Potevo essere un vampiro errante
Sono entrata nel mondo passando, in pochi giorni, da un prete che mi battezzava in clandestinità a casa sua, nella stanza degli ospiti trasformata in altare, ad un altro, sconfessato che, nel cuore della notte, mi leggeva passaggi dei testi sacri a cui ci si rivolge raramente e con cautela mistica negli esorcismi.
Mia mamma non si ricorda l’ora della mia nascita ma si ricorda perfettamente il mio pianto incessante, sofferente e isterico. Appena nata ho iniziato a piangere e tutti hanno accolto i miei vagiti con gioia e sollievo, non solo perché mettevano fine ad una gravidanza difficile e ad un travaglio lungo 30 ore, ma anche perché erano l’indice del mio perfetto stato di salute. Io però non smettevo di piangere. Ho pianto in ospedale e ho continuato a piangere a casa. Dopo 5 giorni, le mie nonne assieme alle anziane “sagge” del villaggio sperduto nel nord della Transilvania, hanno sentenziato che, indubbiamente, ero malata e che sarei morta da lì a poco. Dovevo essere battezzata in fretta. Radunate a casa nostra, come in una specie di “sabba” segreto, raccontavano sussurrando storie inquietanti di bambini morti non battezzati, diventati moroi, una specie di vampiri costretti a vagare per il mondo turbando i vivi, degli spiriti invisibili che potevano persino aprirsi un varco fuori dalla tomba per succhiare il sangue del bestiame.
Mia mamma, appena ventenne, piangeva angosciata per il mio futuro da vampiro errante. Quando udì la parola battesimo mio padre, un giovane politico appena promosso dirigente nelle strutture regionali del Partito Comunista rumeno e nominato sindaco del villaggio, ebbe il suo primo conflitto interiore. Sapeva che non mi avrebbe potuta battezzare senza infrangere i divieti dettati dall’ideologia comunista, (che aveva messo al bando ogni forma di espressione religiosa), in cui credeva fortemente, ma davanti alle pressioni familiari e soprattutto a quelle antropologiche, non ha saputo resistere ed è corso dal prete per chiedergli di battezzarmi. Il battesimo sarebbe stato anche una specie di estrema unzione, visto che sarei dovuta morire.
Il mio ingresso nel mondo me lo raccontò mia nonna, era la sua storia della buonanotte. Si chiamava Profira ed era la maga degli intrugli a cui si rivolgevano tutti per guarire da malattie, insonnie, alcolismo o amore senza speranza, ma anche per fare i buchi alle orecchie delle bambine appena nate. Mi ricordo le mamme che bussavano alla nostra porta, in braccio con degli esseri piccolissimi, di pochi giorni, che guardavo terrorizzata mentre mia nonna prendeva un ago per cucire, lo passava sopra il fuoco e poi imperterrita lo infilava nell’orecchio, senza lasciarsi impressionare dal pianto sofferente delle sue “pazienti”. Poi, sempre con l’ago per cucire, passava nel buco un filo di cotone avvolto nella cera liquida e formava una specie di orecchino giallo che doveva rimanere qualche settimana all’orecchio, per non far chiudere il buco. Tutto in meno di cinque minuti. Gli stessi che impiegava anche la sera per farmi addormentare mentre mi raccontava la storia per niente romanzata della mia nascita.
Mio padre andò dal prete la sera tardi, evitando il rischio di imbattersi in qualcuno che l’avrebbe potuto vedere e gli avrebbe rovinato l’ascesa politica. Tornò dopo pochi minuti, mi avvolse in una coperta calda, prese mia mamma che a stento si manteneva in piedi e uscirono seguiti da un corteo di anziane vestite di nero che sembravano più delle prefiche che delle balie. Era metà febbraio, il mese più gelido in Transilvania, c’erano quasi quaranta gradi sotto zero, la neve ghiacciata scricchiolava sotto i piedi, la luce dei lampioni era fioca e impallidiva davanti a quella della luna che illuminava i sentieri di campagna, i miei lamenti sovrastavano le preghiere delle vecchie e i sospiri di mia mamma. Prima di entrare nella casa del prete, mio padre diede comunque uno sguardo angosciato attorno, per sicurezza.
Fui battezzata in fretta. La messa fu in forma ridotta ed essenziale, un po’ per la paura che non avrei avuto molto tempo da vivere ancora su questa terra, ma anche per il terrore che qualcuno avrebbe potuto scoprire il sindaco comunista e il prete ortodosso insieme in quel covo clandestino. Tornai a casa ma, a sentire mia nonna, continuavo a piangere fino a diventare viola, livida, “ma non morivo”.
Esasperata, la nonna degli intrugli espresse a malincuore il suo “verdetto”: ero indemoniata, il mio pianto incessante ne era la prova e dovevo essere sottoposta ad un esorcismo. Mia mamma era sprofondata in una depressione post parto mescolata al fatalismo antropologico del mio popolo. Mio padre vedeva crollare tutti i suoi ideali e i sogni di gloria politica per colpa di un battesimo e un esorcismo che sicuramente né Lenin e nemmeno Marx avrebbero mai potuto accettare. Il giovane sindaco comunista che bussa alla porta del prete nel cuore della notte può pure andare, ma lo stesso che si rivolge ad un prete sconfessato maestro di esorcismi…questo era inaccettabile e mio padre rifiutò di andare a chiamarlo, ormai sconfitto dalla vita che era diventava improvvisamente incompatibile con la sua ideologia. Nonna Profira prese in mano la situazione e andò a chiedere aiuto al prete esorcista. Mio padre non volle assistere al momento in cui il demone sarebbe uscito dal mio corpo e aspettò fuori, lacerato da paure e sensi di colpa.
Mia nonna disse che quella notte smisi di piangere ma secondo me accade solo perché ero stremata. Lei invece aveva le sue certezze che rafforzava ogni volta che sentiva il mio pianto disperato e guardava i miei capelli rossi.