rumeno, con i suoi 244 km di spiaggia. Chi sa se tra loro c’è qualcuno che sarà stato “ingannato” dalla Canzone del sole…
Il Danubio, il fiume dei re e il re dei fiumi, il secondo più lungo d’Europa (dopo il Volga), ha affascinato da sempre perché nessun altro fiume, nella sua lunga corsa verso il mare, attraversa un così gran numero di paesi e nessuno ha raccontato sulle sue sponde tante storie di re e regine, di imperi e di guerre.
Nell’immaginario collettivo è “il Danubio Blu”, reso celebre dal valzer di Strauss, per la predominanza azzurra delle sue acque nella zona austriaca.
Nei suoi 2.888 chilometri, dalla sorgente (nei monti Foresta Nera) alla foce (nel Mar Nero), passa attraverso tante frontiere, non soltanto nazionali, politiche, sociali, ma anche culturali, psicologiche e religiose. Sono dieci i paesi che ospitano il corso del fiume: Germania, Austria, Repubblica Slovacca, Ungheria, Croazia, Serbia, Romania, Moldavia, Bulgaria e Ucraina. Tutta la storia mitteleuropea ha avuto come sfondo il Danubio, rendendo questa regione, come ha scritto Claudio Magris, una specie di Babele del mondo odierno che certamente ha nella Mitteleuropa un suo simbolo particolare, ma è una Babele del mondo intero. L’impero austro-ungarico, con i suoi 1300km lungo il fiume, era denominato anche come” monarchia del Danubio”.
Il viaggio che segue il corso del fiume è meraviglioso, mai lineare o banale, con i suoi paesaggi variegati, così diversi tra loro, a volte dolci e accoglienti, a volte quasi avvolti da un’aurea mistica, con i borghi fortificati, i monasteri imponenti e i palazzi sontuosi, i villaggi di pescatori, i battelli, che percorrono il fiume senza sosta. Verso la foce, nel Mar Nero, le acque del Danubio si confondono con la terra, col cielo e infine col mare, in un passaggio graduale, pieno di vegetazione, di animali e di riflessi. Persino questo suo finire nel mare ha qualcosa di misterioso, è un “incessante finire“, per citare ancora Magris.
I viaggiatori che (in)seguono il fiume arrivano, alla fine, in Romania, a Tulcea (la capitale della provincia, una città vecchia quasi quanto Roma, fondata dai Greci di Mileto), una vera città di frontiera, il cui cimitero accoglie epitaffi di cinque religioni e di ancor più nazionalità, visto che in questo luogo, durante i secoli, giundero uomini da ogni parte d’Europa. Da tutta l’Europa arrivano anche le acque che formano il Danubio fino a sparire nel Mar Nero, con un estesissimo delta, unico al mondo, che si trova nella regione chiamata Dobrogea. Nei pressi di Tulcea, il Danubio si divide in tre rami, prima di sfociare nel Mar Nero: Chilia, Sulina, che delimita il confine tra Romania e Ucraina e Sfântu Gheorghe.
Il Delta del Danubio, considerato un vero paradiso naturale, gode di un triplo stato di protezione internazionale: Riserva della Biosfera, designata a livello internazionale dal Comitato UNESCO “Uomo e Biosfera” (grazie anche all’opera del famoso esploratore subacqueo francese Jacques Cousteau), Zona Umida di importanza internazionale, designata dal Segretariato della Convenzione Ramsar e Sito del Patrimonio Naturale UNESCO.
Con un’area di 3446 chilometri quadrati è il più esteso e meglio conservato dei delta europei. Si tratta di una delle più giovani terre d’Europa poiché cominciò a formarsi circa seimila anni fa e continua ad espandersi verso il mare, avanzando di circa 40 metri all’anno. Il delta ha una superficie composta da paludi, acquitrini, dune emergenti, cordoni sabbiosi di origine fluviale e marittima, piccoli laghi, canali e isole. L’80% del delta si trova in territorio romeno, l’altra parte, in Ucraina. Nel delta del Danubio trova posto il 98% della fauna acquatica d’Europa, oltre 3.400 specie, molte delle quali uniche al mondo. Ci sono decine di specie di mammiferi, 300 specie di uccelli, sette di rettili, otto di anfibi, più di 160 specie di pesci.
La terraferma è coperta da boschi di pioppi, querce, salici, meli e peri selvatici, ma anche da vite selvatica e liane (Letea, ad esempio, grazie alle sue liane ha l’aspetto di una foresta tropicale), mentre gli isolotti galleggianti sono costituiti da un intreccio di rizomi, radici di piante acquatiche e terra. La flora acquatica è dominata dalla ninfea bianca, ninfea gialla e vari tipi di canne che formano l’habitat ideale per le varie specie di uccelli autoctoni o di passaggio: cormorani, anatre e oche selvatiche, aironi, ecc. Tra le specie di maggior valore si trovano le grandi colonie di pellicani bianchi, il 70% della popolazione mondiale. Il grande pregio di quest’area è l’estrema facilità con la quale si possono ammirare specie di mammiferi come: lo Sciacallo dorato, la Lontra, il Cane procione, il Tasso, la martora e soprattutto il Gatto selvatico! Nelle acque hanno trovato casa gli storioni, la carpa, il pesce gatto, il luccio, la luccioperca, la murena e tante altre specie di pesci che fanno del Delta del Danubio un paradiso per i pescatori. In tutto, esistono 187 zone strettamente protette, al fine di preservare il processo naturale di evoluzione della fauna e della flora. Proprio questa ricchissima varietà ha determinato il grande interesse da parte dell’Unesco verso la più grande riserva della biosfera dell’Europa, un polmone naturale di cui il nostro pianeta, sempre più inquinato, ha sempre più bisogno.
Per coloro che amano la natura, un viaggio esplorativo, un safari, con una barca, tra il dedalo di insenature e canali serpeggianti, tra canneti e laghi salmastri, grandi aree di steppa e dune fluviali, in un ambiente che ha conservato le sue profonde origini rurali, potrebbe essere un’esperienza unica e indimenticabile. Si può pescare, degustare vini, assaporare i piatti preparati dai pescatori del posto, praticare birdwatching (Il Delta è considerato, dagli amatori di questo hobby, il posto migliore d’Europa), ammirare una colonia di pellicani, passeggiare per le macchie, fare una crociera romantica al tramonto, sentirvi parte della natura incontaminata, lontani dalla pazza folla. Per gli amanti di arte e storia, ci sono i siti archeologici di Hamiris, Capidava ed Histria, quest’ultimo considerato il punto chiave per la scoperta, da parte del mondo archeologico tedesco, dell’antichità greca e romana di questa zona.
Dobrogea, l’ultima regione romena ad esser stata liberata dalla dominazione ottomana alla fine dell’ottocento, conserva intatto l’infinito passaggio di popoli e culture che ne ha contraddistinto la storia: i discendenti di antichi popoli come i Lipoveni, i pescatori dalle lunghe barbe profetiche, giunti nel settecento dalla Russia zarista abbandonata per motivi religiosi; i greci del Ponto che, dall’antica Trebisonda, si sparpagliarono lungo le sponde del Mar Nero, arrivando sino alla zona del delta; i Friulani emigrati alla metà dell’ottocento e sopravvissuti oggi in piccoli paesini come quello di Greci, dove la maggioranza degli abitanti parla l’italiano (o meglio, il friulano).
Possiamo concludere il nostro viaggio proprio qui, in mezzo agli italiani di Greci, che vi racconteranno la loro storia (quasi centenaria), tormentata e tortuosa, proprio come le acque del fiume Danubio.