Viene definito spesso come la Stonehenge d’Oriente, Unesco l’ha incluso nel 1999 tra i siti del suo patrimonio artistico mondiale, per la prestigiosa rivista britannica The Guardian le Fortezze Daciche di Sarmizegetusa sono il luogo più affascinante della Romania e per gli archeologi di tutto il mondo questo insediamento resta ancora avvolto nel mistero. Tentazione irresistibile per i cacciatori di tesori, portale di comunicazione con un mondo parallelo, fonte energetica in cui meditare per per gli appassionati di yoga di tutto il mondo.
Il turismo alternativo, esoterico, è talmente diffuso che, fino a non molto tempo fa, le autorità permettevano ai gruppi di turisti permanere anche di notte nel complesso archeologico di Sarmizegetusa Regia, soprattutto nel giorno del solstizio d’estate, quando, secondo gli studiosi di esoterismo, l’area si riempirebbe di un “magnetismo” unico.
Verità storiche, scoperte archeologiche sorprendenti, storie di tesori rubati, risonanze con la terra mitica di Shambala (in sanscrito “luogo di pace/tranquillità/felicità”, luogo ideale nella letteratura buddista per la ricerca dell’illuminazione), carica vitale eccezionale, luogo irresistibile per gli ufologi… la capitale dell’antica Dacia, Sarmizegetusa, è tutto questo, un luogo incredibile dove storia e misticismo si amalgamo in armonia da oltre 2000 mila anni fa.
Questa era la terra dei daci (conosciuti tra i greci anche come geți), il popolo misterioso e fiero, il più coraggioso e giusto della Tracia, secondo il padre della storia, Erodoto. Per Platone, invece, era il popolo che credeva nell’immortalità dell’anima, e che considerava la morte come un viaggio per ricongiungersi al suo dio, Zalmoxis, nella consapevolezza di acquisire l’immortalità. Proprio questa convinzione ha reso l’esercito dei daci il più temuto, temerario e potente.
Non fu facile per i romani conquistare la Dacia del re Decebal, un grande stratega militare. L’imperatore Traiano ci riuscì solo nel 106 d.c, dopo ben 5 anni di dure campagne militari, al prezzo della metà del suo esercito. Prima di lui, avevano provato a sconfiggerli anche gli imperatori Giulio Cesare e Domiziano, ma capirono presto che il popolo di Decebal era “estremamente preparato, difficile da sconfiggere e mai domo”, come storicamente tramandato.
La capitale dell’impero, Sarmizegetusa (situata nei Monti Orăștie, nel sud ovest della Romania), era una vera fortezza naturale, imprendibile, circondata da foreste impenetrabili. Eretta in cima ad una rupe alta 1200 metri, la fortezza era il centro strategico di difesa, che comprendeva sei cittadelle. Era considerata all’epoca la città fortificata più sviluppata tra i centri politici e religiosi europei dell’età preistorica, uno dei più grandi e popolati centri di tutta Europa.
Non sono in pochi a ritenere che la fortezza funzionasse anche come centro astronomico-astrologico, per il grande sole di andesite (una roccia vulcanica), posto in un disco di pietra, che si trova qui rappresentato.
Nonostante una corrente storica filo-romana abbia dipinto i daci come un popolo non civilizzato e acculturato fino alla conquista di Traiano, le fortezze daciche, costruite tra i secoli I a.c. e I d.c, raccontano una storia ben diversa. I daci erano abilissimi costruttori, specializzati nella posa di acquedotti e di mura di fortificazione. La cinta muraria era formata da massicci blocchi di pietra e edificata su cinque differenti terrazzamenti. I civili vivevano intorno alla fortezza, protetti dalle montagne, in terrazzamenti artificiali. La nobiltà dacica aveva acqua corrente, portata nelle loro residenze da tubi di ceramica. Le scoperte archeologiche nel sito mostrano che la società godeva, per l’epoca, di un alto tenore di vita.
Le fortificazioni non rappresentano solo città disparate, collocate sulle cime delle montagne, ma un insieme compatto, un vasto insediamento militare e civile, con differenti nuclei, esteso su di una superficie grande circa quanto l’attuale Bucarest, circa 200 km quadrati. Si calcola che attualmente solo il 5% di ciò che costituisce Sarmizegetusa Regia è stato portato alla luce. Abbastanza da attirare ogni anno migliaia di turisti, talmente desiderosi di entrare nel regno dei daci, da cimentarsi nell’ardua impresa di arrivarci.
Ancora oggi il percorso è affascinante e impervio, la cittadella sembra inarrivabile, così come dovette esserlo per i soldati di Traiano.
La strada sterrata si inerpica per 18 Km, larga, fangosa, con ripide curve a gomito, sempre a ridosso del fiume. Nel regno dei daci si entra passando sotto una curiosa porta dallo stile orientaleggiante. Due pilastri squadrati sostengono un tettuccio stretto e spiovente. Sulla sinistra il muro “ospita” su sfondo azzurro uno stucco bianco che raffigura un guerriero daco, con tanto di spadone ricurvo. Sul pilastro di destra un romano, rappresentante del popolo che invase, combatté, distrusse i daci e poi colonizzò la nuova provincia dell’Impero. Il viaggio comincia su stradine di campagna fiancheggiate da piccole case di montagna, sparse in mezzo alla natura. Non sono numerose, ma sono fantasiose, sui cartelli di legno, ferro, alluminio, o sulle cortecce degli alberi, una freccia o una croce che indica la strada per la cetate (cittadella). Spesso, dopo qualche curva lo sguardo si sofferma sul disegno colorato e naif di un Cristo crocefisso circondato da santi. Guardando dal basso, la cima della rupe sembra sempre così lontana, conferendo un alone di regalità ed esclusività al mondo daco.
Gli ultimi km di strada sono da percorrere a piedi, ma la fatica viene ampiamente ricompensata: dopo aver varcato le mura della città si attraversa un pezzo di bosco e si giunge alla radura dove si trova l’area sacra. Si possono ammirare i resti delle imponenti mura, ora in mezzo a un bosco di faggi, e la strada lastricata che portava all’ampia spianata dove si trovavano i templi, una terrazza erbosa che domina le valli circostanti. È un luogo indubbiamente di grande suggestione. L’area sacra è composto da due edifici circolari, il più grande formato di 104 anelli di andesite, con una fila di pilastri parallelepipedi e, verso il centro, altre due file di pali lignei coperti da lastre di terracotta, la prima, circolare, la seconda a ferro di cavallo. La disposizione dei pilastri di andesite presenta un particolare interesse: la loro divisione in 30 gruppi di 7 pilastri, fa pensare a un rapporto tra questo santuario e certi fenomeni celesti e persino all’ipotesi che il monumento fosse la rappresentazione architettonica del calendario dacico.
Molto interessante è il disco solare trovato vicino al grande santuario circolare, suddiviso in 10 spicchi di circa 36° ognuno, il che renderebbe evidente che i daci conoscessero molto bene il periodo terrestre di 365 giorni ma non fossero adeguatamente precisi nelle misurazioni o nel taglio dell’ andesite. La scoperta del sole di pietra è considerata la prova più certa dell’esistenza di un culto solare presso i Daci, nei secoli I a. C. e I d. C. Intorno ci sono sassi “piantati” nell’erba a formare rettangoli e quadrati, resti di quelle che dovevano essere colonne allineate come soldati.
Non è ancora chiaro come siano riusciti a trasportare i pesanti blocchi di pietra fino alla sistemazione finale per un percorso così lungo e impervio, ma per gli ufologi non ci sono dubbi, l’aiuto alieno è inoppugnabile!
Sulla strada di ritorno fermatevi a parlare con qualche contadino… se lo trovate. Vi racconterà dei cacciatori di tesori che, fino qualche anno fa, giravano di notte da queste parti e di un americano che avrebbe pagato oltre quattro milioni di euro per quindici bracciali d’oro massiccio. Se gli chiedete perché non si sistema un po’ la strada vi risponderà che ai daci non sarebbe piaciuta l’idea di rendere più accessibile la loro enigmatica fortezza!